1. Nome, significato e simbologia
2. Caratteristiche
3. Effetti biologici e terapeutici
4. Tecnica di esecuzione
5. Varianti
6. Posizioni che portano a hala-âsana
7. Posizioni di sviluppo oltre hala-âsana
8. Conclusione
PASSI SCELTI
1. Nome, significato e simbologia
Hala-âsana è parola sanscrita e significa «posizione dell’aratro». L’espressione è composta da hala, cioè aratro, e âsana, posizione. La postura ha questo nome perché la forma curva assunta dal corpo ricorda un aratro primitivo ancora oggi usato in alcune zone dell’India.
L’aratro, come sappiamo anche nella nostra società occidentale che ormai ha ben poco di agricolo, è l’attrezzo per arare, cioè per solcare e rivoltare la terra allo scopo di dissodarla e gettarvi il seme. Il verbo latino arare è di origine indoeuropea, deriva appunto dalla parola sanscrita hala. L’aratro è un attributo degli dèi e delle dee dell’agricoltura come Demetra, Trittòlemo, Dioniso.
Arare significa spezzare l’originaria «prima materia» nella molteplicità della creazione; cioè consente di aprire la terra all’influenza del cielo; rappresenta il dominio dell’uomo sulla terra; è la fertilità. L’aratro comporta un evidente simbolismo fallico, il vomere ingravida la terra; il solco è equiparato alla donna. Così la sposa del dio indiano Râma è chiamata Sîta, che significa solco.
L’operazione di tracciare il solco è universalmente considerata un atto sacro. La festa del Primo Solco nella Cina antica e nell’India, e ancora oggi in Thailandia e in Cambogia, è un atto di desacralizzazione, o forse di deflorazione, del suolo. Il primo miracolo del Buddha fu compiuto in occasione di tale festa.
In Cina il rito era tra le prime incombenze del nuovo imperatore, che lo compiva personalmente insieme con la sua sposa. La cerimonia comportava innanzi tutto la preghiera al Cielo di inviare la pioggia, elemento fecondatore. Il rito si effettuava a coppie e talvolta era forse accompagnato dalla consumazione di un atto sessuale.
Nel canone buddhista incontriamo un simbolismo diverso, quello dello sforzo spirituale, dell’ascesa: «Così il solco è tracciato, e ne uscirà il frutto che non muore» (Suttanipâta). Analoga immagine troviamo in San Paolo, che paragona l’opera di Dio a quella dell’agricoltore: «Voi siete il campo di Dio» (1 Corinzi, 3, 9). Romolo, quando fonda Roma, ne segna il perimetro con l’aratro.
Per i popoli nomadi, dediti alla pastorizia, arare era invece un’azione spregevole: simboleggiava la «caduta» dallo stato di perfezione dell’era primordiale e paradisiaca. Per esempio, nelle tradizioni dei nativi dell’America settentrionale, arare è male, equivale a violare il corpo della Madre Terra. Nell’Islam simboleggia la meschinità, vanità e impudenza di una nazione.
In ogni caso, questa posizione sembra particolarmente adatta per poter organizzare le qualità di Terra del praticante, soprattutto se appartiene a un segno zodiacale di Terra (cioè Toro, Vergine, Capricorno), o ha l’ascendente in uno di questi segni, oppure possiede aspetti non solo «planetari» ma anche psicofisici in grado di esaltare le terragne caratteristiche di stabilità, pazienza e praticità.
Una curiosità: per molti sarà una sorpresa, ma nei testi classici dello yoga (Gheranda-samhitâ, Hathayoga-pradîpikâ, Shiva-samhitâ) questo âsana non è citato. Oggi tale posizione viene considerata a sé stante, ma quasi certamente è nata come variante di sarvânga-âsana, la «posizione di tutte le membra» nota anche come «candela».
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