K. S. Joshi
Prānāyāma, lo Yoga del respiro

 


 

INDICE


1. CHE COS'Č IL PRĀNĀYĀMA

Il prānāyāma č controllo del respiro

Come ebbe origine il prānāyāma

Perché respiriamo

Perché si deve controllare il respiro

Che cosa puņ fare per noi il prānāyāma

 

2. FALSE CREDENZE RIGUARDO AL PRĀNĀYĀMA

 

3. PRIMA DI COMINCIARE
 
Come prepararsi al prānāyāma

Qualitą dell'allievo

A quale etą si puņ cominciare

Per entrambi i sessi

Ambiente e scelta dei luogo adatto

Che cosa indossare durante il prānāyāma

Quando praticare il prānāyāma: durata della seduta

Dieta e abitudini alimentari

Prānāyāma e altre attivitą

Costanza nella pratica

Come misurare il tempo

Pulizia delle vie nasali: neti

Dove sedersi

Posizioni adatte per il prānāyāma

Sukha-āsana

Vajra-āsana

Svasty-āsana

Siddha-āsana

Padma-āsana

 

4. COME PRATICARE IL PRĀNĀYĀMA
 
Le tre componenti del prānāyāma

Il prānāyāma yukta

Respirazione attraverso una sola narice

Iniziamo la pratica

Inserimento del kumbhaka (ritenzione)

Uso dei bandha

l tre livelli dei kumbhaka

Il respiro addominale incessante: kapālabhāti

Ritenzione esterna

 

5. VARIANTI DI PRĀNĀYĀMA

Anuloma-viloma

Ujjāyī

Sūryabhedana

Bhastrikā

Shītalī

Sītkārī

Bhrāmarī

Mūrchā

Plāvinī

 

6. PRĀNĀYĀMA: LA CHIAVE DELLA SALUTE

Importanza di una buona salute

I componenti della salute

Il meccanismo della respirazione

Scambio di gas nei polmoni

Il controllo nervoso della respirazione

Respirazione in condizioni anormali

Effetti della respirazione nel prānāyāma

Postura seduta e ben diritta

Rilassamento dei corpo e della mente

Riempimento e svuotamento dei polmoni

Influenza sul ritmo di ventilazione

Modificazioni della pressione toracica

Allenamento dei muscoli della respirazione

Attivazione delle aree mute dei cervello

Prānāyāma: la chiave della buona salute

Digestione

Circolazione dei sangue

Respirazione

Secrezione

Escrezione

Riproduzione

Coordinazione delle diverse funzioni

 

7. IL PRĀNĀYĀMA PER LA CURA DELLE MALATTIE

Cause di malattia

Condizioni ambientali

Ereditarietą

Comportamento sregolato

Errori dietetici

Mancanza di equilibrio tra lavoro e riposo

Igiene e pulizia

Inquinamento

Mancanza di esercizio fisico

Lo stress

Difetti posturali

Mal di testa

Emicrania

Mal di schiena

Diabete

Obesitą

Stitichezza

Flatulenza

Dispepsia

Aciditą

Ulcera gastrica e ulcera peptica

Dissenteria cronica

Emorroidi

Ipertensione

Vene varicose

Raffreddore, riniti e sinusiti

Bronchite cronica

Asma

Nervosismo e instabilitą mentale

Sciatica

Insonnia

Spondilite

Artrite reumatoide

Gotta

Dislocazione dell'utero

Disturbi mestruali

Debolezza sessuale

Squilibrio dei carattere

 

APPENDICE: Una routine Yoga per sentirsi in forma

 


 

PASSI SCELTI

 

1. Che cos'č il prānāyāma

Il prānāyāma č una parte importante - e tuttavia poco conosciuta - dello yoga. Le sue tecniche sono state praticate per secoli da appassionati cultori dello yoga in āshrama remoti e ci sono state tramandate attraverso molte generazioni sia nella pratica sia in opere manoscritte. Fino a poco tempo fa questa arte e scienza del respiro yogico era completamente sconosciuta all'uomo comune, cosģ come molte altre antiche arti indiane. Coloro i quali possedevano questa conoscenza e questa esperienza erano alquanto restii a rivelarle, a meno che un discepolo dimostrasse, attraverso una serie di prove, di essere pronto a ricevere tale insegnamento. Durante gli ultimi trent'anni, tuttavia, la situazione č cambiata, e argomenti come il prānāyāma, la meditazione, e perfino Kundalinī, vengono fatti oggetto di discussione in tutto il mondo, non solo da parte di maestri di yoga, ma anche da parte di gente comune e di scienziati. Pił di recente varie tecniche dello yoga hanno cominciato ad attirare l'attenzione dei medici, dei terapeuti, e degli esperti di medicina. Si trovano facilmente medici e pazienti in grado di raccontare le proprie esperienze circa la cura di varie malattie per mezzo delle tecniche yoga. Č stato provato al di lą di ogni dubbio che il prānāyāma č un metodo molto importante per prevenire e curare vari disturbi. Č stato questo fattore, pił di ogni altro, che ha suggerito la stesura di questo libro: il suo scopo č comunicare all'uomo comune la conoscenza tradizionale di questa grande arte, in modo che essa possa essere adoperata senza bisogno di molto aiuto esterno, tanto per il mantenimento quanto per il ripristino della salute. Ci auguriamo che, grazie a questo libro, il lettore possa avere gli strumenti adeguati per tenere lontane le malattie, facendo uso delle antiche tecniche del prānāyāma.

Il prānāyāma č il quarto stadio dell'ottuplice yoga negli Yogasūtra di Patańjali: č questo il pił autorevole testo di yoga. La maggior parte degli esperti ritengono che esso sia stato scritto nel secondo secolo prima di Cristo. Le otto parti dello yoga trattato nel sistema di Patańjali sono: 1) yama, 2) niyama, 3) āsana, 4) prānāyāma, 5) pratyāhara, 6) dhāranā, 7) dhyāna, 8) samādhi.

II prānāyāma č menzionato anche nella Gītā, la quale e di gran lunga il pił popolare libro sullo yoga. Né la Gītā ne gli Yogasūtra contengono perņ una dettagliata descrizione di come deve essere praticato il prānāyāma: per questo dobbiamo rivolgerci ai testi dello hatha-yoga e ad alcune tarde Upanishad denominate Yoga-Upanishad. Questi testi risalgono approssimativamente al quindicesimo secolo dopo Cristo o ad epoche posteriori: ma non si deve trarre da ciņ la conclusione che le tecniche del prānāyāma siano note da soli cinquecento anni. Molti riferimenti diretti e indiretti al prānāyāma (quali effetti produce, perché praticarlo, qual č la sua importanza) ricorrono nella letteratura vedica, nelle antiche Upanishad, nella Smriti, nei Purāna e in trattati come lo Yogavāsistha. Ciņ dimostra che il prānāyāma e le sue tecniche erano conosciuti fin dal tempo dei rishi vedici. Sembra perņ del tutto certo che la pratica del prānāyāma venisse insegnata a pochissime persone e non abbia mai avuto una larga diffusione. Anche coloro che l'avevano appresa la seguivano pił come parte di prescrizioni religiose che non come disciplina per il corpo e per la mente.

II merito di aver reso popolare il prānāyāma come disciplina a sé stante e come metodo per conservare in buona salute il corpo e la mente spetta ai seguaci dello hatha-yoga. Essi gli attribuirono un posto molto importante fra le pratiche dello hatha-yoga e ne descrissero varie tecniche, mettendo in rilievo l’utilitą di ciascuna di esse. Si dice che lo hatha-yoga consiste di quattro categorie principali di esercizi, vale a dire āsana, prānāyāma, mudrā e nadānusamdhāna (quest’ultimo significa divenire consapevoli dei suoni interiori). Queste quattro categorie di esercizi dovrebbero infine condurre allo stato di samādhi, il quale conferirebbe al singolo adepto dello yoga la conoscenza assoluta, o conoscenza del Sé: questa conduce a sua volta all'emancipazione, cioč alla liberazione dal ciclo delle rinascite.

Quando iniziamo ad interessarci al prānāyāma e al suo contesto culturale, alcuni problemi si affacciano alla nostra mente. Li discuteremo quindi uno alla volta.

Che cos'č il prānāyāma?

2) Quale fu la sua origine?

3) Perché respiriamo?

4) Perché si deve controllare il respiro?

5) Che cosa puņ fare per noi il prānāyāma?

In un certo senso questo libro č un tentativo di dare risposta a tali domande: dobbiamo perņ considerarle dal punto di vista di un principiante, allo scopo di formarci un'idea generale sul prānāyāma. Le informazioni che verranno date nei capitoli seguenti potranno cosģ essere comprese pił chiaramente.

 

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IL PRĀNĀYĀMA Č CONTROLLO DEL RESPIRO

II prānāyāma puņ essere definito in termini semplici il controllo del respiro: la sua essenza consiste nel modificare i nostri processi normali di respirazione. La respirazione č quell'atto con il quale assumiamo aria dall'atmosfera per M introdurla nei polmoni, assorbiamo ossigeno nel sangue dall'aria stessa ed espelliamo nuovamente l'aria nell'atmosfera unitamente ad anidride carbonica e vapore acqueo. Questa azione di inspirazione ed espirazione viene ripetuta ogni quattro o cinque secondi, sicché di norma noi effettuiamo circa quindici atti respiratori al minuto, immettendo ogni volta pressappoco 500 centimetri cubi di aria nei polmoni. Inspiriamo ed espiriamo quindi approssimativamente sette litri d'aria ogni minuto. Una qualsiasi modificazione di questo normale processo respiratorio non costituisce prānāyāma: infatti il modo normale di respirare si modifica in maniera evidente in determinate situazioni. Ad esempio, quando solleviamo o trasportiamo dei pesi, camminiamo in salita, corriamo, o facciamo dell'esercizio fisico, respiriamo pił rapidamente ed energicamente. In alta montagna, dove l'atmosfera č rarefatta, il nostro respiro diviene pesante. Il modo di respirare si modifica anche in presenza di eccitazione emotiva, o in caso di disturbi quali asma, tubercolosi, bronchite e altre affezioni polmonari. In queste condizioni la modificazione del respiro si determina involontariamente, e magari inconsapevolmente, a meno che non si abbia difficoltą di respirazione. In realtą non siamo quasi i mai coscienti del fatto che stiamo respirando.

II prānāyāma consiste in una modificazione del respiro effettuata in modo deliberato e cosciente. Possiamo modificare il respiro in tre diversi modi:

1) Inspirando ed espirando rapidamente, con atti respiratori poco profondi.

2) Inspirando ed espirando lentamente, con atti respiratori lunghi e profondi.

3) Interrompendo del tutto l'atto respiratorio.

Il primo modo di modificare il respiro non viene solitamente incluso nel prānāyāma propriamente detto, sebbene talvolta sia strettamente collegato ad esso. Il secondo e il terzo modo sopra menzionati appartengono al prānāyāma: di fatto la pratica del prānāyāma puņ ben essere riassunta nei due modi suddetti.

Affinché una modificazione del respiro possa essere considerata prānāyāma vi č ancora una condizione da soddisfare: si tratta della posizione del corpo. Vi č circa mezza dozzina di posture adatte allo scopo: esse sono chiamate posture meditative, dal momento che sono molto adatte per la meditazione. Fra di esse la pił famosa č siddha-āsana, mentre la pił facile e comoda č svastika-āsana: ma quella che tradizionalmente viene raccomandata pił di ogni altra per il prānāyāma č padma-āsana. In uno dei prossimi capitoli descriveremo dettagliatamente tali posture. Basti qui ricordare che il prānāyāma č definito da Patańjali come «una modificazione del respiro in una posizione seduta che sia immobile e comoda»: tale postura č parte essenziale del prānāyāma.

Il prānāyāma č dunque un’azione complessa in cui l'adepto, dopo avere assunto una posizione adatta, inspira ed espira lentamente, profondamente e completamente, ed effettua anche arresti del respiro. L'inspirazione nel prānāyāma č chiamata pūraka, che letteralmente significa «l’atto del riempire», l’espirazione č chiamata rechaka, che significa «l’atto del vuotare». La ritenzione del respiro č chiamata kumbhaka. Kumbha significa «vaso per l’acqua»: proprio come un vaso per l'acqua contiene acqua quando ne viene riempito, cosģ nel kumbhaka il respiro č trattenuto nei polmoni dopo averli riempiti. In realtą il kumbhaka puņ essere eseguito in due modi: si puņ trattenere il respiro dopo un pūraka, oppure dopo un rechaka: La prima variante č maggiormente raccomandata nei testi tradizionali, essa č chiamata abhyantara-kumbhaka o antah-kumbhaka. La seconda variante del kumbhaka č chiamata bahya-kumbhaka.

Nei testi tradizionali i due termini prānāyāma e kumbhaka sono usati spesso come sinonimi: ciņ puņ essere spiegato con il fatto che il kumbhaka e la parte pił importante del prānāyāma. Su di un punto sembra esservi tra gli esperti divergenza di opinioni: se una respirazione modificata che non includa alcun kumbhaka possa essere considerata di per se un prānāyāma. Ad esempio, se sĢ eseguono soltanto pūraka e recata, si puņ dire che si sta praticando un prānāyāma? Alcuni autori, i quali sostengono che il kumbhaka č parte indispensabile del prānāyāma, insistono sul fatto che pūraka e rechaka da soli non costituiscono prānāyāma. Vi sono pero altri autori che non sono d'accordo su questo modo di definire il prānāyāma.

 

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COME EBBE ORIGINE IL PRĀNĀYĀMA

Comunque si definisca il prānāyāma (vale a dire, che si ritenga o no il kumbhaka parte indispensabile di esso), una sua componente essenziale, sulla quale concordano tutte le definizioni, č che esso comporta un controllo del respiro. In sanscrito il respiro č chiamato prāna. Prāna significa anche «anima»: nel termine prānāyāma, perņ, non significa anima, ma respiro. L'associazione di questi due significati del termine prāna č ovviamente molto stretta: vita e respiro sono congiunti. Quando un essere vivente muore, il respiro si ferma. Questa stretta associazione tra respiro e anima attrasse particolarmente l'attenzione degli antichi Arii, poiché essi credevano in un ciclo di rinascite finché l'anima perveniva alla definitiva liberazione (moksha o mukti).

Questa credenza nella trasmigrazione delle anime č espressa molto chiaramente nei seguenti shloka della Bhagavadgītā:

«Proprio come una persona getta via i vestiti vecchi e ne prende di nuovi, cosģ anche l'anima, che risiede nel corpo, abbandona i vecchi corpi e ne assume di nuovi.» (Gītā: 11, 29)

«Chiunque č nato č certo di morire, e chi muore č certo di rinascere. Questo ciclo č inevitabile: perciņ non c'č motivo di addolorarsene.» (Gītā: 11, 27)

L'osservazione che finché si respira si č vivi, e che quando il respiro si arresta la vita finisce, accompagnata dal convincimento che l'anima trasmigra di nascita in nascita, deve aver giocato un ruolo importante nelle idee iniziali riguardo al prānāyāma. Gli antichi scoprirono in primo luogo che, per conservare la vita, dobbiamo conservare il respiro, e che la conservazione del respiro comporta due cose: respirare lentamente, e quindi non respirare affatto (per un breve lasso di tempo). Questa idea fu ulteriormente rafforzata dalla credenza che la lunghezza della vita debba essere misurata non gią in termini di tempo (giorni o anni), ma in base al numero di atti respiratori che ci sono assegnati in sorte. Dal fatto che l'arresto del respiro e la fine della vita coincidono, gli antichi concepirono probabilmente l'idea che, una volta esaurito il numero dei respiri assegnati dal destino, non era possibile continuare a vivere. Questa idea č espressa anche ai giorni nostri in frasi come «l'ultimo respiro», per indicare la morte.

L'idea che i respiri di ciascuno di noi sono contati, che la durata della nostra vita dipende dal numero dei nostri atti respiratori, e che - di conseguenza - dobbiamo ridurre il numero dei respiri (in una data unitą di tempo), in modo da vivere pił a lungo, ebbene: quest'idea fu responsabile dell'origine del prānāyāma. Troviamo questa idea espressa chiaramente in diversi passi degli antichi testi sul prānāyāma. Per esempio nella Goraksha-padhati (1,93) si dichiara:

«Per paura della morte perfino Brahmā, il Signore della creazione, persevera nella pratica del prānāyāma, e cosģ fanno molti yogin e muni. Si raccomanda perciņ a colui che si dedica allo yoga di controllare sempre il proprio respiro.»

Allo stesso modo la Hathayoga-pradīpikā (11,39) afferma:

«Tutti quanti gli dči, compreso il Signore Brahmā, si dedicarono alla pratica del prānāyāma perché avevano paura della morte. Noi, che siamo mortali, dobbiamo seguire la medesima via e controllare il respiro».

Č possibile che l'origine del prānāyāma, come appare dalle precedenti citazioni, sia stata influenzata dall'idea di dominare la morte attraverso il controllo del respiro, ma in seguito molti altri benefici divennero evidenti: avremo occasione di occuparcene pił oltre.

 

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PERCHÉ RESPIRIAMO

Dato che respirare significa vivere, e viceversa, ci si puņ chiedere perché la vita sia cosģ dipendente dal respiro, tanto da cessare quando il respiro diviene impossibile. Tutti sanno che non si puņ vivere senza aria, ma ben pochi sono in grado di spiegare perché ciņ avviene. Ora, per comprendere come il prānāyāma puņ essere usato per la prevenzione e la cura delle malattie, č assai utile divenire consapevoli dei processi che si verificano nel corso della respirazione. Per cominciare dobbiamo distinguere tra «respiro» e «respirazione».

Nell'uso comune questi due termini vengono spesso adoperati come sinonimi, ma in realtą «respirazione» č un termine pił ampio. «Respiro» č l'atto fisico o meccanico, eseguito con l'ausilio di organi specializzati, mediante il quale l'aria, o pił precisamente l'ossigeno che vi č nell'aria, penetra nel corpo, mentre l'aria, insieme con le impuritą del corpo (quali anidride carbonica e acqua), viene espulsa dal corpo. «Respirazione», come termine di pił ampio significato, comprende questa azione, ma anche i processi ulteriori di trasporto e distribuzione dell'ossigeno assorbito in ogni parte del corpo. Per quanto concerne l'uomo e gli animali superiori possiamo dire che vi č sia «respiro» sia «respirazione»: ma nel caso delle piante, delle forme inferiori di vita e dei microorganismi, vi č soltanto «respirazione», poiché mancano gli organi del respiro. Un bambino appena nato incomincia a respirare subito dopo esser venuto alla luce, allorché i suoi polmoni si riempiono d'aria per la prima volta. Prima della nascita, nell'utero della madre, egli non respira, e tuttavia vi č una «respirazione»: viene infatti fornito ossigeno ad ogni cellula del suo corpo mentre esso si sviluppa all'interno dell'utero.

Esaminiamo ora per quale motivo l'ossigeno č indispensabile alla vita. Ogni tessuto vivente, ogni cellula, richiedono, per poter vivere, un costante apporto di energia. Essere vivi significa sottostare a determinati processi biochimici: questi processi, che sono l'essenza della vita, non possono avvenire senza energia. L'energia č immagazzinata nelle molecole di certe sostanze, quali il glucosio, il fruttosio, gli acidi grassi e gli aminoacidi, molecole che sono il prodotto terminale dei processi di digestione delle sostanze che ingeriamo sotto forma di cibo. L'energia immagazzinata in queste molecole puņ venir liberata soltanto attraverso una reazione chimica (detta ossidazione) dei composti che contengono l'energia stessa, reazione che non puņ avvenire se manca l'ossigeno. In assenza di ossigeno il processo di liberazione dell'energia si arresta, e ciņ significa la morte di quel tessuto. L'ossigeno č presente nell'atmosfera terrestre: al livello del mare vi č circa il 20% di ossigeno nell'aria.

Le cellule e i tessuti del nostro corpo non possono perņ utilizzare questo ossigeno direttamente dall'atmosfera: esso deve essere trasportato in ogni cellula e in ogni tessuto. L'importante compito di trasportare l'ossigeno in ogni infima parte del nostro corpo viene eseguito dal sangue: questa azione si chiama respirazione interna. Č chiamata invece respirazione esterna l'operazione che consiste nel mettere in contatto l'ossigeno con il sangue: essa non č altro che il respiro. Puņ quindi essere chiamato respiro l'espressione esterna del processo di respirazione che avviene all'interno. Ecco dunque che, se il respiro si arresta, ogni cellula, ogni tessuto del corpo (i quali richiedono in continuazione ossigeno per i processi di ossidazione aventi per scopo la liberazione dell'energia immagazzinata nei carboidrati, nei grassi e nelle proteine), morirebbero per mancanza di ossigeno. La mancanza di ossigeno significa cessazione dell'ossidazione: questa a sua volta significa interruzione dell'energia necessaria ai processi biochimici della vita, la quale conduce inevitabilmente alla morte di quella cellula o di quel tessuto. Questo č il motivo per cui la vita dipende unicamente dal respiro. Questo, forse, fu il motivo per cui i nostri antenati usarono il termine prāna per indicare tanto l'aria che respiriamo quanto l'essenza della vita, vale a dire l'anima. Ma, se č pur vero che il respiro č cosģ essenziale per la vita, ci si puņ tuttavia chiedere se vi sia qualche vantaggio nel controllare il respiro: č questo il nostro prossimo problema.

 

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PERCHÉ SI DEVE CONTROLLARE IL RESPIRO

Č facile osservare che, ogni qualvolta ci viene richiesto di compiere uno sforzo improvviso, come quando facciamo un salto in lungo o in alto, oppure solleviamo un grosso peso, o colpiamo un oggetto il pił forte possibile, automaticamente arrestiamo il respiro. Il respiro si ferma anche quando si subisce uno shock improvviso o quando la mente č del tutto assorbita in qualcosa di interessante. Ciņ mostra la relazione fra un'intensa attivitą fisica o mentale e il controllo del respiro. Tale controllo č posto in essere dai nostri centri nervosi che presiedono all'attivitą respiratoria. Nel prānāyāma controlliamo l'attivitą respiratoria mettendo in azione degli impulsi inibitori da parte del cervello. Pił avanti questo punto verrą trattato con maggiori dettagli: ciņ di cui ora ci occupiamo č semplicemente per quale motivo si deve controllare il respiro.

Č vero che per compiere varie attivitą della vita quotidiana non č affatto necessario controllare il respiro: questo infatti viene gią controllato e modificato, secondo le necessitą del corpo, da parte dei centri respiratori, senza che neppure ce ne rendiamo conto. Ad esempio, mentre riposiamo il respiro rallenta automaticamente; al contrario, quando vi č un'attivitą fisica che necessita di un aumentato apporto di ossigeno e di una pił veloce rimozione dell'anidride carbonica, il respiro si fa automaticamente pił rapido e profondo. Il controllo del respiro non č quindi richiesto per le usuali attivitą della vita quotidiana: esso viene invece intrapreso per un'altra ragione, che interessa noi tutti.

Uno dei presupposti basilari dello yoga č che il respiro (prāna) e la mente (citta) non sono separati o indipendenti l'uno dall'altra. In realtą essi sono considerati due diverse espressioni di un'unica entitą fondamentale. Essi sono interdipendenti: operano insieme e insieme cessano di operare. Noi usiamo costantemente ambedue le entitą, vale a dire il respiro e la mente. Il respiro č importante, perché da esso dipende la nostra esistenza. La mente č importante, perché tutto quello che č necessario per il successo nella vita, cioč piacere, felicitą, gioia, le nostre relazioni con il mondo, le nostre reazioni a ciņ che accade attorno a noi, tutto dipende dalla mente. Se la mente č ben allenata, in pace e piena di gioia, vale a dire sotto controllo, allora la vita diviene fruttuosa.

Questo fatto č espresso in modo molto chiaro nella Katha-Upanishad (l,iii,3-6), la quale cosģ afferma:

«L'anima č simile ad un viaggiatore che ha intrapreso il viaggio della vita per mezzo del carro del corpo, guidato dall'intelletto (buddhi), che ha per redini la mente e per cavalli gli organi di senso. Gli oggetti dell'esperienza costituiscono la via che deve essere percorsa. L'anima, i sensi e la mente, tutti insieme, formano colui che prova gioia o dolore, cioč l'individuo. Se la mente non č adeguatamente controllata, allora i sensi sfuggono di mano come cavalli indocili. Ma se la mente č controllata come si deve (yukta), allora i sensi obbediscono agli ordini del loro signore, cioč l'individuo, come cavalli ben domati: una tale persona, in veritą, raggiunge la meta pił alta della vita».

Il controllo della mente, per quanto sia essenziale per il successo nella vita, č una delle cose pił difficili da raggiungere. Siamo tutti consapevoli del fatto che, se controllassimo le nostre menti, potremmo rendere la nostra vita pił felice, e quindi assai pił piacevole per noi stessi e per gli altri: ci troviamo perņ privi di un aiuto. Ed č a questo punto che ci soccorre il prānāyāma. Gli antichi maestri di yoga sapevano che, se pure č difficile controllare la mente in modo diretto, essa puņ essere controllata mediante il controllo del respiro. Essi affermarono ciņ pił volte nei testi di yoga. Ad esempio, lo Yogavāsistha (V,78,46) afferma:

«Quando, attraverso la pratica continua del prānāyāma, le vibrazioni del respiro sono messe a tacere, ciņ fa sģ che anche la mente divenga del tutto silenziosa. Č questa la condizione di nirvāna

Lo stesso punto di vista č espresso nella Hathayoga-pradīpikā (IV,23), dove si dice:

«Qualora la mente sia completamente assorbita, anche il respiro č reso silenzioso, e viceversa.»

L'Annapūrna-Upanishad fa un passo ulteriore nel chiarire questo punto. Essa mette l'accento sull'unitą della mente e del respiro, e in tal modo sottolinea l'importanza del prānāyāma per il controllo della mente (11,89):

«Le vibrazioni che si producono nel respiro dell'aria (pavana) sono le stesse vibrazioni della mente. Cosģ i saggi si sforzano di controllare le vibrazioni del respiro.»

Si potrebbero citare diversi altri passi di antichi testi che attestano l'importanza del prānāyāma nell'acquietare la mente. Ma non c'č bisogno di molte citazioni. Questo punto di vista puņ ben essere riassunto nella seguente affermazione della Annapūrna-Upanishad (11,44):

«Gli yogin controllano il respiro per ottenere la pace della mente (cittashānti).»

Si potrebbe osservare che non siamo tutti degli yogin, e che quindi il prānāyāma non č utile a una persona qualsiasi. Questo perņ non č vero, perché ciascuno di noi ha bisogno di pace mentale, e se questa puņ essere ottenuta attraverso il prānāyāma, allora esso č certamente utile a tutti.

Ciņ non significa che la pace della mente sia l'unico scopo per il quale si pratica il prānāyāma. In realtą č una meta piuttosto lontana, anche se ne č stata ampiamente sottolineata l'importanza nella panoramica tradizionale sul prānāyāma. Vi sono mete pił vicine e pił facilmente raggiungibili, quali il mantenimento e il recupero della salute, un efficiente funzionamento dei vari apparati del corpo, specialmente il sistema respiratorio, la cura di malattie come l'asma, l'ipertensione, il diabete, ecc. Questi effetti del prānāyāma verranno trattati in modo completo in uno dei prossimi capitoli.

 

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CHE COSA PUŅ FARE PER NOI IL PRĀNĀYĀMA

Č di fondamentale importanza, per chiunque sia interessato ad apprendere e a praticare il prānāyāma, sapere che cosa esso puņ o non puņ fare Ad esempio, si deve comprendere che non tutte le malattie possono essere curate con il prānāyāma; allo stesso modo esso non č egualmente utile a tutti. Vi sono determinate condizioni verificandosi le quali il prānāyāma non puņ e non deve essere praticato. Č altresģ necessario sapere in che modo il prānāyāma agisce, cosģ da evitare ogni possibile pericolo presente nella pratica.

Lo studente che vuole apprendere il prānāyāma e continuare a praticarlo deve avere le idee chiare sulla sfera d'azione e sui limiti del prānāyāma stesso. Come parte dello yoga, il prānāyāma si dovrebbe di norma praticare insieme alle altre parti, cioč gli āsana e la meditazione. Questa pratica completa dą migliori risultati, in special modo nella prevenzione e nella cura delle malattie. Tratteremo dettagliatamente in un prossimo capitolo i vantaggi che il prānāyāma offre in questo campo. Ma prima č opportuno eliminare alcune false credenze, riguardo al prānāyāma, diffuse perfino presso alcuni maestri di yoga. Prenderemo in esame tali credenze nel prossimo capitolo.

 

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3. Prima di cominciare

Da quanto si č detto appare chiaro che il prānāyāma č una tecnica, la quale puņ essere acquisita soltanto per mezzo dell'allenamento, e puņ essere definita come l'arte di respirare in modo tale da ricavare il massimo beneficio dalla respirazione. Il prānāyāma č perņ anche la scienza del respiro, e spiega che cosa avviene nel nostro corpo e nella nostra mente durante la pratica, e quali sono in concreto i benefici che se ne ricavano. Quando una persona, leggendo un libro o visitando una scuola di yoga, si rende conto dell'utilitą del prānāyāma e decide di passare alla pratica, si presentano fin da principio alcune difficoltą. Vi sono di solito tre motivi possibili per i quali ci si interessa al prānāyāma. Esso puņ essere praticato come parte di un complesso di esercizi per tenersi in forma; oppure puņ esservi un problema di salute, e il prānāyāma č consigliabile come possibile soluzione. Č un buon segno il fatto che un sempre maggior numero di medici e terapeuti sia conscio dell'importanza del prānāyāma per la prevenzione e la cura di svariati disturbi. Vi sono poi persone che praticano il prānāyāma come parte di un sadhana spirituale, ma il loro numero č piuttosto piccolo.

Consideriamo ora i passi preliminari per prepararsi al prānāyāma prima di iniziare la pratica vera e propria.

 

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COME PREPARARSI AL PRĀNĀYĀMA

Per apprendere una tecnica o un'arte č molto importante disporre di un insegnante esperto. I libri possono fornire molte utili indicazioni, ma, quando si vuole effettivamente passare alla pratica, le indicazioni tratte dai libri non sono sufficienti. Ad esempio, se uno vuole imparare a guidare l'automobile, a nuotare, a dipingere, oppure a suonare uno strumento musicale, č essenziale ricevere istruzioni da qualcuno che sappia ciņ che si deve o non si deve fare. Questa persona deve fornire informazioni affidabili e deve avere una certa motivazione per l'insegnamento. Fino a qualche anno fa non era facile trovare un insegnante di prānāyāma capace ed esperto, ma ciņ non costituiva un grosso problema, perché anche il numero degli studenti era estremamente piccolo. Oggi, con l'accrescersi dell'interesse per il prānāyāma, si č accresciuto anche il numero degli istruttori, sebbene l'insegnamento lasci ancora molto a desiderare. Benché vi siano molti istituti e centri per l'insegnamento, non si č ancora sviluppato uno standard comune riguardo alle norme e alle procedure. Coloro che hanno avuto successo nel raccogliere seguaci e denaro hanno poco riguardo per gli altri che operano nel loro stesso campo.

Č curioso vedere come gli insegnanti affermati mostrino spesso la tendenza a procedere da soli e lottino per lasciare un'impronta personale, coniando nuove denominazioni per determinate tecniche. Basta dare un'occhiata ad un qualsiasi articolo delle numerose riviste di yoga per rendersi conto di come tali persone si preoccupino in modo eccessivo della propria immagine, delle proprie idee, di ciņ che essi apprezzano o disapprovano. Nelle scienze affermate, come la medicina, la fisica, l'ingegneria o la psicologia, non avviene nulla del genere, e l'opinione del singolo individuo come tale ha scarsa importanza: ciņ che veramente conta č resistenza di una prova imparziale e verificabile, la quale faccia da supporto a una qualsiasi opinione particolare. Nello yoga la situazione č molto diversa: qui ogni opinione, idea, o credenza č fortemente personalizzata.

Questa situazione č perņ destinata a mutare, in quanto un crescente numero di persone di formazione scientifica č attratto dallo yoga in generale e dal prānāyāma in particolare. Affinché quest'ultimo possa svilupparsi come una scienza impersonale universalmente applicabile, č necessario che la gente abbandoni l'atteggiamento immaturo (che la porta a rafforzare le tendenze egoistiche e monopolistiche dei cosiddetti guru, seguendoli ciecamente) e impari a basarsi su prove verificabili piuttosto che su invenzioni altisonanti. Da principio, tuttavia, č difficile per uno studente riconoscere i buoni maestri da quelli che non lo sono. Coloro che parlano troppo, che approfittano della credulitą altrui, che sono troppo severi o superficiali, non sono buoni maestri di yoga. Allo stesso modo bisogna evitare quelli che sono avidi di denaro e di popolaritą a buon mercato. Un buon insegnante di yoga č modesto nei suoi rapporti con il prossimo, pronto ad insegnare agli altri, e non vanta capacitą esagerate. Il buon maestro di yoga sa essere umile e serio, ha una solida preparazione culturale e scientifica di base, ed č consapevole dei propri limiti. Altre sue capacitą saranno: una profonda conoscenza dei testi tradizionali e la capacitą di spiegare ciņ che in essi č implicito o sottinteso. Avrą fiducia nello yoga, ma non una fiducia cieca, e sarą desideroso di trasmettere agli altri ciņ che sa, ma senza immettervi il proprio ego.

Coloro che parlano troppo di sé e dei propri guru devono essere evitati: ci si deve reputare fortunati se si ha un maestro di prānāyāma avveduto ed esperto, perché tali insegnanti non sono molto comuni.

 

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QUALITĄ DELL'ALLIEVO

Abbiamo parlato a lungo dell'istruttore di prānāyāma, ma che dire dell'allievo? Quali sono le qualitą che deve possedere? Il prānāyāma č adatto a tutti? Sono queste alcune delle domande che deve porsi chi si accinge a studiare il prānāyāma.

Per quanto riguarda le qualitą che si richiedono all'allievo, c'č da dire che esse dipendono dall'obbiettivo che questi si pone, vale a dire fino a che punto egli intende progredire nella pratica. Per colui che vuole praticare il prānāyāma come parte di un sadhana spirituale, con lo scopo di raggiungere il samādhi o il risveglio dell'energia di Kundalinī, č essenziale un interesse sincero e profondo, spirito indagatore, pazienza e capacitą di lavorare in modo rigoroso. A un tale allievo si richiederanno il celibato, il controllo della dieta e una stretta disciplina del corpo e della mente. La maggior parte degli studenti di prānāyāma non č perņ interessata a tali mete, in quanto non ha né il tempo né la volontą di spingersi cosģ lontano. Se lo scopo č semplicemente quello di conservare o recuperare la salute, le qualitą che abbiamo elencato in precedenza non sono indispensabili.

Chiunque si accosta allo studio del prānāyāma deve perņ avere la volontą di apprendere le tecniche e gli elementi fondamentali, indipendentemente dal fatto che il suo interesse sia limitato oppure profondo. Comprendere chiaramente č necessario per ogni studente: un approccio casuale non potrebbe dare buoni risultati.

Le persone che soffrono di malattie, quali l'asma e il diabete, che si prestano ad essere curate con il prānāyāma, iniziano spesso a praticare con grande entusiasmo e interesse, ma in seguito tale entusiasmo svanisce, e subentra la discontinuitą. Questo non dovrebbe accadere, perché la mancanza di impegno non porta a buoni risultati. Se ci si accosta per la prima volta alla pratica del prānāyāma, č bene iniziare ad esercitarsi quando si č in un normale stato di salute. Se si č indisposti o convalescenti, oppure molto deboli, č bene rimandare la prima seduta fino a quando non ci si č rimessi completamente, e ciņ č opportuno anche quando si inizia il prānāyāma con l'intenzione di liberarsi di qualche disturbo. Ad esempio, pur avendo efficacia terapeutica nei confronti dell'asma, il prānāyāma non deve essere praticato quando sopravviene un attacco. Il prānāyāma č un esercizio di tipo particolare, ed esige che non ci si sforzi quando ci si trova in uno stato di indisposizione. Se uno č troppo stanco, dopo uno sforzo fisico o mentale, allora, prima di praticare, occorre riposarsi. Allo stesso modo č necessaria una pausa di riposo dopo un esercizio fisico faticoso, come il nuoto o la lotta. Inoltre il prānāyāma non deve essere praticato quando si č affamati, o subito dopo i pasti. Allo stesso modo, se uno č rimasto a lungo senza dormire, č meglio che rinvii la seduta fino a quando non si sia riposato.

Si sente chiedere spesso se č indispensabile prendere un bagno prima del prānāyāma. Nella mente di molte persone il bagno č associato a pratiche religiose, e il prānāyāma non disdegna tali pratiche: ma in realtą non c'č connessione tra le due cose. Č pur vero che dopo il bagno si ha la mente fresca e il corpo pulito, e ciņ giova al prānāyāma, ma non si tratta di una prescrizione assoluta.

In breve: durante la pratica č opportuno trovarsi in uno stato normale: se questa condizione č soddisfatta, si puņ dire che quasi tutte le persone sono adatte a praticare il prānāyāma.

 

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A QUALE ETĄ SI PUŅ COMINCIARE?

Come qualsiasi altra arte, il prānāyāma puņ essere iniziato in qualunque periodo della vita. Ma qual'č l'etą migliore? Una risposta generale č la seguente: prima č, meglio č. All'etą di otto/dieci anni si puņ cominciare a praticare il respiro profondo, con moderazione. Gli adulti possono cominciare a qualsiasi etą: un limite non esiste. Il prānāyāma fornisce uno dei migliori strumenti di prevenzione delle malattie, quali asma, artrite, diabete e disturbi del tratto digerente. Chi č soggetto a tali disturbi dovrebbe apprendere la tecnica del prānāyāma il pił presto possibile, per ottenere i migliori risultati: il detto «meglio tardi che mai» č comunque validissimo se riferito al prānāyāma.

 

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PER ENTRAMBI I SESSI

II prānāyāma č ugualmente utile agli uomini e alle donne: si puņ anzi affermare che č perfino pił utile alle donne, perché, in confronto agli uomini, esse hanno meno opportunitą di fare un regolare esercizio fisico. Di solito le loro attivitą si svolgono nell'ambito della casa, e di conseguenza le donne sono pił soggette a disturbi dovuti a vita sedentaria. Gli esercizi che riguardano l'addome e la zona pelvica sono di gran lunga pił importanti per le donne che per gli uomini: il prānāyāma, infatti, sollecita queste parti del corpo, aiuta a rimuovere la congestione sanguigna e tonifica i muscoli. Ha quindi una grande efficacia terapeutica sui disturbi del ciclo mestruale, sulla posizione dell'utero e per la preparazione al parto.

Č auspicabile che le donne pratichino il prānāyāma: infatti, se una donna comprende l'importanza di questa tecnica e si dedica al suo apprendimento, tutta la sua famiglia finirą col risentirne un effetto benefico.

 

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AMBIENTE E SCELTA DEL LUOGO ADATTO

Gli antichi testi abbondano di riferimenti alla scelta dell'ambiente adatto per la pratica dello yoga esoterico, che comprende prānāyāma e dhyāna. Sebbene oggigiorno ciņ non abbia importanza per la maggior parte di noi, puņ essere tuttavia interessante sapere quali prescrizioni venivano date. Allo studente di prānāyāma si raccomandava che dimorasse in una regione dal governo stabile, retta da un re di animo pio e abitata da una popolazione osservante delle pratiche religiose. Non doveva esservi timore di invasioni, né disturbo da parte di animali feroci, ladri, malintenzionati, insetti, epidemie o calamitą naturali, come tempeste di vento o inondazioni. Si consigliava poi di sottomettersi alla diretta supervisione di un guru in un luogo appartato, inserito in un ambiente gradevole, dove fosse facile soddisfare le esigenze di cibo, abitazione e tranquillitą di spirito.

Alcune di queste esigenze sono sentite come tali anche dagli studenti moderni: ad esempio, la pratica del prānāyāma richiede un luogo tranquillo, pulito, aerato, al riparo dalla curiositą altrui, dove il disturbo dovuto al rumore o ad altri fattori sia ridotto al minimo. Il posto migliore per lo studente moderno č la propria abitazione, purché le esigenze suddette siano soddisfatte. Talvolta puņ essere piacevole praticare il prānāyāma in un luogo ameno, sulla riva di un fiume, in un parco o in un tempio.

Nelle grandi cittą, dove gli alloggi sono piccoli e solitamente affollati, il prānāyāma puņ essere praticato in gruppo in grandi sale appartenenti a scuole o ad altre istituzioni, ma la pratica individuale a casa propria, quando č possibile, deve essere preferita. Anche all'inizio della pratica, quando l'apprendimento avviene presso una scuola, č bene esercitarsi poi individualmente. Una volta che le tecniche siano state apprese in modo corretto e si sia diventati abbastanza esperti, č irrilevante che l'esercizio quotidiano sia eseguito a scuola, a casa propria, oppure all'aperto. Quando si č in viaggio, anche uno scompartimento ferroviario oppure un aereo dotato di comodi sedili si possono considerare accettabili per il pranāyama.

 

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CHE COSA INDOSSARE DURANTE IL PRĀNĀYĀMA

Dipende dal clima, dalle norme sociali e dalle preferenze individuali. Se si pratica all'aperto, l'abito deve essere sufficiente a proteggere il corpo dal freddo. Nella bella stagione, se si pratica al chiuso, puņ bastare la biancheria intima. Con il caldo estivo, tutto quanto occorre č uno slip o un semplice perizoma. In ogni caso il corpo non deve essere troppo coperto, ne troppo poco (in relazione alla temperatura dell'ambiente), ne si deve provare fastidio a causa di indumenti troppo stretti o pesanti, quando si assume un āsana per tutto il tempo dedicato al prānāyāma. Quando si pratica in gruppo, in una scuola di yoga, č auspicabile una tenuta eguale per tutti.

 

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QUANDO PRATICARE IL PRĀNĀYĀMA: DURATA DELLA SEDUTA

II prānāyāma puņ essere praticato una volta al giorno, al mattino o alla sera. Di sera, dopo il lavoro della giornata, la mente č rilassata, le articolazioni e i muscoli non sono duri, perché sono stati sollecitati durante i vari movimenti della vita quotidiana. Alla sera, quindi, č pił facile assumere una postura per il prānāyāma e mantenerla restando immobili per il tempo richiesto. Al mattino, invece, le giunture sono piuttosto rigide, ma si possono rendere pił trattabili per mezzo di qualche esercizio di riscaldamento. Alla sera, puņ capitare di avere ospiti o di dover uscire, mentre al mattino si č meno disturbati; perciņ, dal punto di vista della regolaritą, il mattino č il momento migliore.

C'č poi un'altra considerazione, secondo la quale il mattino č pił adatto per la pratica del prānāyāma. Un'importante prescrizione vuole che lo stomaco sia sgombro durante gli esercizi. Infatti, nel corso di ogni ciclo respiratorio del prānāyāma, si verificano considerevoli variazioni di pressione all'interno della cavitą toracica e di quella addominale e, se lo stomaco fosse pieno, interferirebbe con queste modificazioni. Al mattino, prima di colazione, lo stomaco č pressoché vuoto, invece alla sera non č cosģ, e ciņ puņ causare irregolaritą nella pratica. Affinché lo stomaco sia vuoto bisogna aspettare due ore dopo la colazione e quattro ore dopo i pasti principali. Dopo una tazza di the bisogna lasciar passare circa mezz'ora prima di poter praticare gli esercizi.

Per quanto riguarda la durata della seduta, in genere sono sufficienti venti minuti. Nei giorni in cui si č molto occupati o pressati dal lavoro č meglio ridurre la seduta a dieci minuti, piuttosto che saltarla del tutto.

 

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DIETA E ABITUDINI ALIMENTARI

Č necessario essere vegetariani per praticare il prānāyāma? Questa domanda viene posta molto seriamente da parecchi allievi; ma una risposta fissa non esiste, e le opinioni dei maestri differiscono alquanto su questo punto. Da un lato, infatti, vi sono quelli che affermano che l'allievo dovrebbe smettere perfino di prendere the o caffč, per non parlare della carne e del pesce. All'estremo opposto vi sono alcuni guru moderni, i quali affermano che non sono necessario restrizioni della dieta ne della vita sessuale. La veritą sembra collocarsi a metą strada fra questi estremi.

Il problema «dieta» si puņ suddividere in due parti: a) che cosa mangiare; b) che cosa non mangiare. Riguardo alla seconda parte vi č, come si č gią detto, una grande varietą di opinioni. Sulla prima parte, invece, i pareri sono concordi: si dice, infatti, che la dieta dello studente di prānāyāma deve essere sattvika. Secondo la filosofia yoga tutto ciņ che esiste nell'universo č un misto, in varie proporzioni, di tre tendenze basilari, chiamate guna. Questi guna sono denominati rispettivamente sattva, rajas e tamas. Sattva significa leggerezza, pulizia, luminositą, piacere, felicitą, comprensione, conoscenza, pace, giustizia, e cosģ via. Rajas rappresenta l'attivitą, la mobilitą, l'eccitamento, l'invidia, la collera, e simili. Tamas si manifesta in forma di pesantezza, inerzia, pigrizia, mancanza di movimento, dolore, oscuritą e ignoranza.

Tutti gli alimenti sono ripartiti in tre gruppi. Alcuni sono sāttvika, con prevalenza del sattva, altri rajasika (prevalenza del rajas); quelli infine in cui prevalgono gli effetti del tamas sono denominati tāmasika. Nella Bhagavadgītā vi č una dettagliata descrizione dei tre guna e delle loro manifestazioni. Fra i cibi sāttvika troviamo latte bovino, burro chiarificato, riso, orzo, miele, frutta, noci di cocco, datteri, e alcune verdure: allo studente di prānāyāma si raccomanda di assumere solo cibi sāttvika. Carne, pesce, uova, vino, cipolle, aglio, spezie e peperoncino sono considerati rājasika, di conseguenza non dovrebbero far parte della dieta di una persona sāttvika.

Questa opinione sulla dieta yogica, tradizionalmente assai diffusa, puņ essere valida solo in un senso molto generale: forse č vera solo in alcuni casi estremi. In veritą non c'č un rapporto stretto fra quello che uno mangia e quello che uno fa o pensa, altrimenti sarebbe possibile convenire in galantuomini i criminali che si trovano nelle prigioni, semplicemente nutrendoli con alimenti sāttvika!

II problema del vegetarianesimo ha due aspetti: uno dietetico, e uno emozionale o etico. I sostenitori del vegetarianesimo spesso tralasciano di distinguere fra i due aspetti della questione, e ciņ ha dato origine ad una certa confusione riguardo al problema. č molto importante notare che le considerazioni dietetiche sono ben diverse da quelle di carattere etico. Naturalmente una soluzione valida tanto sul piano dietetico quanto su quello etico sarebbe l'optimum: ma una tale soluzione unica, valida per tutte le persone, non esiste, perché le esigenze nutrizionali differiscono grandemente da persona a persona. Non č possibile prescrivere lo stesso tipo di dieta a ragazzi nell'etą della crescita, a persone convalescenti, a madri che allattano, ad atleti, a coloro che fanno un lavoro sedentario e a quelli che fanno invece un lavoro pesante. Gli studenti di prānāyāma possono appartenere indifferentemente ad uno qualsiasi di questi gruppi: affermare che essi devono mangiare solo cibi sāttvika strettamente vegetariani significherebbe fissare una regola troppo rigida e non necessaria. Allorché gli antichi testi prescrissero tale regola, essa era destinata a coloro che avevano abbandonato la casa e il lavoro per dedicare la propria vita unicamente ad uno studio approfondito del prānāyāma e del dhyāna. Gli antichi testi non sbagliano nelle loro prescrizioni dietetiche, ma sbaglieremmo noi per certo se applicassimo tali prescrizioni in maniera indiscriminata a qualsiasi persona: molti di noi, che si accostano alla pratica del prānāyāma, devono fare anche la loro parte, nella famiglia e nella societą.

Dal punto di vista etico il problema non č «che cosa si deve o non si deve mangiare»: si tratta invece di vedere se č lecito uccidere per ottenere il cibo. Questa č una scelta che non riguarda la dietetica, ma dipende dalle norme etiche che si vogliono seguire. Sicuramente non ci puņ essere, a questo proposito, una regola fissa, valida per qualsiasi persona in qualsiasi tempo: una tale regola puņ essere prescritta solo agli allievi progrediti, come fu fatto dagli antichi testi, ma non puņ essere applicata a tutti in maniera indiscriminata.

Qual'č dunque la migliore dieta per lo studente ordinario? Un utile consiglio, valido per tutti, si trova nella Hathayoga-pradīpikā (I,63). Questo testo sottolinea l'importanza del cosiddetto mitāhāra o dieta bilanciata, ed afferma:

«La dieta deve contenere tutte le sostanze nutritizie necessario, deve essere gustosa, deve comprendere latte e latticini a sufficienza, e deve apportare nutrimento a tutti gli organi del corpo. Una tale dieta deve essere gradevole. Soprattutto deve giovare allo scopo che ci si propone.»

L'ultima tra le caratteristiche elencate, per la quale il testo usa il termine yogya (che significa, adatto, utile o appropriato), rende lecita una grande varietą di alimenti, vegetariani e non, a seconda del ruolo che uno svolge nella vita.

Possiamo ora dare alcuni suggerimenti d'ordine generale sulla dieta. Č sempre buona norma evitare cibi e bevande che provochino disturbi o che non siano adatti alla propria costituzione. Ciņ che va bene per una persona puņ non andare bene per un'altra. Bisogna poi sempre evitare di mangiare in modo eccessivo o troppo di frequente. Ciņ che pensiamo o facciamo č pił importante di quello che mangiamo o non mangiamo: astenersi dal vino, o dalla carne, o perfino dal the e dal caffé non ha in sé alcun valore. Č molto importante includere nella dieta verdure crude, come carote, ravanelli, cipolle, cavolo, cetriolo, germogli crudi o cotti. Frutta e latte costituiranno la parte pił gradevole e utile della dieta: questa deve fornire un apporto sufficiente ma non eccessivo di calorie. Occorre moderarsi nei fritti. Non č necessario rinunciare ad un particolare alimento, ma qualsiasi eccesso deve essere evitato. Č poi utilissimo per la salute digiunare di tanto in tanto (ad esempio saltare un pasto una volta alla settimana) o seguire una dieta liquida.

Queste indicazioni riguardano le persone con una salute normale: in presenza di disturbi la dieta deve essere regolata in modo pił accurato.

 

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PRĀNĀYĀMA E ALTRE ATTIVITĄ

II prānāyāma č un esercizio respiratorio, ma č possibile che lo studente di prānāyāma si dedichi anche ad esercizi di altro genere, e non č necessario che vi rinunci. Se questi esercizi comportano molta attivitą fisica, come giochi all'aperto, corsa, nuoto, o sūrya-namaskāra («saluto al sole», esercizio molto popolare in India), allora il prānāyāma deve essere praticato dopo tali esercizi, facendo una pausa di almeno dieci minuti, in modo che il respiro ritorni normale. Il prānāyāma consiste in atti respiratori lenti e profondi, e in ritenzioni del respiro: non deve quindi mai essere associato ad un'attivitą fisica impegnativa che richieda una respirazione rapida. Nelle attivitą che comportano sforzo e velocitą di esecuzione accade di trattenere momentaneamente il respiro, ad esempio quando si solleva o si lancia un oggetto pesante, oppure quando si spicca un salto: ma questi, ovviamente, non sono esempi di prānāyāma.

Molti studenti di prānāyāma praticano anche gli āsana, unitamente ad esercizi impegnativi. In tal caso l'esercizio pił energico deve essere eseguito per primo; seguono gli āsana, infine si pratica il prānāyāma. Se si pratica anche il dhyāna (meditazione), esso deve seguire il prānāyāma, in quanto quest'ultimo prepara il corpo e la mente alla meditazione. Un esercizio gradevole e non impegnativo, come una passeggiata, puņ indifferentemente precedere o seguire il prānāyāma. Quando si cammina, come quando si eseguono gli āsana, il respiro non deve essere deliberatamente controllato.

 

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COSTANZA NELLA PRATICA

II prānāyāma, come qualsiasi altra arte, produce risultati soddisfacenti soltanto con una pratica regolare. Molte persone, avendolo intrapreso un po' per caso, da principio lo praticano regolarmente per un certo tempo, ma poi si fa strada la discontinuitą. Puņ seguire allora una lunga interruzione, durante la quale i benefici, se ve ne sono stati, vanno perduti, e allora la pratica viene interrotta definitivamente. Se una persona invece diviene consapevole dell'importanza e dell'utilitą del prānāyāma, questo deve diventare parte integrante della routine quotidiana.

Esigenze di lavoro, un viaggio, oppure un'indisposizione possono provocare interruzioni nella pratica: per superare queste difficoltą bisogna avere fermezza di spirito ed una sorta di fede o devozione. La pigrizia č spesso una causa importante di discontinuitą, ed anche la mancanza di pazienza č un altro fattore da evitare. Quando si verifica un'interruzione dovuta ad una causa inevitabile, č bene ricordarsi che la pratica deve essere ripresa il pił presto possibile. Se si pratica il prānāyāma da soli a casa propria, č necessaria una forza di volontą ancora maggiore per superare i fattori disturbanti; se invece si fa parte di una classe o di un gruppo, l'influenza degli altri aiuta a perseverare in una pratica regolare.

L'ideale sarebbe praticare il prānāyāma ogni giorno, senza interruzioni: una pratica cosģ assidua non č tuttavia indispensabile. Un solo giorno di «vacanza» alla settimana non compromette in alcun modo i benefici degli esercizi, ma un'interruzione di due giorni nella stessa settimana č accettabile solo se si verifica occasionalmente. Č buona norma stabilire di non saltare la seduta di prānāyāma, a meno che non vi sia un impedimento inevitabile: si dovrebbe sempre cercare di effettuare la seduta, eventualmente accorciandone la durata, se necessario.

 

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COME MISURARE IL TEMPO

Normalmente, in condizioni di riposo, inspiriamo ed espiriamo senza accorgercene circa quindici volta al minuto, impiegando un po' meno di due secondi per ogni inspirazione, e un pņ di pił per ogni espirazione. Nel prānāyāma questa durata di ogni atto respiratorio č aumentata, e ogni volta i polmoni vengono riempiti e vuotati il pił possibile. Occorre poi mantenere un rapporto prestabilito fra la durata dell'inspirazione, della ritenzione e dell'espirazione, che costituiscono un ciclo di prānāyāma: diviene perciņ necessaria un'esatta misurazione del tempo, effettuata in secondi. Gli antichi maestri di yoga prescrissero, per questo scopo, diversi mantra. Un mantra č una serie di parole da ripetersi reiteratemente con una costante velocitą di emissione dei suoni. Esso serve a due scopi: in primo luogo, essendo il significato del mantra una preghiera, aiuta la mente ad acquietarsi. In secondo luogo, quando si č imparato a recitare il mantra in modo uniforme, esso offre un mezzo di misurazione del tempo. Il celebre mantra Gāyatrī č particolarmente adatto allo scopo, poiché consiste di tre parti, le quali possono essere utilizzate durante ciascuno dei tré stadi di un ciclo di prānāyāma: questo mantra perņ č adatto ad uno studente esperto, non a un neofita.

Un principiante farą meglio ad avvalersi di un cronometro, oppure di un orologio da polso con il quadrante ben leggibile e dotato della lancetta dei secondi. In un caso e nell'altro lo studente deve fare attenzione contemporaneamente sia al respiro che all'orologio: non č molto difficile, ma alcuni si confondono. Per questi un metronomo č la cosa migliore: esso emette un numero prefissato di suoni, per esempio cento al minuto. Tenendo il metronomo vicino, e contando i suoni, č possibile regolare la misurazione dei tempi per l'inspirazione, respirazione e la ritenzione in ogni ciclo del prānāyāma. Usando il metronomo non c'č bisogno di guardare l'orologio, ma č pur sempre necessario prestare attenzione a due elementi: il respiro e il conteggio. Se questo risulta ancora troppo difficile, si puņ usare un particolare tipo di metronomo, che emette un segnale sonoro dopo un lasso di tempo prefissato.

Qualunque sia il mezzo usato, č necessaria un'esatta misurazione del tempo in secondi, poiché tutti i cicli di prānāyāma devono essere completati in tempi uguali.

 

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PULIZIA DELLE VIE NASALI: NETĪ

Č impossibile praticare il prānāyāma se le vie nasali non sono sgombre: il passaggio dell'aria deve avvenire liberamente attraverso entrambe le narici, senza che vi siano ostruzioni. Č essenziale che vi sia un flusso d'aria uniforme e controllato durante l'inspirazione e respirazione. Si č notato che di solito l'aria non fluisce in modo eguale attraverso le narici, perché una delle due offre una via pił sgombra. Questa differenza di flusso č normale e non presenta alcun problema per la pratica del prānāyāma, in quanto la differenza č modesta. Se perņ una narice č parzialmente ostruita, allora il respiro viene disturbato e risulta difficile. Se poi l'ostruzione della narice č totale, la respirazione attraverso di essa diventa impossibile.

Esistono molti modi per aprire al passaggio dell'aria una narice parzialmente o totalmente ostruita: tali metodi sono trattati in quel ramo dello yoga chiamato svara-shāstra. Ad esempio, se la narice sinistra č otturata, č possibile liberarla sdraiandosi per un po' di tempo sul fianco destro, premendo una palla o un bastone (detto yoga-danda) contro l'ascella destra, oppure inclinandosi a sinistra stando in piedi e facendo pressione sul piede sinistro. Per liberare la narice destra queste tecniche si eseguiranno dal lato opposto.

Le persone che soffrono di raffreddore cronico, sinusite o asma, hanno spesso una o entrambe le narici ostruite. Quando queste persone vogliono praticare il prānāyāma per curare tali disturbi, si trovano in difficoltą, dal momento che non possono iniziare ad esercitarsi finché le vie nasali non siano sgombre: possono quindi avvalersi con successo di una tecnica chiamata netī, che č una delle sei tecniche yoga di purificazione denominate shuddhi-kriyā. Vi sono due tipi di netī: jala-netī e sūtra-netī: la prima tecnica č pił facile, ma meno efficace, e consiste nell'adoperare acqua (jala) per ripulire le vie interne del naso. L'acqua viene messa in un apposito recipiente, una specie di teiera, munito di un becco che si introduce in una narice. Il capo viene inclinato dalla parte opposta e leggermente in avanti, in modo che l'acqua possa essere versata attraverso una narice ed essere espulsa attraverso l'altra. Questa tecnica si puņ imparare in un giorno: non si deve fare alcuno sforzo, ne per aspirare l'acqua ne per farla uscire. L'acqua non deve essere né calda né fredda, ma tiepida. Ogni 300 grammi d'acqua si aggiunge un cucchiaino di sale comune: in tal modo l'acqua non irrita le membrane mucose e la sua azione purificatrice risulta migliorata. Quando l'intero recipiente č stato svuotato, ci si deve soffiare il naso, poi si riempie di nuovo la teiera e si versa l'acqua attraverso l'altra narice.

Se perņ una o entrambe le narici sono completamente ostruite, allora jala-netī non č possibile: si puņ allora provare sūtra-netī. Sūtra significa «filo»: in realtą il sūtra per la netī consiste di otto o dieci pezzi di filo di morbido cotono intrecciati, per una lunghezza di circa 40 centimetri. Un altro filo sottile e morbido č avvolto intorno al primo per metą della sua lunghezza, in modo che il capo possa essere introdotto in una narice, dopo essere stato lubrificato con olio o burro, rigirandolo su se stesso e spingendolo delicatamente. A circa tre centimetri dalla punta del naso le vie nasali formano una curva all'indietro e verso il basso, e occorre fare attenzione a spingere il filo oltre questa curvatura senza provocare attrito o irritazione: questa manovra si impara con la pratica. Oltre questa curva il filo scende facilmente nella gola. Lo studente deve ora aprire la bocca, introdurvi il pollice e l'indice, e tirar fuori il filo lentamente. A questo punto ciascuna mano tiene fra pollice e indice uno dei due capi del sūtra, i quali vengono tirati alternativamente in modo che il sūtra scorra lungo la via nasale e la pulisca a fondo. Sūtra-netī č molto pił efficace di jala-netī per la pulizia delle vie nasali. Dopo aver pulito una narice, il filo viene tirato fuori attraverso la bocca, lavato, lubrificato nuovamente, e introdotto nell'altra narice per ripetere l'operazione. Oltre a liberare i passaggi nasali (il che č essenziale per il prānāyāma), netī aiuta a superare i vari disturbi delle prime vie respiratorie.

 

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DOVE SEDERSI

Come gią si č detto, per praticare il prānāyāma bisogna assumere una posizione seduta e mantenerla rimanendo immobili senza sforzo per tutto il tempo dell'esercizio. Ci si puņ sedere sul pavimento, su di un letto, o sul tavolo. Il sedile deve essere comodo, e deve misurare circa un metro per un metro. Se vi č sul pavimento un tappeto o una stuoia, si puņ collocare sopra questi un tappetino pił piccolo o una coperta ripiegata, in modo da formare un sedile della grandezza desiderata. Questo verrą poi coperto con un telo o un lenzuolino pulito che verrą lavato di frequente. Il sedile non deve essere troppo spesso e soffice: un pezzo di gommapiuma puņ andar bene. Se ci si siede su di un letto non occorre altra imbottitura. Il sedile deve essere fatto in modo che non si senta la durezza del pavimento: la postura deve essere gradevole. Tradizionalmente si preferisce una pelle di cervo o di tigre, che non permettono il passaggio del caldo e del freddo e sono piacevolmente morbide.

Quale che sia il materiale utilizzato per l'allestimento del sedile, bisogna accertarsi che offra una superficie piana, senza avvallamenti, tale da permettere l'assunzione di una postura comoda e con la schiena ben diritta.

 

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POSIZIONI ADATTE PER IL PRĀNĀYĀMA

Per quale motivo non č possibile praticare il prānāyāma stando in piedi, o camminando, o facendo un lavoro, oppure sdraiati in un letto? Ogni studente di prānāyāma conosce la giusta risposta a questa domanda. Quando vi č nel corpo un'attivitą fisica che comporta ripetute contrazioni muscolari, si spende pił energia che in uno stato di riposo e il processo di ossidazione nei tessuti č aumentato a causa di tale apporto energetico. Ciņ rende necessaria una maggiore assunzione di ossigeno, perciņ il respiro diviene automaticamente pił rapido. Questo č l'opposto di ciņ che facciamo nel prānāyāma, quindi č chiaro che il prānāyāma e l'attivitą muscolare non vanno d'accordo. Quando si fa del prānāyāma č sempre necessario che il corpo si trovi in uno stato di riposo.Qualcuno puņ chiedersi se, nell'esecuzione del prānāyāma, non si assorba pił ossigeno di quanto se ne assorbe nella respirazione normale. Questa opinione č molto diffusa, ed č condivisa anche da alcuni istruttori di yoga che non hanno ricevuto un corretto insegnamento: ma le cose stanno diversamente. Quando tratteremo degli effetti del prānāyāma spiegheremo dettagliatamente questo punto.

Si puņ obbiettare che, se ciņ che il prānāyāma richiede č una posizione di riposo, questa condizione č soddisfatta in maniera ottimale quando si č sdraiati: ma č importante notare che il prānāyāma comporta dei movimenti controllati dei muscoli del torace, del dorso, del collo e dell'addome. Una posizione sdraiata interferisce con tali movimenti ed č perciņ da evitarsi. Un'importante caratteristica delle posizioni sedute che si raccomandano per il prānāyāma č che in esse il corpo č tenuto diritto, in modo da permettere alle parti che hanno a che fare con la respirazione di muoversi lentamente. Tale posture sono dette «meditative», in quanto sono le pił usate per la meditazione. Esse sono anche le pił adatte al prānāyāma: del resto una buona pratica del prānāyāma conduce facilmente allo stato mentale richiesto per la meditazione. Tradizionalmente, le posizioni raccomandate sono quattro, ma se non si č capaci di praticare nessuna di esse (come talvolta accade), allora si puņ assumere la posizione chiamata sukha-āsana. Questo perņ dovrebbe avvenire solo in casi eccezionali.

Descriveremo tale postura per prima e successivamente le quattro posizioni tradizionali.

 

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SUKHA-ĀSANA

Sukha significa piacere. Sukha-āsana č una posizione nella quale si puņ star seduti piacevolmente, cioč senza provare disagio. In veritą ogni posizione puņ diventare un sukha-āsana quando se ne ha piena padronanza. Ciņ č affermato esplicitamente da Patańjali, quando usa il termine sukha per indicare la qualitą che una postura deve necessariamente possedere. Sukha-āsana consiste nel sedere a gambe incrociate, tenendo diritti il collo e la spina dorsale. Molte persone lo trovano difficile, specialmente quelli che hanno giunture rigide, ma con un po' di pratica chiunque puņ sedere jj comodamente in posizione accosciata, come sukha-āsana richiede. Questa infatti č la pił facile fra le posizioni sedute: quando diviene agevole, si dovrebbe passare allo studio delle quattro posizioni tradizionali.

In un antico testo (Darshana-Upanishad, 111,12) sukha-āsana č descritto come segue:

«Qualsiasi posizione seduta, nella quale si ottenga benessere, č chiamata sukha-āsana. Questa postura č indicata per le persone deboli.»

 

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VAJRA-ĀSANA

Vajra significa fulmine: nella mitologia indiana esso č l'arma del dio Indra. Nello hatha-yoga e nel tantra il termine vajra č adoperato per indicare l'organo sessuale maschile.

Questa postura č descritta nella Gheranda-samhitā (11,12). I piedi vengono collocati sotto le natiche, con le piante rivolte verso l'alto, i talloni divaricati e le punte che si toccano. Si deve sedere fra i talloni, non su di essi; le ginocchia sono unite, e gli stinchi toccano il pavimento. La schiena deve essere tenuta diritta. Nei primi tempi č molto scomodo tenere i piedi nella posizione descritta, specialmente se il pavimento ha una superficie dura, perciņ č opportuno sedersi su di un substrato abbastanza spesso e soffice. Questa posizione non deve essere eseguita sul pavimento nudo.

Dopo qualche giorno di pratica, la postura comincia a diventare agevole: essa č simile alla posizione che assumono i devoti musulmani per la loro preghiera Namaz.

 

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SVASTY-ĀSANA

Svasti significa prosperitą: č una parola che si adopera per esprimere approvazione. Lo svastika č un simbolo di buona sorte; esso significa anche «incrociare le braccia» e «fare un segno simile alla croce». Svastika-āsana č una postura in cui le gambe si incrociano sotto i ginocchi e le punte dei piedi sono collocate nell'incavo che la gamba piegata forma dietro il ginocchio, imitando cosģ la figura di uno svastika.

Per eseguire questo āsana lo studente deve innanzitutto sedere con le gambe incrociate e portare il tallone destro contro l'inguine sinistro: le dita del piede sono poste fra la coscia sinistra e il polpaccio. Il piede sinistro viene quindi sistemato allo stesso modo dalla parte destra. Le gambe si devono incrociare un po' al di sopra delle caviglie: entrambe le ginocchia devono essere bene a contatto con il pavimento, mentre le mani vengono posate sulle ginocchia stesse. Si deve rimanere ben diritti, senza piegarsi in avanti e senza tirare indietro le spalle. Il corpo deve tuttavia mantenersi rilassato, senza stiramenti o sforzi. Troviamo la descrizione di questa postura in molti fra i pił importanti testi di yoga: quanto si č detto č un riassunto di tale descrizione.

 

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SIDDHA-ĀSANA

In apparenza questa postura č simile a svastika-āsana, ma č pił impegnativa. Un neofita non riuscirebbe facilmente a distinguere le due posizioni osservandone i disegni, eppure la differenza č fondamentale.

Siddhi significa «realizzazione»: nello yoga ciņ vuoi dire di solito poteri mistici soprannaturali. Un siddha č una persona che possiede tali poteri, oppure uno che č diventato un adepto. Siddha-āsana č la posizione preferita dai siddha oppure la posizione che conferisce i siddhi. Č considerata la pił importante tra le posizioni dello yoga. Tutti i principali testi hanno affermato la sua importanza con lodi altisonanti.

Per assumere siddha-āsana il tallone sinistro č posto contro il perineo, cioč la zona compresa fra l'ano e gli organi genitali, e il tallone destro č collocato al di sopra del sinistro. Le ginocchia devono essere bene a contatto con il sedile, e le dita di ciascun piede devono essere collocate fra il polpaccio e la coscia opposti. Questa posizione differisce quindi da svastika-āsana per il modo in cui sono disposti i talloni. In svastika-āsana, infatti, i talloni sono collocati ai lati degli organi genitali, sullo stesso piano orizzontale, mentre in siddha-āsana i talloni si trovano l'uno sotto l'altro, sullo stesso piano verticale degli organi genitali: questa posizione comporta un maggiore stiramento delle gambe. La pressione sul perineo e sugli organi genitali da parte dei due talloni č una specifica caratteristica di questa posizione. Questo fatto, unitamente all'accresciuto stiramento della parte inferiore del dorso (o pił propriamente dell'estremitą della spina dorsale) gioca un ruolo importante nel risveglio dell'energia di Kundalinī. Ciņ spiega perché questa postura occupa di gran lunga il posto pił elevato nella gerarchia delle posizioni yoga.

In alcuni testi questa posizione č chiamata vajra-āsana. Ad esempio, nella Yogakundaly-Upanishad (1,6) troviamo la descrizione di questa tecnica con il nome di vajra-āsana: viene detto di sedere con la schiena, il collo e la testa ben diritti, ponendo il tallone sinistro sotto il pene e il destro sopra di esso, ma in altri testi la posizione dei talloni č invertita. Questa discordanza fornisce una risposta alla domanda che si affaccia, in particolare, alla mente di studenti che praticano posture meditative, vale a dire: č lecito scambiare la posizione delle gambe? Deve essere rigorosamente rispettata la prescrizione di tenere un determinato piede al di sopra e l'altro al di sotto? Sembra infatti che la tradizione consenta entrambe le possibilitą. Ciņ si applica egualmente a svastika-āsana, a siddha-āsana, nonché alla prossima posizione che ci accingiamo a descrivere, vale a dire la posizione del loto.

 

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PADMA-ĀSANA

Padma significa loto. Un'altra parola che indica il loto č kamala, perciņ padma-āsana č talvolta chiamata kamala-āsana. La postura ha questo nome perché imita, nel disegno, un fiore di loto. Molte antiche statue rappresentano il Buddha e Mahāvīra seduti in questa posizione, oppure in siddha-āsana.

Per assumere la posizione del loto lo studente siede con le gambe davanti a sé. Il piede destro viene afferrato con entrambe le mani in prossimitą della caviglia e viene collocato sulla coscia sinistra con la pianta rivolta verso l'alto e lo stinco a contatto con la coscia. Il piede sinistro viene poi collocato allo stesso modo sulla coscia destra, cosicché i talloni vengono quasi a toccarsi l'un l'altro. I ginocchi devono rimanere a contatto con il pavimento, mentre la schiena e il collo sono ben diritti e le mani vengono poste sui talloni, con le palme rivolte verso l'alto (la destra sopra, la sinistra sotto). I pollici e le altre dita devono sovrapporsi in modo da rappresentare i petali del loto, mentre i piedi ne imitano le foglie. Molti studenti, e perfino maestri di yoga, non sono consapevoli di questo fatto che riguarda il significato del nome padma-āsana, sicché posano le mani sulle ginocchia. In molti libri si trovano figure in cui padma-āsana č rappresentato in questo modo. Quando perņ si assume la postura per praticare il prānāyāma, una mano puņ essere adoperata per chiudere una o entrambe le narici: se invece si pratica la meditazione, le mani devono essere poste sui talloni secondo la descrizione precedente.

Padma-āsana č una posizione ampiamente trattata nei testi di yoga. La sua forma completa, come postura meditativa, comprende altre due tecniche, consistenti rispettivamente nel concentrare lo sguardo sulla punta del naso e nel bloccare il mento contro la trachea. Nella terminologia tradizionale queste tecniche sono denominate nasāgra-drIshti e jalāndhara-bandha. Allo stesso modo l'esecuzione completa di siddha-āsana comprende la fissazione dello sguardo fra le sopracciglia (bhrūmadhya-drIshti) ed anche jalāndhara-bandha, ma quando si pratica il prānāyāma queste due tecniche supplementari non devono essere eseguite.

Queste posizioni, sia che vengano praticate come posture meditative, sia che si utilizzino per il prānāyāma, comportano flessione, pressione e stiramento degli arti inferiori. L'apporto di sangue ad essi viene ridotto: di conseguenza una maggior quantitą di sangue affluisce alla parte bassa del dorso. Uno stiramento verso l'alto viene esercitato sulla spina dorsale e sulla parete addominale. Si raggiunge uno stato di rilassamento profondo, e l'effetto combinato di tutti questi fattori č di donare riposo al corpo e alla mente; i processi digestivi vengono migliorati, tensioni e fatica si dissolvono e, con il tempo, si ha il risveglio dell'energia assopita di Kundalinī. Dopo aver assunto una postura stabile, eretta e comoda, ci si prepara alla pratica vera e propria del prānāyāma. Come bisogna procedere? Sarą questo l'argomento del prossimo capitolo.

 

  


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