F.N.E.Y.
Hatha-yoga: posizioni capovolte

 


INDICE

Ysé Masquelier - Prefazione

I testi

Elisabeth Libraire - La Luna e il Sole

Andrée Maman - Vocabolario dei simboli

Lessico

Jean-Pierre Laffez - Posture capovolte e biomeccanica

Yvonne Millerand - La Posizione sulla testa, la candela, l’aratro: “il re, la regina, la principessa”

Boris Tatzky - L’atto di capovolgersi sulla testa (shirshasana)

Beatrice Montegudet -Testimonianza

Patrick Tomatis - L’indispensabile inversione

Yolaine e Francisco Cantalejo - L’inversione verticale nei tarocchi attraverso il simbolismo, la mitologia e la psicanalisi

La crocifissione di San Pietro

Andrée Maman - Glossario generale delle posizioni capovolte

Patrick Tomatis

Bibliografia

 


 

PASSI SCELTI

 

POSTURE CAPOVOLTE E BIOMECCANICA

 

PREAMBOLO

La postura capovolta - e pensiamo essenzialmente alla posizione sulla testa - ha costruito la reputazione dello Yoga. Per molte persone, lo Yoga, visto dall’esterno, consiste nel mettersi in equilibrio sulla testa, se non addirittura restare seduti e «contemplarsi l’ombelico»!

Il lato insolito della posizione capovolta, ed essenzialmente dell’equilibrio a testa in giù, non si osserva che nella pratica dello Hatha-yoga… a prescindere beninteso dalle tecniche di ginnastica in cui l’una o l’altra postura capovolta (candela, aratro, verticale) sono più o meno praticate. Ci riferiamo piuttosto alle tecniche tradizionali di lavoro sul corpo: Tai-chi-chuan, Yoga irano-egiziano, tecniche giapponesi, ecc.

Questa posizione provoca un certo turbamento nel non praticante. è apparentemente anti-fisiologica: noi siamo fatti per essere in posizione verticale ma «a testa in alto», o anche in posizione orizzontale.

Partiremo dal principio che le numerose contro-indicazioni all’una o all’altra delle posture capovolte sono già note. Non daremo delle formule. Queste contro-indicazioni troveranno una verifica nel corso dell’analisi degli effetti di una pratica prolungata su colli malati o fragili, obesità, problemi cardio-vascolari, ecc.

Le precauzioni nella pratica, le contro-posizioni, la preparazione ecc. non sono direttamente l’oggetto del nostro studio. Preferiamo lasciare questa pedagogia agli insegnanti di Yoga, dal momento che rientra già nell’ambito di questa pubblicazione comune.

Ciascuno ha potuto fare l’esperienza di riposarsi con i piedi sollevati: le poltrone e le sedie a sdraio «da relax», inclinando il corpo in posizione declive, permettono di essere alleggeriti dall’azione della gravità, principalmente rispetto ai liquidi del corpo (sangue e linfa) e alle viscere. Certi vantaggi delle posizioni declivi si ritrovano nelle posizioni yoghiche capovolte, ma in modo differente, poiché il mantenimento del corpo in equilibrio limita il mantenimento della postura nel tempo. I sistemi muscolare, articolare, fasciale, membranoso, e quello del senso dell’equilibrio, devono intervenire.

 

I - Metodo di analisi

È possibile condurre uno studio dell’Essere Umano in diverse maniere, tenendo conto:

- sia della sua struttura, studiando l’anatomia e la morfologia di tutti gli elementi di questa anatomia;

- sia della sua funzione, vale a dire la fisiologia e il funzionamento dei diversi sistemi fisiologici del corpo.

Differenti scuole hanno costruito il loro motto sull’uno o l’altro di questi punti di vista, affermando gli uni che tutto è nella struttura, gli altri che tutto è nella funzione. Esiste beninteso un terzo modo di vedere: adottare l’uno e l’altro di questi punti di vista, secondo l’obiettivo. Per esempio, noi studieremo la struttura dell’apparato respiratorio e nello stesso tempo la funzione.

Così lo studio del corpo può essere fatto sulla struttura, sul «cadavere». Distingueremo così cinque sistemi:

- il sistema locomotorio costituito dallo scheletro osseo, fibroso, muscolare e membranoso;

- il sistema cardio-polmonare;

- il sistema digestivo, escretore;

- il sistema endocrino e riproduttivo;

- il sistema nervoso.

Ciascuno di questi sistemi possiede una sua struttura particolare, una sua morfologia e una sua collocazione nel corpo dell’essere umano. Questa costituzione acquisita o modificata è propria a ognuno. Troveremo per esempio degli individui dal collo esile e fragile, altri avranno il collo muscoloso, corto e potente. Troveremo delle persone dal terreno artrosico (malattia del collagene acquisita) con la colonna vertebrale irrigidita, incapaci di sollevare e arrotolare il loro corpo per salire in una «candela». La struttura non è la stessa a 15, 25 o 60 anni. Essa può presentare delle anomalie originali o acquisite, patologiche o no, di cui bisognerà tenere conto nel seguire la pratica proposta.

«La vita è movimento». Dobbiamo definire in modo molto preciso la nozione di struttura. L’interesse del nostro studio è che questa nozione sia applicabile all’essere vivente. Prendiamo quindi in considerazione cinque funzioni:

1. La funzione di relazione, costituita essenzialmente dall’apparato locomotorio: essa considera il corpo nei suoi movimenti, ma anche nelle sue relazioni e comunicazioni con il mondo esteriore.

2. La funzione di coordinazione, intimamente legata alla precedente, assicura l’armonia tra i diversi elementi della funzione di relazione e le altre funzioni. Garantisce, per esempio, l’equilibrio del corpo (in qualunque forma) quando questo viene minacciato.

3. La funzione di nutrizione è indispensabile alla vita del corpo. Assicura, con l’aiuto dell’apparato circolatorio, l’apporto di alimenti solidi, liquidi e gassosi, trasforma in energia questi alimenti e permette la loro eliminazione (attraverso la pelle, i reni, l’intestino e i polmoni) con l’aiuto degli apparati digestivo, escretore, polmonare, ecc.

4. La funzione di correlazione organica è assicurata dal sistema neuro-vegetativo e dall’insieme dell’apparato endocrino. Noi vi colleghiamo il sistema di movimento respiratorio primario descritto in osteopatia.

5. La funzione di riproduzione infine costituisce in un certo modo la ragion d’essere dell’attività delle altre funzioni, poiché garantisce il perpetuarsi della specie.

Lo studio dell’embriologia ci fa d’altra parte scoprire che tutte queste funzioni e tutti questi sistemi mantengono fra loro una certa affinità: sono il risultato della moltiplicazione di una sola e medesima cellula, risultante essa stessa dalla fusione di due cellule: femminile e maschile, ovulo e spermatozoo.

In ogni studio del corpo umano, durante un esercizio, durante una postura o anche qualsiasi altra attività, bisogna tener conto di questi diversi punti di vista. Così, in una postura capovolta, dobbiamo considerare l’azione sui diversi sistemi: la struttura ossea, muscolare, articolare, membranosa, viscerale, ma anche le diverse funzioni di relazione, di nutrizione, ecc.

Qualunque sia l’esercizio o il lavoro studiato, esiste una ripercussione sull’una o l’altra delle funzioni e dei sistemi. Ciò è più sorprendente per certe funzioni secondo la disciplina osservata: nella corsa a piedi pensiamo in primo luogo alla respirazione, alla circolazione del sangue, al cibo, ecc. In una postura capovolta, pensiamo immediatamente al sistema locomotorio e articolare del collo, alla circolazione del sangue, all’equilibrio del corpo, ecc., mentre la funzione di nutrizione sarà influenzata indirettamente da un’azione antigravitazionale sull’apparato viscerale nel complesso. Per analizzare la meccanica di un esercizio o di una postura, proporremo il seguente percorso:

1. L’osservazione del movimento o della postura in un soggetto. Sarà necessario l’aiuto di schemi, di foto e di disegni. La sperimentazione personale del movimento è un aiuto efficace.

2. La determinazione delle condizioni meccaniche dell’equilibrio del corpo in rapporto ai punti d’appoggio e quelle dei segmenti corporei fra loro.

3. In una situazione di immobilizzazione delle articolazioni:

a) La valutazione, al livello di ciascuna di esse, dell’azione della gravità e delle altre funzioni suscettibili di rompere l’equilibrio.

b) La determinazione del senso e dell’importanza delle forze antagoniste in gioco: punti d’appoggio, legamenti, muscoli, pressione delle ossa, degli organi, deformazione delle cavità.

c) La comprensione di cosa succederebbe se il ruolo dei «freni» sparisse: come sarebbe ristabilito l’equilibrio?

Il laboratorio dispone di mezzi tecnici perfezionati: cinemametro, radiocinematografia, ecc. Questi apparecchi sono utili per il progresso della ricerca terapeutica (ad esempio per perfezionare la confezione di protesi o le indicazioni della chirurgia ortopedica) ma non sono indispensabili per condurre lo studio delle posture di Yoga.

Ricordiamo ugualmente che il centro di gravità di un corpo deve essere determinato tenendo conto del centro di gravità di ciascuno degli elementi che lo costituiscono. Questo centro è il punto di applicazione della forza di gravità in un corpo. La linea di gravità è la verticale abbassata da questo centro. Il poligono di sostegno, o anche base di appoggio, è il più piccolo contorno convesso che contiene tutti i punti d’appoggio del corpo. Nella posizione eretta, con piedi divaricati, il poligono di sostegno comprende oltre alle due piante dei piedi, lo spazio contenuto fra loro. Nelle posizioni quadrupediche, è costituito dal rettangolo i cui vertici sono i quattro punti di appoggio. Nelle posizioni capovolte la superficie della base d’appoggio triangolare è la più grande possibile. Bisognerà quindi fare attenzione ad avere i gomiti il più lontani possibile dalla testa e delimitare un triangolo a grande superficie (fig. 1a e 1b).

 

II - ASPETTI COMUNI DELLE POSIZIONI CAPOVOLTE

Le posture capovolte hanno come punto in comune il mettere il corpo in posizione declive, testa in basso, lottando così contro le malefatte della gravità, fattore meccanico essenziale di fatica e di invecchiamento del corpo umano. (Noi riposiamo in un modo del tutto naturale ed istintivo in posizione orizzontale per sfuggire il più possibile agli effetti della pesantezza).

Numerosi fisiologi hanno lodato i benefici terapeutici e preventivi della posizione declive. Ci hanno proposto di giacere su dei piani inclinati, i piedi agganciati in alto. Le nostre tre posture si differenziano dal piano inclinato sollecitando l’apparato locomotorio e il suo equilibrio, invece di eliminarlo e sottrarlo alla gravità. Questa sollecitazione varia per le nostre tre posture: in shîrshâsana l’apparato locomotorio è molto sollecitato; l’equilibrio è differente in kapâlasana o in sarvângasana; non è implicato in halâsana.

 

Le posizioni capovolte e le ptosi

La colonna vertebrale è l’albero della vita dell’energia nervosa, dei muscoli del corpo e dell’insieme delle membrane. Essa deve dare libero passaggio ai nervi che vanno o vengono dagli organi, ma anche sostenere questi ultimi, poiché sono sospesi alla colonna vertebrale, così come al diaframma, da un insieme di membrane; se queste membrane sono solide e mantenute bene, gli organi sono ben sospesi. Se esse sono rilasciate, gli organi si abbassano e tirano sulle vertebre alle quali sono collegati. Quando le membrane sono giovani e corte, ogni organo resta al suo posto e non soffre; il suo mantenimento è assicurato, allo stesso tempo, da queste ultime, dagli altri organi che lo circondano, dal grasso interno che riempie gli interstizi, dalle replezioni degli organi e dal fenomeno di turgescenza che fa sì che un organo si «gonfi» quando è vuoto. Le vertebre possono esercitare un’azione sugli organi o inversamente subirla da parte di questi, giustificando, per questo stesso fatto, uno dei numerosi ruoli delle posture di Yoga e la necessità di una pratica equilibrata. Sottolineiamo ugualmente che lo stato delle membrane è anche il riflesso della congestione del corpo e dell’eliminazione dei rifiuti.

Che cos’è una ptosi?

È sufficiente riferirsi alla figura di p. 46 per comprenderne immediatamente il principio. Nello schema di sinistra, gli organi sono al loro posto. In quello di destra, si sono abbassati. Le cause sono diverse e il ruolo della gravità, beninteso, variabile. I nostri contemporanei sottomessi alla pesantezza dimenticano per la maggior parte lo schema di destra. Il dimagrimento può esserne la causa, così come un grosso choc che tiri violentemente le corde di sospensione. Così troviamo nei nostri contemporanei degli stomaci più o meno ballonzolanti, delle masse intestinali abbassate (il colon trasverso soprattutto), dei reni doloranti e soprattutto dei bacini congestionati, nell’uomo come nella donna; infine, in quest’ultima, delle ptosi di utero e ovaie. Segnaliamo che le ginnaste svedesi prescrivevano, tra l’altro, le posture capovolte (candele) per completare le loro cure sugli uteri deviati, spostati o congestionati (fig. 2).

Fig. 2

La postura declive è uno dei mezzi per dare sollievo, che, unito ad altre tecniche in caso di patologia dichiarata, ed in ogni caso alle altre posture di Yoga per ciò che ci riguarda, darà riposo al corpo che soffre. A tal punto che sarà importante fare bene attenzione, sciogliendo ogni posizione capovolta, ad agire lentamente per evitare i dolori di proiezione lombare dovuti, per esempio, a un utero congestionato o un’ovaia più o meno abbassata. Sottolineiamo una volta ancora l’importanza di un Hatha-yoga e di un lavoro del corpo globali e ben equilibrati: per esempio l’allenamento ai bandha, indispensabile per fornire una muscolatura di qualità per il mantenimento degli organi, supplendo così a delle membrane più o meno distese; una preparazione condotta a lungo per le persone che soffrono di ernia iatale; i fenomeni di replezione osservati in certi adepti dopo queste posture; la necessità beninteso di essere lontani dai pasti, anche se queste posizioni (in particolare la candela) possono essere utili a certi dispeptici dopo l’assunzione di cibo.

 

Le posture capovolte o in posizione declive e la circolazione del sangue e dei liquidi

Le posizioni a testa in giù producono:

- un alleggerimento e qualche volta una distensione del collo successivi alla postura;

- un alleggerimento del carico circolatorio (sangue e linfa) delle gambe e del bacino;

- una congestione concomitante del tronco;

- una congestione circolatoria del collo e più o meno delle ghiandole che vi si trovano (tiroide e para-tiroidi), così come della testa1, il che può essere una delle cause dei ronzii dell’orecchio in queste posture o di controindicazioni in certi disturbi oculari.

Su di un piano puramente circolatorio, le posizioni capovolte non sembrano porre problemi importanti per i bambini. Esperienze di posture capovolte mantenute a lungo da bambini bronchitici cronici l’hanno provato. Per gli adulti, può essere diverso. In posizione eretta il ritorno venoso verso le cavità cardiache di destra avviene grazie alle valvole mitraliche, all’aspirazione toracica, alla contrazione muscolare, al meccanismo della vis a tergo2, e questo malgrado la pesantezza della colonna sanguigna.

L’inversione della verticalità tende a riprodurre l’esperienza della «botte di Pascal». La massa sanguigna grava di un peso proporzionale alla sua altezza. Essa fa brutalmente irruzione nell’orecchietta destra, tende a dilatarla. è un colpo di maglio ancora più spiacevole visto che sovente le cavità destre sono sollecitate al di là delle loro possibilità fisiologiche dall’esistenza di un possibile sbarramento a valle: bronchiti, arterie affaticate, collo in compressione secondo la posizione della testa o la contrazione dei muscoli, artrosi cervicale, compressione toracica… Esiste una minaccia, almeno sul piano meccanico, di forzatura cardiaca, di decompressione acuta.

Si ha quindi interesse a preparare la posizione declive e capovolta progressivamente. Proporre, quindi, degli esercizi preparatori in cui la glottide si trova più bassa del diaframma, seduti sui talloni, arrotolati in avanti, posizione in piedi con la testa verso il suolo, ecc.

Il corpo possiede molteplici possibilità di adattamento. Abbiamo appena definito l’effetto meccanico, idraulico delle posture capovolte; il paragone del cuore con una pompa aspirante e premente è una visione puramente meccanica, ristretta. Cuore, arterie e vene costituiscono in modo intrinseco l’apparato circolatorio. Ogni contrazione cardiaca viene comunicata all’insieme del sistema, non solamente per trasmissione idraulica ma per contrazione simultanea dei rivestimenti fino al più piccolo dei vasi sanguigni.

Tutto ciò permette di comprendere il rischio delle posizioni capovolte, per certi ipertesi al momento di assumere la postura, per gli ipotesi quando la sciolgono, o anche l’effetto curativo possibile per il riallenamento di tutto l’apparato circolatorio.

 

La respirazione

Proponiamo lo schema della figura 4 per definire l’azione della gravità invertita sulla respirazione. Si dovrà tener conto di una modificazione supplementare nella pratica di halâsana, trovandosi la cavità addominale in uno stato di compressione intensa (questa posizione è studiata più avanti).

Le condizioni ventilatorie sono in effetti buone; la spinta viscerale facilita l’espirazione; il diaframma è potentemente compresso, la sua contrazione è efficace, dispone di un appoggio di qualità.

Certi allievi non possono mantenersi in questa posizione; La loro meccanica ventilatoria è qualche volta già perturbata quando restano semplicemente sdraiati sulla schiena in orizzontale!

Una preparazione respiratoria consiste nel far praticare degli esercizi respiratori a quattro zampe, in mezzo-ponte, seduti, ecc.

Senza dimenticare in queste stesse posizioni il lavoro di uddîyâna-bandha e di mûla-bandha, a polmoni vuoti.

Testa in giù e aria interna: bisogna intendere per aria interna i fenomeni di timpanismo, di gonfiamento vaginale o altri, di aerofagia e aerocolia. Molte persone sono gonfie e soffocano perché i loro organi sono compressi: il cuore soffre, il diaframma non può abbassarsi, lo stomaco e gli intestini sono gonfi d’aria in un modo anormale. Quest’aria non deve, beninteso, trovarsi là, e dovrebbe non essere prodotta, oppure venire eliminata in maniera naturale. Le posizioni a testa in giù facilitano l’uscita di questa aria, sia essa intestinale o vaginale, come dal collo di una bottiglia. Abbiamo visto, d’altra parte, che in queste posture, gli organi smettono di tirare sulle loro membrane di sostegno, ciò spiega la loro decongestione dai liquidi e, di conseguenza, gassosa. I rumori non devono distogliere da queste posture certi praticanti: si tratta, al contrario, di un gran sollievo. Si potranno far praticare degli esercizi di contrazione-decontrazione perineale in mezzo-ponte o anche distesi sulla schiena: le cosce ripiegate sull’addome, ginocchia flesse, le mani che tengono le ginocchia, il sacro ben appoggiato al suolo.

 

III - Particolarità di ognuna di queste posture

Ognuna delle tre posture che abbiamo scelto si differenzia essenzialmente dalle posture declivi in generale per la sollecitazione dell’apparato locomotorio e la ricerca di equilibrio del corpo. Il corpo è soggetto all’effetto della gravità, in un modo del tutto opposto a quello per cui è stato fatto. Nella misura in cui il corpo è pronto, il fatto di assoggettare per qualche minuto l’insieme di scheletro osseo, articolare e fibroso a una pressione inversa può essere favorevole al rimaneggiamento della sua struttura. Facciamo entrare in gioco la cosiddetta legge di Delpech che vuole che il tessuto osseo, assoggettato a una pressione, reagisca a questa pressione. Questo fenomeno non sarà nocivo se i rapporti di forza risultanti dal peso del corpo sui diversi appoggi, esterni e articolari, vengono rispettati in modo armonico. Anche mantenuta poco tempo, una postura, nella misura in cui viene ripetuta a intervalli regolari, agisce sulla struttura del corpo.

Ricordiamo che l’equilibrio è mantenuto da una reazione muscolare di tutto il corpo e dall’aggiustamento dei diversi tiranti muscolari, per riflessi midollari-corticali o semplicemente miotatici. Questo aggiustamento esiste anche in una posizione immobile, seduta o in piedi, e tanto più sulla testa. In tutti gli atteggiamenti, il tono muscolare è regolato in maniera molto precisa. L’atteggiamento diventa anormale quando la contrazione dei muscoli non funziona più come deve: è l’atteggiamento dell’«apprendista yogin», che si adormenta in posizione seduta!

Lo studio della muscolatura del corpo ha permesso di descrivere schematicamente due famiglie di muscoli: una catena muscolare più adatta al mantenimento di posture, a cosiddetta contrazione tonica, mantenuta più a lungo: sono piuttosto quelli del collo, del tronco, certi muscoli degli arti; e una seconda famiglia di muscoli a contrazione fasica, rapida, breve, finalizzata alla vita di relazione e ai movimenti del corpo.

Gli stessi muscoli sono beninteso capaci di produrre contrazioni fasiche o toniche. Tuttavia hanno una funzione più orientata secondo il loro ruolo (gli estensori saranno più tonici, i flessori più fasici).

 

Posizioni capovolte e sensibilità

Dobbiamo ricordare che ogni postura, a maggior ragione quando si tratta di un equilibrio, è regolata dalla sensibilità del corpo.

a) La sensibilità esterocettiva, superficiale, è rivolta verso l’ambiente circostante l’organismo. Dispone degli organi dei sensi come mezzo d’informazione.

b) La sensibilità propriocettiva, o sensibilità profonda, è quella dei muscoli, dei tendini, delle articolazioni. Bisogna aggiungervi quella dei recettori dell’orecchio interno che serve all’equilibrio (sensibilità detta vestibolare). Questa sensibilità è chiamata cenestesia o sensibilità cenestetica. Essa informa sui movimenti del corpo e sui suoi diversi elementi.

I dati dei diversi recettori propriocettivi sono indispensabili al corretto aggiustamento nella postura. Quando uno di questi recettori è deficiente, l’aggiustamento diventa difficile: è l’esempio incontrato nelle posture in equilibrio con gli occhi chiusi.

In posizione di equilibrio sulla testa, certi dati sensoriali non possono più essere utilizzati, in particolare le reazioni tattili delle piante dei piedi. I fasci neuro-muscolari dei muscoli sono sollecitati differentemente. Rimangono le afferenze provenienti dalla sensibilità muscolare e articolare del collo, della cintura scapolare, delle braccia e soprattutto delle mani, così come certe afferenze visive, e, in particolare, labirintiche o dell’orecchio interno. Le più piccole variazioni nell’equilibrio fanno reagire l’insieme del corpo, il che fa emettere certe riserve per quanto riguarda le malattie dell’apparato vestibolare: vertigini, turbe dell’equilibrio e del nistagmo. Questo spiega anche le possibilità di disturbi uscendo dalle posizioni capovolte, i malori incontrati da certe persone facendo un bagno immediatamente dopo queste posture (nel nuoto il corpo deve aggiustare il suo equilibrio in un modo del tutto particolare, non dispone di tutti i suoi recettori).

Un terzo principio è anche da tenere in considerazione: il centro di gravità del corpo umano in posizione eretta è collocato nel bacino o basso ventre.

Il centro di gravità della testa si situa nella sella turcica, alla verticale dell’articolazione occipito-atlanto-assoidea. Quello del tronco è al di sopra del corpo della quinta vertebra lombare e dell’asse trasversale delle anche, e quello degli arti inferiori al di sopra del punto centrale delle articolazioni del ginocchio e della caviglia.

La linea di gravità del corpo cade dal centro di gravità del corpo stesso, scende verticalmente al di sopra dell’asse delle anche, delle ginocchia e del collo dei piedi. In posizione capovolta, il centro di gravità del corpo nel suo insieme è spostato fino alla sesta vertebra dorsale, all’altezza della cupola diaframmatica in espirazione profonda, punto di bilanciamento verticale delle forze delle parti alte e bassa del corpo (fig. 3).

Fig. 3

 

IV - Kapâlâsana

Kapâlâsana fa parte di quelle posture che hanno maggiormente gettato discredito sullo Hatha-yoga.

In Kapâlâsana, il peso del corpo è sorretto da tre punti d’appoggio: la testa e le due mani. Questo equilibrio è molto instabile: può essere paragonato a quello di una sedia a tre gambe, di cui due fossero instabili (i due gomiti), con una lunghezza di schienale cinque volte superiore a quella delle gambe. La distanza tra il gomito e il polso e quella tra la sommità della testa e la base del collo sono considerate come identiche, e rappresentano un sesto dell’altezza del soggetto.

La verticale del centro di gravità del corpo deve cadere entro questi tre punti, centro del triangolo di sostegno dell’insieme. L’appoggio sensibilmente in avanti della sommità della testa al suolo, giustifica questo, così come il rispetto delle curve cervicali e la trasmissione delle forze. Lo schema delle forze presenti è una piramide tronca, cosa che rende questa postura relativamente instabile, e necessita dell’intervento permanente dei muscoli della nuca che non sono fatti per questo (fig. 4).

Fig. 4

Mentre il piede è stato costruito per sostenere e ammortizzare in tutto o in parte il peso del corpo, su «ogni terreno», la testa deve soddisfare le esigenze di quattro organi di senso e assicurare, con il suo orientamento, l’equilibrio completo del corpo (ruolo dell’orecchio interno segnalato precedentemente).

Essa possiede una articolazione con il collo prevista per portare da quattro a cinque kg (peso medio della testa).

L’articolazione occipito-atlanto-assoidea è un’articolazione molto mobile, poco incastrata e relativamente fragile. è dunque indispensabile che la forza trasmessa al suolo dalla testa passi esattamente al centro meccanico di questa articolazione (fig. 5).

Fig. 5 - La trasmissione delle forze deve rispettare l’orientamento delle superfici articolari vertebrali, quindi le curvature di ciascuna zona della colonna vertebrale. Per soddisfare al massimo questa esigenza, il punto d’appoggio della testa dovrà essere leggermente più avanti della sommità del cranio.

La vertebra atlante svolge il ruolo meccanico di un giunto fra due superfici di rotolamento: l’occipite e l’epistrofeo (Axis). Questa zona deve trovarsi in un equilibrio molto stabile, senza alcuna precarietà.

Non siamo molto favorevoli alla pratica di questa postura. Instabile, sollecita troppo il fragile sistema di riequilibratura del collo. L’equilibrio delle braccia è molto precario. Le preferiamo shîrshâsana.

 

V - Shîrshâsana

In shîrshâsana la base di sostegno è ancora triangolare. Questa postura è però diversa dalla precedente. I tre punti d’appoggio sono stabili. Il sostegno diretto sui gomiti sopprime l’instabilità di kapâlâsana. Il peso del torace e di tutto ciò che è al di sopra (addome e arti inferiori) viene trasmesso principalmente alle due braccia che svolgono il ruolo di veri e propri archi di spinta.

Questi due archi di spinta trovano la loro stabilità rinforzata dalla posizione degli avambracci e dall’allacciatura delle mani.

La muscolatura fasica non deve più intervenire nello stesso modo, la postura può essere mantenuta senza sforzo.

Il piccolo e il grande pettorale sostengono la posizione mantenendo la spalla così come i muscoli profondi della statica. L’intervento dei muscoli di basculamento (posteriori) della scapola ne fa una postura correttiva della zona dorsale (figg. 6 a, b, c).

Fig. 6a Fig. 6b Fig. 6c

In questa posizione, la testa non può sostenere nient’altro che il proprio peso e quello del collo. Tutto ciò che è situato al di là della cintura scapolare può essere sostenuto dalle braccia e dalla trasmissione agli avambracci che, grazie all’allacciatura delle mani, annullano questo peso.

L’intervento della muscolatura del collo permette del resto di eliminare il contatto della testa con il suolo: essa è allora sollevata verso il torace. L’intervento delle mani e della muscolatura degli avambracci diventa allora indispensabile per fornire un punto d’appoggio distale ai muscoli scapolari.

In conclusione, tutta la muscolatura scapolare viene sollecitata in shîrshâsana. Le lombari, se la posizione è stata assunta in distensione, sono state de-lordotizzate e mantenute unicamente dall’apparato legamentoso. Questo giustificherà delle contro-posizioni d’arrotolamento in ginocchio pettorale, faccia verso il suolo, essendo così assicurata la distensione di tutta la cintura scapolare. Questa osservazione ha fatto dire che sarvângâsana costituisce la contro-posizione di shîrshâsana, il che non è falso.

 

VI - Sarvângâsana

Sarvângâsana e halâsana hanno certi punti in comune, non fosse altro che la posizione di partenza, in decubito.

Durante l’elevazione delle gambe, dalla posizione sdraiata sul dorso, il centro di gravità del corpo è molto basso e il suo appoggio massimo, su di una base di sostegno molto larga.

Le condizioni di equilibrio cambiano quando i talloni sono sollevati dal suolo. La base di sostegno si riduce immediatamente all’appoggio del tronco e della testa. Gli arti inferiori sono sbilanciati, al di fuori di questa base. Il centro di gravità del corpo (nel bacino) non si è spostato molto; la proiezione verticale di questo centro arriva al suolo vicino al bordo posteriore della base. Per questa ragione, la pressione del dorso sull’appoggio diminuisce, il tronco tenderebbe a sollevarsi ruotando sul sacro e gli ischi. Il corpo è identico a una leva del primo genere, paragonabile a una bilancia con uno dei piatti (il tronco) più carico dell’altro (le gambe).

L’equilibrio è mantenuto, cosa che non accadrebbe se i piedi fossero fissi. Il tronco si solleverebbe allora (necessitando di un blocco protettore della cerniera lombo-sacrale) (fig. 7).

Fig. 7

L’equilibrio è mantenuto a condizione di immobilizzare l’insieme delle articolazioni, eccetto le coxo-femorali, attorno alle quali si effettua il movimento. Il peso delle gambe, agendo sul bacino, lo trascinerebbe ad inclinarsi in avanti e produrrebbe in questo modo l’insellatura lombare. La contrazione della muscolatura addominale mantiene costante la distanza sterno-pube ed evita questa insellatura. Immobilizzato il bacino, lo sforzo viene trasmesso alla colonna vertebrale e al torace. Gli inspiratori ausiliari devono immobilizzare le coste, i muscoli spinali bloccano la colonna. I muscoli sterno-cleido-mastoidei si oppongono alla passività della testa e le permettono di servire da contrappeso agli arti inferiori. Se le gambe restano in estensione sulle cosce grazie alla contrazione del quadricipite, i movimenti di flessione delle cosce sul tronco o di flessione delle coxo-femorali richiedono l’intervento di muscoli potenti: retto e obliquo addominali in particolare. Questa è la ragione che fa scegliere questo esercizio ai ginnasti come lavoro di potenziamento muscolare degli addominali. Certi autori pensano che in questo movimento preciso la parte bassa degli addominali intervenga maggiormente, mentre la parte alta interverrebbe più nel movimento di sollevamento del tronco, con gli arti inferiori fissi.

La necessità di bloccare interamente il tronco, compresa la partecipazione dei muscoli toracici, il rapido affaticamento dei muscoli interessati e, per questa ragione, le possibili compensazioni, portano ad avere certe riserve, riguardo a questo metodo dinamico di tonificare gli addominali.

Preferiamo tonificarli in posizione sdraiata, tronco fissato in atteggiamento corretto, le gambe tese alla verticale, in contrazione isometrica (fig. 8).

Fig. 8

La flessione delle anche, movimento che ci interessa per il momento, risulta dalla contrazione dei muscoli ileo-psoas, sartorio e tensore della fascia lata. I retti anteriori partecipano ugualmente al movimento, con il quadricipite se le gambe sono in estensione. L’ileo-psoas è il più importante; muscolo occulto, poiché impossibile da palpare in modo diretto, situato nella profondità addominale, prende le sue inserzioni nella parte alta del femore per il suo tendine terminale, sull’osso iliaco per una delle sue due inserzioni alte, sulla colonna vertebrale per l’altra. Per questa ragione è lordosante. Se gli arti inferiori sono uniti, gli adduttori e i retti interni partecipano al movimento. Quando l’elevazione raggiunge la verticale, lo sforzo dei flessori diventa inutile. La distensione dei lunghi muscoli ischiatici entra in gioco ruotando il bacino, movimento facilitato dal peso dei due arti inferiori.

La contrazione concentrica degli addominali facilita il sollevamento del bacino; si tratterà prima di una flessione del bacino sulla colonna vertebrale e poi progressivamente di un arrotolamento totale della colonna: flessione lombare, dorsale e cervicale. Nel movimento di ritorno la gravità è sufficiente a produrre lo srotolamento dalla colonna cervicale fino al bacino. I muscoli intervengono per frenare il movimento e assicurare la discesa lenta degli arti inferiori. Questo intervento in contrazione eccentrica è del massimo interesse per la loro tonificazione (fig. 9).

Fig. 9

Si sarà ben compreso che, se gli arti inferiori sono flessi, la lunghezza del loro braccio di leva diminuisce, facilitando così l’esercizio. Il contrappeso va utilizzato per il movimento di ritorno. La testa sollevata fa da contrappeso ai due arti inferiori. La preparazione dovrà permettere al praticante di avere la possibilità di effettuare l’insieme di ciò che abbiamo appena descritto in modo lento e senza utilizzare la forza d’inerzia, lanciando prima gli arti inferiori verso la verticale, poi il tronco, come si può spesso osservare.

In sarvângâsana le braccia sono a terra, oppure nel prolungamento del corpo. Il peso del corpo, eccetto la testa e il collo, riposa sulla cintura scapolare e sulla parte dorsale alta (fig. 10).

Fig. 10

In questo equilibrio il corpo è ben raddrizzato, i centri di gravità dei diversi segmenti tendono a essere gli uni sopra gli altri. La muscolatura interviene unicamente per erigere il corpo: è la muscolatura tonica che lavora. La postura è realizzata in un certo confort muscolare, poiché l’equilibrio viene ottenuto nel rispetto delle curve naturali.

In compenso, il peso del corpo riposa in gran parte sulla cerniera cervico-dorsale; questa zona è in iper-flessione; essa deve sorreggere un peso per il quale non è concepita. D’altra parte, il peso del corpo accentua l’iper-flessione di questa cerniera. Se le braccia sono riportate al suolo, in direzione della testa, la flessione cervico-dorsale viene aumentata; è massima quando le braccia sono lungo il corpo. Il loro peso si aggiunge a quello del corpo. Alcune persone non potranno accedere che alla postura attenuata: viparîta-karanî.

 

VII -Viparîta-karanî

La base di sostegno è importante; il peso del corpo riposa in gran parte sugli avambracci e la cintura scapolare, poco sulla colonna cervicale e la testa. La parte muscolare è minima quando l’equilibrio dei segmenti viene assicurato: gli addominali devono intervenire, così come i muscoli che mantengono il centro di gravità degli arti inferiori in equilibrio con quello del tronco (fig. 11).

Fig. 11

 

VIII - Halâsana

Abbiamo visto il meccanismo dell’arrotolamento. Halâsana ha come punto in comune con sarvângâsana la compressione del collo. Si differenzia invece per la distensione muscolare. L’avvicinamento dei centri di gravità dei diversi segmenti del corpo accentua la componente dell’arrotolamento, che diventa massimo.

Lo stiramento dell’apparato legamentoso vertebrale posteriore è estremo. L’azione sulle tensioni delle membrane reciproche si verifica per la difficoltà di arrotolare il cranio e il sacro. La respirazione è modificata, se non ostacolata, per la compressione anteriore. La cavità addominale trasmette la sua pressione a quella toracica. Questa pressione è trasmessa all’insieme del contenuto della parte anteriore del collo e fino alla testa. Questa postura è ritenuta (con sarvângâsana) agire sulla ghiandola tiroidea. Non possiamo affermare che agisca in eccitazione o in inibizione. Meccanicamente, la zona anteriore del collo è compressa durante la postura. Osserviamo che sempre a una compressione segue una decompressione (all’occorrenza lasciare la posizione o eseguire un’altra postura) sempre favorevole a un apporto di sangue; a un allontanamento di sangue da un organo per compressione fa seguito un afflusso di sangue. Questa zona è quella delle ghiandole tiroide e paratiroidi. è la regione della prima costa, passaggio di un tunnel nervoso-vascolare importante. La colonna cervicale si trova in iper-flessione. Il sistema circolatorio, passando da una vertebra all’altra, fino al cranio che deve irrigare, è stirato al massimo. è importante che questi luoghi di passaggio siano in buono stato (assenza di artrosi in particolare) per permettere lo stiramento dei vasi sanguigni. L’iper-flessione della colonna cervicale agisce anche sulle superfici articolari inter-vertebrali, giustificando le contro-posizioni in iper-estensione. Segnaliamo senza analizzarla che una certa maniera di assumere matsyendrâsana compensa la posizione delle due prime coste.

 

Conclusione

Gli effetti e le ripercussioni di tutte queste posture o esercizi fanno convenire sulla necessità di una preparazione e di una progressione nella pratica e nell’insegnamento. Si deve tener conto di numerose precauzioni: la biomeccanica e l’analisi di un movimento sono più comprensibili quando è possibile passare alla pratica personale di questo esercizio.

Lo Yoga non è una terapia, è una via di evoluzione. Per questa ragione non abbiamo dato delle indicazioni o delle contro-indicazioni. Ciascuno, se non può praticare le posture capovolte, potrà trarre profitto dalle posizioni declivi. L’uso delle «tavole ad inversione di gravità» elimina la partecipazione attiva della muscolatura e dei centri dell’equilibrio del corpo; non apporta nulla sul piano propriocettivo. Se troviamo un interesse per certe posture capovolte (massimo 45°), non siamo troppo favorevoli a queste «tavole ad inversione»: l’angolo è troppo elevato. Non esiste nessun piano di direzione per la colonna vertebrale. Ci si ricordi anche degli effetti sul sistema circolatorio indicati all’inizio di questo capitolo.

Non abbiamo delle regole rigide da dare: tutto dipende dai casi individuali; per esempio abbiamo visto delle donne incinte praticare molto a lungo la candela.

Speriamo di aver tracciato una direzione di lavoro e di ricerca. Riteniamo che lo Yoga sopporti male la scienza teorica e la tecnica: è empirico, di tutta pratica.

Se non potete praticare queste posizioni, vi invitiamo a collocarvi confortevolmente sulla schiena, a rilassarvi e a vivere mentalmente ogni movimento nelle sensazioni che esso procura.

Allenerete il vostro sistema dell’equilibrio, praticando la visualizzazione, poiché lo studio dei movimenti immaginati ha dimostrato che il corpo rispondeva come se i movimenti fossero stati realizzati. I movimenti visualizzati si accompagnano sempre a un potenziale di azione registrabile nei muscoli che partecipano normalmente allo sforzo.

Durante gli esercizi immaginati non si riscontrano perturbazioni circolatorie né respiratorie (salvo all’inizio, nelle prime sedute).

Questo modo di procedere facilita l’apprendimento e la messa in pratica ulteriore dei movimenti. Facilita anche la reintegrazione dello schema corporeo. Inoltre è un modo di superare la paura quando si tratta di posture così inabituali come le posizioni capovolte.

 

Jean-Pierre Laffez

 

 


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