Alberto Stipo
Progredire nello yoga 

   


   

INDICE

   

1. L'esigenza di nuove esperienze

   

2. La globalità dell'esperienza

La direzione dell'attenzione

Esperienze di sensibilizzazione

Altre osservazioni

Gli aiuti esterni

L'importanza della precisione

Il modello e la realizzazione

   

3. La varietà degli âsana

Somiglianze e differenze fra âsana

Seduta di esempio

   

4. Âsana e respiro

Rapporto fra âsana e respiro

Modalità di allungamento

La ricerca del limite

Il significato di energia

   

5. Struttura di una seduta di âsana

Tipi di seduta

Seduta n. 1: preparazione di tâda-âsana

Seduta n. 2: preparazione di setubandha-âsana

Seduta n. 3: preparazione di trikona-âsana

Seduta n. 4: preparazione di shalabha-âsana

Seduta n. 5: preparazione di pascimottâna-âsana e ushtra-âsana

Seduta n. 6: preparazione di pascimottâna-âsana e dhanur-âsana

Seduta n. 7: preparazione di kûrma-âsana e bhujanga-âsana

Seduta n. 8: preparazione di sarvânga-âsana, hala-âsana e matsya-âsana

Seduta n. 9: preparazione di ardha-matsyendra-âsana

Seduta n. 10: preparazione di shîrsha-âsana

Seduta n. 11: azione progressiva su una metà del corpo

   

6. La progressione nel tempo

L'evoluzione della pratica

Difficoltà progressive

   

7. Trasmettere lo Yoga

Diventare insegnanti

Scelte didattiche

Domande sullo Yoga

   

8. I testi classici

      


   

PASSI SCELTI

    

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L'esigenza di nuove esperienze

 

Chi, dopo aver frequentato per un certo tempo una scuola di Yoga, desidera approfondire l'argomento e intensificare la sua pratica, si trova di fronte a diverse possibilità. In alcuni corsi, specialmente quelli organizzati presso palestre che fanno anche altre attività, non è possibile separare l'insegnamento rivolto ai principianti da quello rivolto ai praticanti avanzati, in altri casi si può radunare un gruppo ristretto di allievi esperti ai quali offrire un corso di approfondimento. Anche chi ha questa possibilità, comunque, non dovrebbe tralasciare di cercare esperienze diverse, frequentando i seminari e gli incontri specifici che sono organizzati da vari insegnanti e associazioni. Potrà anche, dopo un certo tempo, decidere di frequentare i corsi di un altro insegnante. Ciò è giustificato dal fatto che nello Yoga, nel rispetto dei princìpi fondamentali, esistono moltissime interpretazioni e molte scelte di metodi didattici. Chi ha conosciuto un solo insegnante facilmente si convince che la pratica corretta coincide con quella che gli è stata proposta, specialmente se ne ha ricevuto dei benefici, o comunque non ha il desiderio di sperimentare un metodo diverso. Potremmo fare un paragone col fenomeno chiamato dagli etologi imprinting, per cui le prime sensazioni percepite nei momenti successivi alla nascita favoriscono lo stabilirsi di determinati comportamenti. Tuttavia lo Yoga è una pratica individuale e ciascuno deve trovare la maniera di praticare più adatta alla sua personalità, e questo si può ottenere soltanto facendo la conoscenza di diverse scuole. Ciò non significa abbandonare un insegnante troppo presto, prima di aver assimilato compiutamente il suo insegnamento, ma cercare la propria autonomia facendo esperienze varie, senza chiusure, e conservando un ricordo riconoscente verso chi ha trasmesso le proprie conoscenze. Allo stesso modo l'insegnante non deve sentirsi sminuito se un allievo lo lascia: se cercasse di impedirgli di fare nuove esperienze dimostrerebbe di essere fuori dello Yoga.

Ciò che si è detto per i corsi vale anche per la consultazione dei testi divulgativi delle diverse scuole. è importante anche approfondire la conoscenza degli scritti classici, per chiarire i princìpi della pratica e la collocazione delle varie tecniche all'interno delle diverse tradizioni.

Nei seguenti capitoli sono contenuti alcuni spunti che potranno aiutare a indirizzare la propria pratica verso maggiore profondità e raffinatezza, fermo restando che non potranno essere esaustivi: gli esempi che li accompagnano vanno presi come punti di partenza per una ricerca e un'osservazione originale. La pratica dello Yoga è infatti un'attività creativa e non può consistere soltanto nel seguire quanto proposto da un insegnante, ma deve comprendere una responsabilizzazione e una sperimentazione personale. Chi aderisce strettamente a una data scuola potrebbe provare stupore o un senso di rifiuto davanti a certe proposte, o considerarle superate per la propria esperienza. Il presente volume vuole essere un invito a riflettere e a confrontarsi con le diverse vedute esistenti, per proseguire nella propria evoluzione senza alcun dogmatismo.

È evidente che gli argomenti trattati nei vari capitoli non possono essere rigidamente separati, ma in ciascuno di essi si possono ritrovare aspetti relativi ad altre caratteristiche, essendo lo Yoga un'esperienza globale.

Per i princìpi di base e per la descrizione particolareggiata delle tecniche si rimanda ai testi appositi, in particolare ai paragrafi sulla metodologia generale e su quella degli âsana del Libro completo delle tecniche yoga (Magnanelli Edizioni). Come è affermato in tale volume, il vero progresso nella pratica dello Yoga non si rivela dal fatto di riuscire ad eseguire pratiche sempre più complesse e spettacolari, ma dall'essere sempre più precisi e presenti mentalmente anche in quelle semplici. Così il praticante dovrebbe preoccuparsi, più che di imparare molte tecniche nuove, di imparare un nuovo modo di eseguirle. Oggi, quando una persona entra in una scuola di Yoga, abitualmente gli si presenta subito il primo âsana, poi il secondo, e così via. In seguito, se l'insegnante lo ritiene, cerca di trasmettere princìpi più generali. Nelle scuole tradizionali indiane il punto di partenza era invece apprendere tali princìpi ed educare il carattere, andando a vivere presso il maestro, il quale cominciava a insegnare le tecniche soltanto in un secondo momento.

È importante anche tenere presente che oggi in alcune scuole si introducono sotto il nome di Yoga pratiche di altra origine. Lo Yoga è ricco di un'esperienza di migliaia di anni e comprende una grande varietà di tecniche. Quanto meglio è conosciuto e compreso tanto meno si sente il bisogno di aggiunte. Un proverbio orientale avverte che per trovare l'acqua non bisogna scavare tanti pozzi superficiali, ma un solo pozzo profondo.

   

   

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Trasmettere lo Yoga

   

Diventare insegnanti

Diventare insegnanti dovrebbe essere considerato un punto d'arrivo naturale dell'approfondimento dello Yoga. Chi sente di avere incontrato qualcosa d'importante, nel quale crede, è naturalmente portato a farne parte ad altri. Può accadere, in questi casi, di cadere in atteggiamenti sbagliati, come quello di voler “convertire” tutti a ogni costo. Può accadere di rimanere delusi di fronte allo scetticismo che spesso accoglie le proprie dichiarazioni (soprattutto, di solito, da parte delle persone più vicine e che più si vorrebbe aiutare: nessuno è profeta in patria). Tuttavia è chiaro che sarebbe un comportamento ingeneroso tenere per sé le straordinarie potenzialità contenute in questa pratica. A parte questo, proprio il fatto di insegnare una qualsiasi materia è ciò che permette di chiarirne meglio tutti i particolari. Un insegnante coscienzioso è costretto a precisarsi tutte le ragioni di ciò che propone, per poterle spiegare ad altri. Deve anche porsi il problema di esprimersi in maniera credibile e comprensibile, e di studiare la compatibilità con la personalità dei suoi allievi di ciò che è adatto a lui. Durante l'insegnamento, i suoi allievi gli rimanderanno a loro volta la verifica della correttezza di quanto ha preparato e degli effetti della pratica proposta. Così, proprio il fatto di insegnare è un'occasione per ottenere delle conoscenze che altrimenti non si avrebbero. Non esistendo due persone uguali l'una all'altra, si potranno sempre presentare casi nuovi, anche se l'esperienza aiuterà a trovare il modo di affrontarli. Un insegnante scrupoloso si sentirà sempre nell'atteggiamento di chi continua a imparare, e quanto detto nel primo capitolo a proposito dell'importanza di continuare a frequentare maestri diversi vale anche per lui.

Chi si occupa della formazione degli insegnanti si trova spesso davanti a due stati d'animo opposti. Alcuni allievi ai quali si propone di iniziare quest'attività sono esitanti, dubitando di esserne in grado. Altri la iniziano con entusiasmo, magari contro il parere del proprio insegnante, senza porsi particolari problemi.

Il primo atteggiamento può essere legato a un'insicurezza di fondo, anche se può dipendere da scrupolosità e dal dubbio di non essere abbastanza preparati. A volte viene giustificato col fatto di non sentirsi interessati all'insegnamento. In effetti è possibile che per certe personalità la cosa non sia consigliabile. Bisogna però anche considerare che l'insegnamento dello Yoga può essere esercitato a diversi livelli e in diversi ambienti, e che tutti possono dare un qualche contributo alla sua diffusione. D'altra parte, se si aspettasse di essere completamente preparati per cominciare un'attività non si comincerebbe mai: soltanto esercitandola ci si perfeziona, anche se è necessario avere solide basi.

Il secondo atteggiamento può condurre ovviamente a imprudenze, se non si ha consapevolezza dei propri limiti e se non si continua a perfezionarsi. è particolarmente importante in questo caso, anche se la regola vale per tutti, insegnare soltanto le tecniche che si sono praticate lungamente e che si conoscono a fondo.

Come accennato sopra, vi possono essere diversi livelli d'insegnamento. Spesso un allievo anziano fa le sue prime prove quando il suo insegnante deve assentarsi e gli chiede di sostituirlo. A volte l'insegnante lo invita a succedergli affidandogli un gruppo di allievi della scuola. In questi casi l'inizio è in un certo senso “protetto”; sono minori le difficoltà di riunire un numero sufficiente di partecipanti ed è più facile consultarsi con una persona più esperta ed eventualmente concordare un programma. La difficoltà maggiore è di solito quella di trovarsi con persone che fino a poco prima praticavano insieme con il conduttore, e che a volte non accettano di vederlo sostituirsi alla persona che fino a poco prima ricopriva tale ruolo. Ciò ricade nel problema del legame col proprio insegnante di cui si è già parlato. In ogni caso dovrà venire il momento in cui ci si assume in proprio la responsabilità di organizzare un corso ed eventualmente aprire una scuola.

Per preparare i futuri insegnanti molti enti e associazioni organizzano corsi di formazione specifici. In certi casi questi sono condotti con criteri pluralistici, presentando diverse interpretazioni e possibilità nella pratica. Altre volte sono organizzati da scuole che seguono rigidamente la linea di un dato maestro.e non propongono alternative. In ogni caso, anche il corso di formazione deve essere inteso come un punto di partenza per nuove esperienze. Nella tradizione indiana la scelta di praticare lo Yoga consisteva anche nella scelta di uno specifico maestro col quale ci si sentiva in sintonia e nel quale si aveva assoluta fiducia. Nell'attuale società spesso ci si iscrive a una scuola di Yoga sulla base di un annuncio. Nella mentalità burocratica oggi tanto diffusa, si tende spesso a dividere in categorie, in modo da operare una netta distinzione fra chi è insegnante di Yoga e chi non lo è. Come è ovvio, non è possibile individuare un certo numero di nozioni stabilendo che chi le conosce è insegnante e chi non le conosce non lo è. A parte la sterminata quantità di tecniche delle varie tradizioni, la diversità di esperienze determina diversi livelli di capacità. Allo stesso modo sarebbe assurdo pensare che un neolaureato e un professionista con anni di pratica abbiano le stesse capacità, anche se magari la burocrazia attribuisce a entrambi lo stesso potere. Inoltre la qualità dell'insegnamento è strettamente connessa con la personalità e le doti di chi lo trasmette: non è possibile considerare la pratica dello Yoga indipendentemente dal metodo dell'insegnante. Così un insegnante responsabile continuerà a perfezionarsi e a sperimentare per tutta la vita. Questa esigenza è ovviamente ancora più forte per chi non ha seguito uno specifico corso ma è stato avviato all'insegnamento da un singolo maestro.

A proposito dello stato d'animo di chi si dispone a insegnare, sono molto interessanti le richieste di informazioni rivolte a chi si occupa dei corsi di formazione. Accade frequentemente di sentirsi domandare se è possibile frequentare il corso quando un problema personale impedisce di eseguire un determinato âsana. è evidente in questo caso che il candidato pensa di dover mostrare, nella sua futura attività, un modello posturale come è tramandato dalla tradizione indiana, o almeno pensa che questo gli sia richiesto nel corso di formazione. Non viene invece praticamente mai domandato se i problemi caratteriali possono essere di ostacolo e come si potrebbero superare. Proprio il perfezionamento delle condizioni morali e caratteriali è invece il punto essenziale, mentre il non poter mostrare una tecnica compiuta non impedisce di far progredire comunque i propri allievi. Ciò potrebbe addirittura essere un vantaggio, stimolando la ricerca personale di tecniche parziali o alternative e di diverse modalità di trasmissione di esse. Paradossalmente, può essere uno svantaggio riuscire a eseguire immediatamente e con facilità una data posizione, perché in questo modo non si può osservare la propria progressione della pratica, con la graduale rimozione degli ostacoli psicofisici. Si può citare a questo proposito una facezia attribuita a Gioacchino Rossini, il quale raccontava che i cantanti si dividono in tre categorie: alcuni hanno voce ma non sanno cantare, altri sanno cantare ma non hanno voce, e altri non hanno voce e non sanno cantare. Analogamente, non esistendo insegnanti perfetti, ognuno possiede certe doti e non altre, e il suo valore non è misurato dalla sua agilità. Allo stesso modo un istruttore sportivo, con la sua esperienza, sa portare gli atleti a risultati che senza i suoi consigli non otterrebbero, e che lui stesso non può più raggiungere. La prima qualità di un insegnante dovrebbe essere l'onestà, la seconda la serenità, e la terza la conoscenza tecnica. L'insegnante deve dimostrare che vive secondo lo Yoga. Nel valutare un insegnante si dovrebbe osservare se sono i suoi allievi ad aver bisogno di lui o è lui ad aver bisogno dei suoi allievi.

Il tema dell'onestà presenta diversi aspetti e va ben oltre il significato puramente economico. Si può dire che essa coincida con la volontà di far crescere i propri allievi. L'insegnante onesto non cerca di impedire che i suoi allievi facciano esperienze diverse, salvo che abbia dei seri motivi per sconsigliarle; in prospettiva, vuole fare diventare essi stessi insegnanti. L'atteggiamento contrario può dipendere anche da un bisogno inconscio di sentirsi importanti e potenti, a causa di problemi psicologici, tanto da essere gratificati e confermati dall'approvazione di molte persone. Questo può portare anche a compiere dimostrazioni spettacolari o a proporre tecniche che colpiscono particolarmente la fantasia, indipendentemente dalla loro utilità pratica. Un insegnante dovrebbe sempre chiedersi se ciò che sta per fare è fatto per l'allievo o per se stesso. Secondo tutte le tradizioni, i più grandi maestri non sono quelli più facili da trovare e non accettano di rendere più blando il loro insegnamento per avere maggiore popolarità. L'esempio più tipico è rappresentato dall'episodio evangelico in cui si narra che Gesù, dopo aver enunciato una proposizione non molto facile da credere, sfidò i suoi discepoli ad andarsene, se non volevano accettarla. Un vero maestro rimane inflessibile sui princìpi. Un aforisma afferma che “chi dice la verità non ha bisogno di consenso”. L'assenza di avidità materiale o psicologica e la volontà di portare gli allievi all'autonomia dimostrano serenità e aderenza ai princìpi dello Yoga. Una delle cose più importanti per l'equilibrio dell'insegnante, inoltre, è non aspettarsi mai riconoscenza.

   

Scelte didattiche

All'insegnante che pianifica un corso di Yoga si presentano diverse scelte, sia riguardo al contenuto del corso stesso, sia riguardo alla maniera di trasmettere le diverse tecniche, o anche ai criteri di ammissione degli allievi.

Iniziando da quest'ultimo punto, si nota che oggi in alcune scuole di Yoga si tende a dividere i praticanti in categorie, proponendo ad esempio corsi per la terza età, o per preparazione al parto, o per altri scopi specifici. Nel caso di persone molto anziane o con particolari problemi di salute appare effettivamente necessario in certi casi tenere un gruppo separato, ad esempio per eseguire una pratica di leggeri scioglimenti rimanendo seduti su una sedia. In altri casi, però, queste separazioni non sono affatto necessarie se l'insegnante sa indicare per ogni tecnica diversi livelli di esecuzione, in modo che ciascuno possa limitarsi al livello che gli conviene. Anche in questo caso il problema consiste nel far comprendere agli allievi che l'importante non è l'aspetto esterno ma la partecipazione interiore. Nessuno dovrebbe uscire deluso dalla lezione. Anche se è chiaro che un gruppo omogeneo per aspettative ed età facilita le cose, lo Yoga non dovrebbe far sentire le persone incasellate in categorie. Quanto ai corsi tenuti per scopi specifici, di solito i partecipanti si pongono obiettivi molto ristretti e non ricercano un metodo di evoluzione globale. Pur senza disprezzare l'aiuto che lo Yoga può dare per diversi problemi, sarebbe doveroso far capire quanto ciò sia riduttivo e svilisca una disciplina che ha ben altre potenzialità.

In genere gli insegnanti richiedono un colloquio preliminare con l'allievo prima di ammetterlo al loro corso per rendersi conto delle sue aspettative e delle sue limitazioni e per dare alcune indicazioni generali. Alcuni usano far compilare questionari appositi, per stabilire quali pratiche sono da evitarsi. A parte le osservazioni già fatte sulle controindicazioni, la cosa ha degli aspetti piuttosto antipatici e può far sentire la persona un caso clinico. Potrebbe anche deresponsabilizzare l'allievo, il quale tenderà a delegare all'insegnante la scelta di ciò che può e non può fare, invece di sviluppare l'auto-osservazione.

Formato il gruppo, l'insegnante deve decidere gli orari da proporre. Spesso si tratta di una scelta obbligata, quando il corso è tenuto presso un ente che svolge anche altre attività. Diversamente, occorre decidere se proporre sedute brevi, di solito di un'ora, alcune volte alla settimana, o sedute più lunghe e meno frequenti. La prima maniera è generalmente preferita da allievi che non intendono impegnarsi a fondo nella pratica personale, la seconda permette una profondità di esperienze e di risultati che non sono possibili in un tempo limitato, e può anche stimolare maggiormente a praticare a casa propria, per evitare che trascorra troppo tempo fra una seduta e l'altra.

Al momento della seduta, possono essere tenuti diversi comportamenti. La maggior parte degli insegnanti danno una dimostrazione pratica della tecnica proposta, altri preferiscono limitarsi a descriverla, il che riduce lo spirito di emulazione e lascia l'allievo più libero nel trovare la sua propria esecuzione. Il primo metodo, d'altra parte, ha il vantaggio di una maggiore precisione e di far guadagnare tempo; sembra opportuno, in questo caso, evitare esecuzioni di eccessiva intensità e spettacolarità, salvo nei gruppi di praticanti avanzati. Alcuni invitano gli allievi a iniziare la pratica contemporaneamente alla loro stessa dimostrazione, altri preferiscono farli attendere la fine della spiegazione prima di cominciare. Nel primo caso la seduta ha una maggiore continuità, nel secondo si ottiene in generale una maggiore attenzione dai praticanti. Infatti essi hanno spesso tendenza a iniziare prima di avere ascoltato tutti gli avvertimenti, vedendo la dimostrazione. Avviene anche che, quando si presenta una variante di una pratica già nota, i partecipanti siano portati a eseguire quella esposta in precedenza, invece di ascoltare fino in fondo la spiegazione. Naturalmente è possibile una combinazione dei due metodi, eseguendo insieme le pratiche più semplici e invitando ad osservare prima la dimostrazione per quelle più complicate. Questo è particolarmente importante quando si vuol far osservare anche il modo di scioglimento di una posizione che richiede particolari accorgimenti, ad esempio nei casi in cui il capo è fortemente rovesciato all'indietro. Per non disturbare troppo la continuità della seduta può essere opportuno, quando si introducono pratiche di una certa complessità, come nel caso delle posizioni capovolte, dare una dimostrazione con istruzioni particolareggiate prima dell'inizio della seduta, pur ripetendo brevemente tali istruzioni al momento dell'esecuzione. In generale, all'inizio del corso è necessario richiamare l'attenzione su un maggior numero di particolari, in seguito si dovrebbe ridurre sempre più la quantità di parole.

Vari accorgimenti sono utili durante le dimostrazioni. Ad esempio nel caso di inclinazioni laterali o torsioni proposte verso destra, l'insegnante potrebbe disporsi con un fianco rivolto ai partecipanti, o addirittura voltare le spalle, per evitare che alcuni siano portati a inclinarsi a sinistra. Col tempo comunque, e con l'aumento dell'attenzione, ciò non dovrebbe più verificarsi. Il metodo spesso usato dagli istruttori di ginnastica di fare da specchio ai presenti, chinandosi a sinistra per invitare a chinarsi a destra, non sembra opportuno nello Yoga, poiché non abitua ad assimilare compiutamente le istruzioni prima di iniziare la pratica e non favorisce l'autonomia.

In alcune scuole è usanza fissare rigidamente in anticipo le tecniche da eseguire in ogni seduta. Inizialmente questo può essere un aiuto per insegnanti poco esperti, ma col tempo l'insegnante dovrebbe sviluppare la sua capacità di adattare la seduta di volta in volta, osservando le reazioni dei partecipanti e comprendendo le loro esigenze, pur avendo in mente uno schema generale. I primi tempi, se l'insegnante si prepara una seduta da sé, accade facilmente, non conoscendo le caratteristiche degli allievi, di cercare di fare troppe cose, trovandosi poi a corto di tempo per le pratiche conclusive. è bene quindi lasciarsi un certo margine, eventualmente prolungando poi le tecniche di compensazione e di riequilibrio finali, che sono sempre utili.

Molto varie sono le vedute sul modo di agire in caso di errori nella pratica. La maggior parte delle scuole consiglia di intervenire il meno possibile, lasciando che il progressivo aumento della consapevolezza di sé porti il praticante a una sempre maggiore perfezione; alcuni preferiscono non osservare neppure l'esecuzione degli allievi. Naturalmente è opportuno l'intervento esterno quando il praticante, per sforzo di emulazione, rischia di danneggiarsi. Anche quando la posizione di partenza è notevolmente sbagliata, tanto da condizionare il risultato, può sembrare opportuno intervenire. Conviene chiarire, nelle istruzioni preliminari, che nessuno ha bisogno di giustificarsi, come avviene a volte in questi casi. Spesso succede che se l'insegnante dà un ulteriore avvertimento durante la pratica, suggerendo di precisare qualche atteggiamento, anche i praticanti che stanno eseguendo correttamente tendono a modificare la propria posizione. Conviene avvertire di non essere precipitosi quando si sente un'osservazione, ma considerare con calma se può riguardare il proprio caso. Può essere preferibile, per non disturbare l'attenzione del gruppo rivolgendosi a un singolo, o anche quando ci si accorge che molte persone non hanno compreso le istruzioni, invitare a terminare la pratica e poi ripetere le spiegazioni prima di riprendere. Può essere utile, di tanto in tanto, praticare la cosiddetta “seduta in laboratorio”, in cui ci si ferma ad ogni tecnica, rilevando tutti i particolari errati, eseguendo poi le sedute successive con continuità e senza troppi commenti. Gli allievi dovrebbero anche abituarsi a non attirare l'attenzione dell'insegnante in caso di difficoltà, ma cercare di risolvere il problema autonomamente. Per serie necessità richiederanno il suo aiuto con discrezione, ad esempio con un cenno, invece di parlare ad alta voce.

Si è accennato all'inopportunità di eseguire dimostrazioni eccessivamente spettacolari. Tuttavia, anche un'esecuzione relativamente blanda potrebbe essere fonte di errori per persone poco esperte. Ad esempio, eseguire gomukha-âsana agganciando le dita di una mano con quelle dell'altra può far pensare che proprio in questo consista la posizione, e il tentativo di realizzarlo può portare a curvare il collo e rattrappire le spalle. L'insegnante dovrebbe quindi chiarire che la posizione va fatta con la colonna vertebrale allineata il più possibile e la punta del gomito rivolta verso l'alto, con l'intenzione di elasticizzare l'articolazione della spalla e migliorare la respirazione nella zona alta, verificando poi se sia possibile aggiungere la fase finale di aggancio. Un altro caso significativo è dato da dhârmika-âsana, in cui può sembrare che lo scopo sia di appoggiare la fronte a terra, il che può portare a sollevare i glutei dai talloni. Spetta dunque all'insegnante far rilevare l'effetto di distensione di tutta la colonna vertebrale che si ha nella posizione corretta, e suggerire di sostenere la fronte opportunamente, se necessario.

Per concludere questo argomento, si può ricordare che alcuni insegnanti, avendo difficoltà a trovare tempo per la propria pratica personale, ritengono sufficiente il praticare insieme coi loro allievi. Naturalmente la necessità di condurre il gruppo rende la situazione ben diversa da quella di chi pratica autonomamente, e può essere utile soprattutto a livello fisico. Chi insegna ha invece assoluta necessità di momenti di concentrazione e di ricupero, poiché l'attività di trasmissione dello Yoga, fatta con scrupolo, richiede molte energie.

Quando si ha un certo numero di allievi sufficientemente sensibilizzati, si può proporre qualche esperienza più intensa, in particolare organizzando incontri di una giornata o di mezza giornata in cui si approfondirà un tema preciso, utilizzando, oltre alle pratiche, letture, commenti e conversazioni. Gli incontri potranno avvenire nella sede abituale o in una località diversa. Trovarsi in una località montana o marina, o comunque fuori città, induce in generale un atteggiamento di maggiore serenità; potrebbe d'altra parte essere una causa di distrazione e rendere più difficile portare l'attenzione verso l'interno.

Molto vari possono essere gli argomenti e le maniere di organizzare l'incontro. Il raccoglimento e il senso di unione fra i partecipanti saranno migliorati ad esempio dal fatto di consumare insieme il pasto nella sede dell'incontro invece di disperdersi all'esterno. Se i presenti sono sufficientemente motivati si potrà proporre di mantenere il silenzio per tutta o parte della giornata. Spesso tale proposta genera inizialmente perplessità, e molti dichiarano di non esserne capaci, ma poi avviene generalmente, una volta iniziato e creata la giusta atmosfera, di constatare che la cosa non è difficile, e che rimedia molto bene alle dispersioni a cui siamo continuamente sottoposti, lasciando una sensazione di grande forza interiore. A titolo di esempio sono qui di seguito suggeriti alcuni argomenti di tali incontri. è chiaro che i contenuti delle varie proposte non sono rigidamente separabili.

   

Punti di arrivo e punti di partenza

Il contenuto riguarda la progressione delle pratiche e la loro scomposizione in tappe successive, ciascuna delle quali produce almeno una parte degli effetti della tecnica completa, quando questa non è accessibile.

   

Metodologia della pratica in base ai caratteri individuali

Può comprendere l'esame delle tecniche che sono più raccomandabili ai diversi tipi di personalità e che più facilmente rimediano agli squilibri del praticante.

   

Yoga nella vita quotidiana

Si possono studiare sia gli atteggiamenti dannosi per l'apparato scheletrico e quello respiratorio, sia le situazioni che causano tensione o depressione, con i possibili rimedi.

   

Yoga: uno scopo, molte vie

Facendo riferimento ai testi tradizionali, si può mostrare che le tecniche dello Yoga sono inserite in una tradizione molto vasta che comprende diverse vie alla meta finale, e che inoltre, all'interno di ciascuna via, molte maniere di praticare sono possibili, nel rispetto dei princìpi generali.

   

La pratica secondo i princìpi di yama e niyama

Yama e niyama stabiliscono le regole di comportamento non soltanto nella vita di relazione, ma anche durante l'esecuzione della propria pratica personale, e costituiscono il punto in comune a tutte le scuole, di qualsiasi orientamento.

   

L'equilibrio delle polarità

È un tema vastissimo, in cui sono particolarmente evidenti le influenze reciproche fra corpo e psiche. Le tecniche yoga aiutano a trovare l'equilibrio fra tutti gli opposti, come fra introversione ed estroversione o fra calma e capacità di agire, utilizzando innanzitutto gli effetti fisiologici di âsana e prânâyâma, che predispongono eventualmente a tecniche più profonde.

   

Yoga contro la stanchezza

Si possono approfondire i meccanismi psicofisici che riducono le forze, particolarmente la tensione muscolare prolun­gata e i metodi che aiutano a eliminarla.

   

Yoga e colonna vertebrale

Gli esercizi di allineamento della colonna vertebrale e di allungamento della muscolatura relativa possono dare un notevole sollievo per vari problemi, riducendo al minimo la necessità di intervento specialistico.

   

Dal respiro spontaneo al prânâyâma

Si possono illustrare le ragioni che rendono opportuno, prima di praticare il prânâyâma vero e proprio, sperimentare le varie tappe che conducono alla rimozione degli ostacoli a una corretta respirazione e all'apprendimento del respiro profondo, efficace e regolare.

   

Vari altri temi di carattere pratico possono essere approfonditi, come l'esame particolareggiato di una singola tecnica, dal punto di vista fisiologico e simbolico; anche i temi trattati nei precedenti capitoli possono suggerire la traccia di un incontro.

   

Domande sullo Yoga

Nei nostri paesi lo Yoga non è ancora sufficientemente compreso e spesso chi lo insegna, o anche semplicemente chi dichiara di praticarlo, si sente rivolgere domande su di esso, oppure sente fare affermazioni poco verosimili. Anche chi ha idee chiare può essere in imbarazzo a dare risposte esaurienti, perché l'interrogante e l'interrogato si trovano spesso su piani diversi di comunicazione. La mentalità occidentale si aspetta di solito spiegazioni analitiche, piuttosto che cercare subito un coinvolgimento completo, potremmo dire viscerale, in un'esperienza. Anche chi ha interesse per le filosofie orientali, limita spesso il suo approfondimento al piano culturale, potremmo dire cerebrale, oppure agli aspetti antropologici, senza farsi coinvolgere nelle discipline pratiche.

Una richiesta abbastanza frequente è quella di definire in poche parole che cosa è lo Yoga. Sembra opportuno non dilungarsi in spiegazioni, ma far notare che lo Yoga è una disciplina praticata da migliaia di anni, e che quindi non si può definire in poche parole; d'altra parte nemmeno un lungo discorso può chiarire l'essenza dello Yoga senza un'esperienza personale, anche se è possibile accennare a certe sue caratteristiche. Talvolta, anziché un colloquio individuale, avviene di tenere un discorso di presentazione del corso che si propone. A parte l'opportunità di indirizzare il discorso per lo più in base alle domande dei presenti, si può suggerire di sviluppare in particolare i seguenti temi.

a) Far notare che esistono molte opinioni contrastanti sullo Yoga, che da alcuni è considerato un'attività esclusivamente psicofisica (se non addirittura fisica) e da altri è inteso come una pratica spirituale. Chiarire quindi che lo scopo è l'evoluzione del praticante verso lo stato di equilibrio e di armonia dell'intera personalità.

b) Spiegare che comunque le tecniche che riguardano il corpo sono importantissime, a causa delle influenze reciproche fra le diverse componenti dell'individuo.

c) Far rilevare che lo Yoga non va praticato per imitazione, e che quindi è sbagliato sia l'atteggiamento della forzatura delle pratiche sia quello della rinuncia a priori.

d) Chiarire che comunque lo Yoga può essere praticato a diversi livelli e con una gradualità di scopi, quindi anche da chi non è ancora interessato all'aspetto dell'evoluzione spirituale.

e) Chiarire che lo Yoga va distinto dall'induismo, e non comporta cambiamenti nelle proprie convinzioni religiose e nello stile di vita, se non per libera scelta.

f) Nel caso che vengano fatte domande sul buddhismo, precisare che la filosofia yoga e quella buddhista, spesso confuse negli articoli di giornali non specializzati, hanno una concezione dell'individuo molto diversa, benché alcune tecniche siano molto simili.

I punti precedenti riguardano i principali pregiudizi che trattengono molte persone dalla pratica. L'incomprensione del significato delle tecniche corporee può distogliere le persone interessate alla spiritualità, o comunque indurle a limitarsi a poche tecniche, ad esempio respiratorie, non preparate dalle pratiche di base. Spesso si nota in tali persone una vera forma di repulsione a coinvolgere il corpo, evidentemente a causa di malintesi ideologici o di problemi personali. Spesso viene addotto come giustificazione il fatto di avere determinati problemi di salute, considerati impedimenti alla pratica anziché stimolo a cercare il proprio metodo di pratica individuale con l'aiuto di un esperto. L'atteggiamento opposto è rappresentato da chi pone nel benessere del corpo il proprio fine: a queste persone è necessario chiarire che lo Yoga ha potenzialità ben più elevate, anche se eventualmente la loro ricerca dovrà essere rinviata a quando spontaneamente se ne svilupperà l'interesse. Come è noto, di solito l'interesse per le cose spirituali non comincia in età troppo giovanile, quando la persona è impegnata a fare esperienza del mondo materiale, ma nasce più tardi, quando ci si accorge che tali esperienze non soddisfano in modo assoluto.

Molte persone, che hanno avuto notizie frammentarie sullo Yoga, ritengono che certi comportamenti, come l'alimentazione strettamente vegetariana, siano parte essenziale della pratica. è importante far capire che niente è imposto dall'esterno, ma che ognuno gradualmente si accorgerà di quali alimenti e di quali stili di vita gli convengono, man mano che la sua sensibilità aumenterà. Altri pensano che sia obbligatorio accettare dottrine indiane, come quella delle rinascite successive, o addirittura temono di andare contro i princìpi della propria religione. In effetti alcuni insegnanti non hanno saputo distinguere completamente il metodo dello Yoga, di validità universale, da pratiche legate all'induismo. Inoltre, alcuni mantra classici contengono invocazioni a divinità indiane. Occorre chiarire che l'idea indiana di divinità è piuttosto diversa da quella occidentale dell'unico Dio creatore, e che tali invocazioni possono avere un valore simbolico, anche se sembra opportuno non proporle a persone poco preparate ad accettarle. Si può poi far notare che il metodo yoga può aiutare a comprendere meglio anche la propria tradizione, e in effetti attraverso di esso molti hanno compreso nuovi e più profondi significati della religione che professavano.

I princìpi di yama e niyama generano perplessità in alcune persone, che li considerano inapplicabili nel mondo attuale. A questo proposito si può ricordare una vecchia battuta, che afferma che per poter dire bugie bisogna avere un'ottima memoria, perché bisogna ricordare con precisione che cosa si è detto a ciascuna persona. Di qui si può chiarire che tali princìpi non vanno considerati come un fatto moralistico, ma sono prima di tutto finalizzati al raggiungimento della serenità. Analogamente alla battuta citata, chi è in possesso di un regolare biglietto non deve preoccuparsi dell'arrivo del controllore quando viaggia in treno o in autobus. Così yama e niyama non devono essere considerati imposizioni esterne, ma basi necessarie all'evoluzione personale.

Spesso le persone che vanno a iscriversi a una scuola di Yoga hanno timore di confrontarsi con gli altri allievi e fanno rilevare di “non saper niente”. A volte chiedono consiglio su quale libro leggere prima di iniziare la frequenza o chiedono di assistere a una seduta. Oltre a chiarire il fatto che la competizione è esclusa dalla pratica, l'insegnante potrà spiegare che leggere un libro prima di un'esperienza pratica può essere addirittura fuorviante, se l'allievo prova a eseguire le tecniche con uno spirito da ginnasta, al di fuori dell'atmosfera della seduta opportunamente guidata. Anche avere eseguito in precedenza qualche tecnica con una persona poco esperta potrebbe creare atteggiamenti errati. Di solito gli insegnanti ammettono i nuovi allievi a una lezione di prova senza impegno, mentre è assolutamente da escludere il permesso di assistere a una seduta, sia per rispetto ai praticanti, sia perché ciò non potrebbe in nessun modo rendere l'idea degli effetti dello Yoga.

Un altro problema di rapporto si può verificare con allievi che hanno tendenza, per così dire, a insegnare all'insegnante, proponendogli altri stili di conduzione del corso. Soprattutto chi ha già praticato in altre scuole, come già detto, cerca spesso di riprodurre lo stesso modello di pratica, ma anche chi inizia da zero può non comprendere certe regole. Alcuni vorrebbero coinvolgere emotivamente l'insegnante nei propri problemi, oppure vorrebbero dedicare una notevole parte del tempo a discorsi e discussioni. Altri vorrebbero aumentare la durata delle pratiche in movimento rispetto a quelle statiche, o praticare con sottofondo musicale o con illuminazione più forte, e così via. La soluzione di queste difficoltà è in relazione con la responsabilizzazione. Nell'ascoltare i problemi dell'allievo l'insegnante dovrebbe essergli tanto vicino da dimostrargli la sua amicizia e la sua disponibilità, e nello stesso tempo abbastanza distaccato da non risentirne egli stesso e favorire l'individuazione delle scelte più opportune da parte dell'altra persona, senza alcun atteggiamento direttivo. Anche per altri problemi si può seguire il principio della responsabilizzazione, ad esempio dicendo che, se si sente molto bisogno di movimento, si può dedicare del tempo per tali pratiche a casa, mentre nella scuola si cercherà di vivere un'esperienza, il più profonda possibile, delle tecniche tradizionali. Si può far notare che il metodo degli âsana statici è tipico dello Yoga, e ci deve pur essere una ragione per questo, dato che è più spontaneo pensare a esercizi fisici in movimento. Considerazioni simili valgono per le ritenzioni del prânâyâma. Così si può proporre di verificare se il bisogno di movimento possa essere legato a una scarsa comprensione del metodo e delle grandi intuizioni degli antichi ricercatori di hatha-yoga. Una sintetica formula mentale che può essere suggerita come definizione di âsana è la seguente: allungare, rimanere, osservare. Quanto alla richiesta di stimoli esterni, essi potrebbero costituire un condizionamento e opporsi all'interiorizzazione. Basta osservare quanto ai nostri giorni si abbia paura del silenzio e come si cerchi lo stordimento nelle ore libere e nei periodi di vacanza con un eccesso di stimoli sensoriali, allo scopo di non avvertire la voce interiore. La disciplina dello Yoga e le regole della scuola non devono essere considerati, per così dire, come una tassa, di cui si cerca di pagare il minimo indispensabile, ma come un mezzo di liberazione.

Molti allievi, che desidererebbero condividere la loro esperienza con parenti e amici, rimangono delusi nel constatare che spesso proprio le persone più vicine a loro accolgono con freddezza i loro inviti a praticare, e domandano all'insegnante come si può fare per convincerle. Spesso riferiscono di avere già dato ampie spiegazioni e di avere insistito più volte nelle loro proposte. Le troppe insistenze hanno generalmente l'effetto contrario. A parte il rispetto per le decisioni di ciascuno, il rifiuto nasce generalmente dalla paura di confrontarsi con altri o di guardare dentro di sé, e le insistenze possono rafforzarla. è piuttosto importante dimostrare praticamente quanto si è ottenuto con lo Yoga nell'evoluzione del proprio carattere e del proprio comportamento, il che può far nascere dei dubbi e dei ripensamenti. Conviene anche sconsigliare di esibirsi in tecniche che, fuori del contesto della seduta, non sarebbero comprese.

Spesso gli insegnanti sono consultati su problemi personali. In questi casi non dovrebbero pretendere di sostituirsi al medico o allo psicologo, pur consigliando le tecniche dello Yoga che possono essere coadiuvanti. Gli allievi danno spesso l'impressione di ricercare un esercizio specifico per un dato disturbo, con l'intenzione di praticare soltanto o prevalentemente quello. Bisogna dunque far capire l'importanza di una pratica completa ed equilibrata, anche se al suo interno si può insistere in particolare su alcune tecniche. Accade di frequente, quando l'allievo chiede un consiglio, di domandargli quali tecniche esegue abitualmente, e di sentirsi rispondere che non pratica al di fuori delle sedute della scuola. Prima di tutto occorre quindi che si abitui a dedicare un po' di tempo a se stesso regolarmente, poi si potrà ridiscutere la pratica più opportuna.

A volte l'allievo lamenta di non poter praticare a casa perché non ricorda nulla della seduta. Salvo il caso di vere patologie della memoria, è chiaro che si tratta di una resistenza, dato che ogni persona conserva comunque una grande quantità di nozioni, e può ricordare, se non tutta la seduta proposta dall'insegnante, almeno alcune tecniche significative.

Probabilmente l'obiezione che viene mossa più sovente ai suggerimenti degli insegnanti è quella di non avere tempo di praticare. Salvo casi eccezionali, il vero problema non è di tempo ma di convinzione. Ognuno fa prima le cose che ritiene importanti, e se ci fosse convinzione si troverebbe comunque il modo di dedicare qualche minuto alla pratica, il che fra l'altro avrebbe poi l'effetto di rendere più facile l'adempiere alle altre incombenze della giornata. Nelle persone che dicono di avere pochissimo tempo per lo Yoga, o che vi rinunciano del tutto, si osserva spesso l'intenzione, più o meno consapevole, di non voler migliorare, o per lo meno di non volersi evolvere oltre un certo limite. Ciò può dipendere dalla paura di nuove responsabilità che deriverebbero dalla nuova condizione, o di non poter più attirare l'attenzione degli altri sul proprio stato, quando si è abituati a commiserarsi e a farsi commiserare. Anche in simili casi sono generalmente inutili le lunghe discussioni, mentre si può cercare di prospettare la situazione con semplici esempi. Il mondo può essere paragonato a un grande mercato, dove, per ottenere una cosa, bisogna darne un'altra in cambio. La vita è un continuo baratto e nessun risultato è gratuito. A volte si tratta di dare del denaro, a volte cose più difficili come un po' di tempo, di disponibilità, di fiducia. Così, ognuno deve scegliere se vuole accettare un tipo di problema o un altro, invece di pensare in assoluto che una cosa può o non può essere fatta. Una maniera di chiarire efficacemente la situazione può essere data dal racconto della seguente barzelletta.

Un uomo va dal medico, lamentando di stare diventando sordo. Dopo averlo esaminato, il medico dichiara: “dipende dall’alcool; deve smettere di bere del tutto”. “Bene, proverò a fare così”, risponde l'uomo. Dopo un certo tempo il paziente telefona al medico dicendo: “Sento benissimo”. Passa ancora un po' di tempo e l'uomo torna dal medico dicendo: “Si può fare qualche cura? Non sento più niente”. “ma come”, risponde il medico, “mi aveva detto che poteva sentire, una volta che aveva smesso di bere”. “Ah, si, ma poi mi sono accorto che quello che bevevo mi piaceva molto di più di quello che sentivo, così ho ricominciato a bere”.

Come il protagonista della barzelletta, ognuno ha la responsabilità di scegliere: o sordo o sobrio, o praticare o accettare lo stato presente. Per questo in alcune tradizioni si afferma che un buon allievo con un insegnante mediocre impara più di un allievo mediocre con un grande insegnante.

   

   

  


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