Simona Lucchini
La posizione di Matsyendra
Matsyendra-âsana

 


 

INDICE

 

1. Nome e significato: la leggenda dello Yoga

2. Simbologia: il vortice dell’energia

3. Effetti e benefici sul piano fisico

4. Prerequisiti

5. La posizione e le sue varianti

6. Una sequenza

 


 

PASSI SCELTI

 

2. SIMBOLOGIA: IL VORTICE DELL’ENERGIA

Nella Gheranda-samhitâ, che è uno dei più antichi testi sullo hatha-yoga, si legge che

le posture, in complesso, sono numerose come le specie viventi; ottomilioniquattrocentomila sono state esposte da Shiva. (II,1)

Fra tutte queste, Matsyendra, il grande maestro che le ha imparate direttamente dalla bocca della divinità, ne sceglie una e la lega al suo nome. Matsyendra-âsana, una semplice posizione di torsione seduta, viene eletta a rappresentare l’essenza profonda dello Yoga.

Come mai? Quale segreto racchiude quest’âsana?

Un altro antico testo, la Hathayoga-pradîpikâ, ci viene in aiuto. Nel primo capitolo, in cui spiega i diversi âsana, descrive brevemente la posizione di Matsyendra e poi così prosegue:

Questo è l’âsana insegnato dal santo Matsyendranâtha. Matsyendra-âsana è l’arma che distrugge una quantità di malattie terribili; grazie alla sua continua pratica, essa ravviva il fuoco gastrico degli uomini, permette il risveglio della Kundalinî e la stabilità del chandra. (I,27)

È evidente, anche solo a una prima lettura, che la tradizione antica attribuisce un’importanza particolare a matsyendra-âsana.

Il risveglio della Kundalinî e la stabilità del chandra sono infatti lo scopo ultimo cui tendono tutte le tecniche dello hatha-yoga, e la pratica assidua di questo âsana è ritenuta condizione sufficiente per conquistarle!

A proposito di Kundalinî la Hathayoga-pradîpikâ fornisce questa spiegazione:

Come uno apre la porta con la chiave, usando la forza, così con lo hatha-yoga, grazie a Kundalinî, lo yogin spalanca la porta della liberazione. (III,105)

Risvegliare la Kundalinî significa infatti risvegliare l’energia vitale, che è presente in ognuno di noi come potenzialità, e utilizzarla per raggiungere il fine ultimo dello Yoga, che è l’unione tra il Sé individuale e il Sé universale, il samâdhi.

è un risveglio che permette l’ascesa a uno stato superiore di coscienza e coincide con una radicale trasformazione dell’essere, col passaggio dalla condizione umana a quella divina.

La Shiva-samhitâ, altro testo classico dello hatha-yoga, aggiunge:

Essa ha la forma della forza creatrice del mondo, è sempre impegnata nell’attività della creazione, è la dea della parola che non può essere descritta a parole, è venerata dagli dèi. (II,24)

Kundalinî è infatti l’energia latente che risiede nel corpo umano, e spesso viene identificata con la Shakti, l’energia della creazione. è della stessa natura dell’energia primordiale. Kundalinî è quasi sempre raffigurata come un serpente addormentato, arrotolato su se stesso alla base della colonna vertebrale (kundala significa appunto «spirale»).

Dice la Hathayoga-pradîpikâ:

La Kundalî è da tutti descritta avvolta in spire come un serpente: chi mette in movimento questa Shakti è liberato, non c’è dubbio. (III,108)

Poco dopo aggiunge:

Bisogna svegliare questo serpente addormentato afferrandolo per la coda: la Shakti, dopo aver abbandonato il sonno a causa dello hatha-yoga, si erge verso l’alto. (III,111)

Quando la Kundalinî si risveglia, inizia a salire verso l’alto lungo la colonna vertebrale e arriva a congiungersi con Shiva, con il divino. In questo modo si dissolvono tutte le dualità e si sperimenta lo stato di Yoga, di unione.

A questa esperienza è strettamente legata la stabilità del chandra.

Il chandra, che letteralmente significa «luna», è il nettare lunare, l’amrita, la bevanda sacra degli dèi che conferisce l’immortalità.

Secondo la fisiologia mistica dello hatha-yoga, nel corpo umano questo liquido viene continuamente prodotto alla sommità del capo. Di qui scende, attraverso un piccolo canale, nella cavità della regione palatale, da dove continua a stillare verso il basso fino ad essere completamente distrutto dal «fuoco gastrico» dell’addome.

Dice la Gheranda-samhitâ:

Il Sole risiede alla base della regione ombelicale, la Luna alla radice del palato. Poiché il Sole consuma l’ambrosia (amrita), l’uomo è schiavo della morte. (III,29)

Solo arrestando la discesa dell’amrita è infatti possibile utilizzarne tutta la potenza e diventare essere divini e immortali.

La Hathayoga-pradîpikâ è ancora più esauriente:

Lo yogin, il cui corpo è saturato dall’ambrosia della falce di Luna, è eterno. Anche se morso dallo stesso Takshaka [un demonio-serpente] in lui il veleno non si diffonde.

Proprio come il fuoco non abbandona il combustibile, né la fiamma lo stoppino imbevuto d’olio, così lo spirito incarnato non lascia il corpo pieno dell’ambrosia della Luna. (III,45-46)

L’amrita rappresenta infatti una forma di energia molto concentrata che racchiude in sé tutte le potenzialità dell’uomo. La sua perdita determina il legame alle leggi della vita, della malattia, della morte; la sua conservazione consente l’accesso all’immortalità, intesa come liberazione dal piano ordinario dell’esistenza.

Dobbiamo comunque ricordare che il fuoco gastrico dell’addome, pur distruggendo e consumando il nettare dell’amrita, sviluppa una gran quantità di energia e la mette a disposizione dell’intero organismo. Di qui l’importanza che la tradizione antica attribuisce al plesso solare, al manipûra-chakra, che è considerato il centro produttore dell’energia.

Ascoltiamo Shiva stesso nella Shiva-samhitâ:

Il Sole, che sta in mezzo al mandala di dodici kalâ (unità di misura), dimora nella regione dell’addome come una fiamma che brucia e digerisce il cibo. Questo fuoco appartiene a tutti, derivato da una parte della mia energia, stando nei corpi digerisce i cibi delle creature. Questo fuoco dà vita, forza e nutrimento, riempie il corpo di energia ed è l’origine della distruzione delle malattie. (II,32-33)

La spiegazione è molto chiara e ci riporta al versetto iniziale della Hathayoga-pradîpikâ, che per illustrare la straordinaria potenza del matsyendra-âsana parlava non solo di Kundalinî e di chandra, ma anche di fuoco gastrico. «Ravvivare il fuoco gastrico» è infatti ritenuta condizione indispensabile per ottenere l’energia necessaria al risveglio.

La tradizione antica stabilisce una relazione molto stretta tra la posizione di Matsyendra e il risveglio energetico perché lega il concetto di torsione a quello di forza e di energia.

In matsyendra-âsana, la colonna vertebrale viene effettivamente sottoposta a una intensa torsione a spirale su tutta la sua lunghezza, che al di là dei più evidenti effetti a livello fisiologico arriva a stimolare in profondità i centri energetici ad essa collegati.

La forza espressa da questo tipo di torsione è la stessa che sentiamo potenzialmente racchiusa in una molla compressa, arrotolata strettamente su se stessa e capace di liberarsi in un solo istante.

È ancora una volta l’energia di Kundalinî, «l’arrotolata», che non a caso è descritta come un serpente addormentato avvolto su se stesso in forma di spirale. L’idea stessa della torsione a spirale racchiude inoltre l’immagine del vortice, del turbine d’aria che sale dal basso verso l’alto in una serie di curve concentriche.

Il vortice, che rappresenta uno dei più potenti movimenti energetici presenti in natura, è infatti la spirale che anima cicloni e tornado, dotata di una forza sconvolgente e a volte distruttiva.

È la manifestazione terrena della Shakti, dell’energia femminile che ha dato origine al tutto.

È la Kundalinî che si risveglia.

Matsyendra-âsana, più di ogni altra posizione, esprime chiaramente quest’idea di energia dirompente e liberatoria. E proprio per questo l’antica tradizione dello hatha-yoga la propone come posizione di trasformazione per eccellenza: è l’âsana che permette il risveglio di Kundalinî e spalanca il passaggio dalla condizione terrena a quella divina.

Il grande Matsyendra, che da yogin seppe trasformarsi in divinità, proprio a essa ha dato il suo nome, invitando tutti i praticanti a percorrere lo stesso cammino da lui intrapreso nel lontano passato.

 

  


Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione del testo in qualsiasi forma senza permesso dell’editore, salvo nel caso di citazioni o di recensioni, purché quanto in esse riportato sia conforme all’originale e se ne citi la fonte.

Ritorna alla pagina iniziale

Magnanelli Edizioni

Via Malta, 36/8 - 10141 Torino

Tel. 011-3821049 - Fax 011-3821196