F.N.E.Y.
Hatha-yoga: l'equilibrio in piedi

 


 

INDICE

Ysé Masquelier
Prefazione

François Roux
Polarità e libertà

Andrée Maman
Gli equilibri in piedi: aspetti anatomici

Elisabeth Libraire
Punti di vista sulla respirazione nelle posizioni di equilibrio in piedi

Alfred Tomatis
Equilibrio e Yoga: ruolo dell'orecchio interno

Béatrice Bouchillou
"Essere" in equilibrio: esempi di posture e pratica

Roger Clerc
Le posizioni di equilibrio su uno o due piedi

Patrick Tomatis
Dall'equilibrio relativo all'equilibrio assoluto

Annick de Souzenelle
Simbolismo della colonna vertebrale ed equilibrio

Bernard Rerolle
Equilibrio, istante di "grazia"... o frutto maturato a lungo

Elisabeth Andres
Danzare l'equilibrio del mondo

Pascale Brun e Christine Villiers
Glossario delle posizioni di equilibrio in piedi

Lessico

Bibliografia

 


 

PASSI SCELTI

 

GLI EQUILIBRI IN PIEDI: ASPETTI ANATOMICI

Le posizioni di equilibrio nello Yoga sono numerose. Ci limiteremo, in questo studio, agli equilibri in piedi e cercheremo di analizzare ciò che accade sul piano anatomico e fisiologico. Noi conosciamo, d’altro canto, l’impatto psicologico della pratica della disciplina che ci interessa; è ciò che tenteremo di esprimere in un secondo tempo.

 

DEFINIZIONI

Quali sono i significati esatti del termine «equilibrio»? Nel Larousse, questo termine viene fatto derivare dal latino aequus che vuole dire «uguale», e da librus che significa «bilancia» (noteremo a questo proposito che in inglese equilibrio si dice balance, cosa che simboleggia bene lo stato di inerzia in cui si collocano i due piatti di una bilancia).

Si trova, in generale, come prima definizione: «Stato di riposo di un corpo sollecitato da diverse forze che si annullano»; quindi, posizione stabile del corpo umano. Psicologicamente, ciò implica ponderazione, calma, buon funzionamento dell’attività mentale, una mente ben equilibrata, espressione che viene comunemente impiegata per parlare di una persona dal comportamento ragionevole.

Un’altra definizione scelta come esempio: «Uguaglianza di forze tra due o più cose che si oppongono e, per estensione, stato di riposo di ciò che è sottoposto a tali forze». Equilibrio implica dunque stabilità, riposo, assenza di movimenti e di tensioni. Nel linguaggio corrente, si tratta di un «atteggiamento o posizione verticale stabile», quindi aplomb, assetto.

Fisiologicamente, avere il senso dell’equilibrio corrisponde all’insieme delle impressioni che producono dei movimenti riflessi per mantenere o ristabilire l’equilibrio del corpo. E, biologicamente, si tratterà dei costanti riaggiustamenti messi in opera dall’organismo per mantenere un equilibrio funzionale chiamato omeostasi, garanzia di una buona salute. La perdita di questo equilibrio è la malattia.

Il senso figurato del termine richiama l’idea di un giusto rapporto, una giusta proporzione tra cose opposte, quindi uno stato di armonia, di stabilità e di ponderazione che possiamo supporre applicabile tanto al fisico che alla psiche.

 

CONSIDERAZIONI ANATOMICHE

Dal quadrupede al bipede

Dopo aver enunciato alcuni criteri generali, prenderemo degli esempi più concreti di pratica precisando i punti particolari da rispettare nella esecuzione.

La cronistoria dell’evoluzione dell’essere umano mostra che vi è stato passaggio dalla posizione quadrupedica alla posizione verticale. Mentre a quattro zampe tutto il peso della colonna vertebrale riposa sugli arti, non è più la stessa cosa in verticale, dove solo gli arti inferiori saranno il sostegno principale del corpo, attraverso le articolazioni delle anche che, come intermediari, li collegano al bacino. Da allora, la posizione degli arti inferiori, delle ginocchia, delle anche e del bacino acquisterà una grandissima importanza per mantenere non solo l’equilibrio, ma anche per condizionare una statica armoniosa in ogni circostanza.

Il ruolo dei piedi è anche molto importante; fermiamoci un istante su questa scommessa rappresentata dalla prodezza di tenersi in equilibrio su di una base così piccola, base che viene chiamata poligono di sostegno.

Il raddrizzamento del corpo ha portato soprattutto dei considerevoli cambiamenti a livello delle curve vertebrali, esse stesse dipendenti dalla posizione del bacino e, beninteso, degli arti inferiori.

Richiamiamo la direzione di queste curve: si tratta di una convessità in avanti del rachide cervicale e lombare (o lordosi) e di una convessità indietro del rachide dorsale (o cifosi). Queste curvature hanno una duplice finalità: da una parte, permettere correttamente il mantenimento di una verticalità armoniosa, e, dall’altra, ammortizzare tutte le scosse provocate dagli urti subiti in conseguenza dei movimenti, come il camminare, la corsa, lo sport... sull’asse nervoso (ricordiamo che il rachide protegge il midollo spinale e che il cranio, sostenuto dal rachide, protegge il cervello).

La verticalità ha spesso dato luogo a una accentuazione esagerata delle curve del rachide e a un accorciamento dei muscoli posteriori, detti delle «docce vertebrali», muscoli che sono divenuti pienamente attivi e la cui tonicità si è accentuata, creando spesso uno squilibrio con una tonicità insufficiente dei muscoli anteriori come ad esempio i muscoli addominali. Lordosi cervicale e lombare troppo marcate, cifosi dorsale esagerata, provocheranno alla lunga delle contratture muscolari per ipertonicità dei muscoli posturali e, più tardi, dei dolori invalidanti (è risaputa la frequenza dei dolori del rachide nei nostri paesi). Altra conseguenza, sull’equilibrio e la funzionalità: c’è il rischio di veder prodursi una mancanza di mobilità pregiudizievole al livello delle articolazioni di sostegno come le anche e le ginocchia.

A volte è stato detto che certe caratteristiche frequenti, consequenziali a una statica erronea, sono, al nostro stadio evolutivo, una fatalità, e che bisognerà attendere ancora qualche centinaio (o più) di anni per vedere realizzarsi nella specie umana l’arrivo di un essere giunto a una verticalità ideale e armoniosa. La nostra opinione è che se si ha la volontà di assumersi la responsabilità di se stessi, essendo coscienti dei propri difetti e particolarità, e se si pratica con consapevolezza di ciò che si fa, regolarmente, progressivamente, si hanno tutte le possibilità di essere in anticipo sul calendario evolutivo che alcuni prevedono.

L’equilibrio su due piedi (samasthiti)

Abbiamo insistito su queste nozioni, la cui conoscenza è indispensabile per la preparazione del corpo alle posture in generale e a quelle d’equilibrio in particolare. Detto questo, a quale tipo di statica si può sperare di arrivare? La postura verticale in equilibrio sui due piedi è la rappresentazione della posizione adeguata del corpo nella verticalità: si tratta di samasthiti che descriveremo adesso: notiamo in primo luogo che questo termine è composto da stha che significa «tenersi in piedi stabilmente», e da sama che vuol dire «uguale»; è dunque una posizione in cui il corpo è nella posizione corretta, uguale, senza movimento, senza tensione e stabile, quindi in equilibrio.

Fig. 1

In questa postura (fig. 1) i piedi sono paralleli, leggermente separati l’uno dall’altro di circa tre dita, e il loro appoggio sarà su tutta la pianta del piede, le dita ben distese e rilassate, mettendo un po’ più di peso sui talloni, e, soprattutto, sul bordo esterno del piede, impedendo così all’arcata plantare interna di schiacciarsi passivamente al suolo. Gli abbassamenti dell’arcata plantare sono frequenti, si dovrà aver cura di pensare costantemente a verificare e, se necessario, correggere la posizione dei piedi. Gli arti inferiori saranno tonici, senza tensioni e il bacino conserverà una posizione orizzontale, vale a dire che non sarà troppo inclinato, né in avanti, né all’indietro. Per ottenere questa orizzontalità, sarà necessario contrarre leggermente i glutei posteriormente e i muscoli addominali anteriormente.

Dopo avere definito la statica pelvica, vediamo la posizione adeguata della testa e del collo: sarà auspicabile mantenere costantemente una nuca allungata la cui linea prolunghi senza interruzioni quella del dorso e, par fare questo, in un primo tempo, si contrarranno i muscoli anteriori del collo, in modo da riportare il mento presso lo sterno; poi, in un secondo tempo, si aumenterà la tonicità dei muscoli posteriori della nuca, il che avrà come effetto di ridurre la lordosi e riportare la testa leggermente all’indietro, come se la sommità del cranio volesse avvicinarsi al soffitto.

Per riassumere: avere cura di correggere in questo modo la statica lombo-pelvica e quella cervicale conduce a delle curve lordotiche controllate e leggermente raddrizzate; ciò è, con coscienza e attenzione, molto facile da realizzare e da mantenere. Sappiamo, al contrario, che è in generale più difficile agire direttamente e volontariamente sulla cifosi dorsale; ma si comprende che l’effetto di leggera trazione che si esercita su quest’ultima alle due estremità, superiore (giunzione con il collo) e inferiore (giunzione con la regione lombare) avrà alla lunga un effetto benefico su quest’ultima.

Che cosa succede allora sul piano muscolare? Anche in questa situazione di equilibrio relativamente facile sui due piedi, si producono sempre delle leggere oscillazioni del corpo: il tono muscolare resta costantemente in azione per riaggiustare incessantemente l’equilibrio. Le informazioni di un eventuale squilibrio, provocato da oscillazioni più ampie o da mancanza di attenzione, ci vengono da elementi sensoriali detti propriocettori, situati nei muscoli a livello della placca motrice, sui tendini delle inserzioni muscolari e sui legamenti articolari; questi elementi, sensibili alla pressione, informano il sistema nervoso della necessità di un adeguamento. Abbiamo visto l’esempio di un equilibrio statico. Sarà più difficile mantenere la stabilità in situazioni meno abituali, come, per esempio, sulla punta dei piedi o anche su un piede solo.

L’equilibrio sulle dita dei piedi (tâdâsana)

Prendiamo il caso della postura, o meglio del gruppo di posture, rientranti nel concetto di tâdâsana (tâda significa «albero diritto»).

In queste posizioni, a partire da samasthiti precedentemente descritta, si sale sulla punta dei piedi per fare diversi movimenti delle braccia (figg. 2, 3, 4, 5).

Fig. 2 Fig. 3 Fig. 4 Fig. 5

Quando ci si solleva sulla punta dei piedi, l’appoggio è sul primo e secondo dito, praticamente nullo sulle altre dita, i piedi restano ben paralleli e si toccano con il bordo interno; si sale il più in alto possibile estendendo bene la faccia anteriore della caviglia e si ridiscende lentamente sui talloni. La salita, che implica un’apertura del corpo, sarà fatta durante un’inspirazione e la discesa con un’espirazione.

Durante tutto il movimento, il bacino mantiene la sua posizione orizzontale: bisogna impedirgli di inclinarsi in avanti, cosa che si avrà tendenza a fare ma che accentuerebbe la curva lordotica lombare rischiando quindi di rompere l’equilibrio; per fare questo, si mantengono le gambe ben tese e si contraggono i glutei e gli addominali; restando questi muscoli corti, impediscono al bacino di muoversi e lo mantengono nella posizione adeguata (pube verso l’alto e coccige verso il basso). In un primo tempo ci si può aiutare con un sostegno che poi verrà progressivamente soppresso, via via che si percepisce meglio la posizione del corpo nello spazio in questa situazione. Anche fissare con lo sguardo un punto immobile davanti a sé è un aiuto efficace.

Equilibrio su un solo piede (ekapâda)

Fig. 6 Fig. 7 Fig. 8
Fig. 9 Fig. 10

Figg. da 6 a 10. L’immobilità del corpo, tanto durante la presa della postura che durante il suo mantenimento, si rivelerà molto più difficile da conservare. Prima di vedere i principi pratici da osservare per fare il meglio possibile queste posture, cerchiamo di capire come si comporta in generale il corpo in movimento nello spazio per andare verso una postura desiderata: a ogni cambiamento di posizione nello spazio, l’equilibrio sarà mantenuto solo al prezzo di riassestamenti costanti del tono muscolare, tanto a livello dei muscoli agonisti (quelli che effettuano il movimento) quanto dei muscoli antagonisti (quelli che frenano il movimento), e l’equilibrio sarà la giusta proporzione di questo bilancio di tonicità, al quale si aggiungerà il giusto bilancio di utilizzazione del peso dei diversi segmenti del corpo, e questo tenendo conto del fatto che il centro di gravità deve sempre collocarsi all’interno del poligono di sostegno, il quale varia secondo la posizione del corpo. Se si possiede una buona padronanza di tutti questi elementi, si darà l’impressione nella loro esecuzione di una grande facilità, di leggerezza e di armonia. I gesti sembreranno naturali, fluidi, apparentemente fatti senza sforzo.

Avendo precisato questo, torniamo agli equilibri su un piede: si avrà cura in primo luogo di spostare il peso del corpo sul piede d’appoggio traslando leggermente il bacino sull’anca corrispondente; facendo questo si scarica l’altro arto inferiore che potrà sollevarsi. Sul piano muscolare, si aumenta la tonicità della catena muscolare postero-esterna dell’arto di appoggio dal gluteo fino alla pianta del piede. Quando l’appoggio sulla gamba di sostegno sarà ben assicurato, si sarà pronti allora a spostare il corpo su questa base stabile e ad andare nella direzione scelta. I movimenti dovranno sempre essere lenti e progressivi, senza scosse brusche che sicuramente provocherebbero una perdita di equilibrio. La respirazione, ampia, calma e regolare sarà anch’essa un sostegno molto efficace in queste situazioni delicate. Tutte le posture di equilibrio saranno più facili da eseguire e da mantenere a occhi aperti. Come spiegare questo fenomeno? Ciò ci porterà a considerare gli altri elementi, oltre a quelli muscolari, che entrano in gioco nel mantenimento dell’equilibrio.

 

L’EQUILIBRIO E LA SUA REGOLAZIONE FISIOLOGICA

L’equilibrio è una funzione molto complessa che risulta da una permanente integrazione di informazioni visive, propriocettive e vestibolari. è al livello del cervelletto che verrà fatta l’integrazione di queste informazioni.

L’equilibrio garantisce questa postura eretta, specifica della specie umana, posizione che si definisce in rapporto alla gravità e introduce, come abbiamo già visto, la nozione di poligono di sostegno, all’interno del quale deve sempre proiettarsi il centro di gravità. è questa funzione che ci informa in ogni circostanza sull’orientamento, la posizione e lo spostamento del corpo nello spazio. Si tratta di una funzione plurimodale compensata, i cui recettori sono:

a) La vista, elemento essenziale che permette di fissare un punto di riferimento nel corso degli spostamenti della testa, in sinergia con il labirinto, organo dell’orecchio interno.

b) La cenestesia generale di cui abbiamo già parlato: si tratta della sensibilità superficiale e soprattutto profonda che informa sulla disposizione generale dei segmenti del corpo e sul grado di pressione e di tensione subiti dai nostri tendini, muscoli e articolazioni. In questo quadro, i muscoli del polpaccio, della pianta del piede e della nuca forniscono delle informazioni molto importanti.

c) Due organi propriocettivi della testa hanno un ruolo essenziale: sono i due labirinti dell’orecchio interno che ci informano con precisione sulle accelerazioni lineari e angolari subite dalla testa. Ogni labirinto contiene contrapposti:

- la coclea: recettore uditivo che localizza la fonte sonora vibratoria con l’aiuto delle ciglia vibratili,

- l’apparato vestibolare che misura le accelerazioni lineari e angolari grazie ai canali semicircolari orientati nei tre piani dello spazio.

Riassumendo, il ruolo dell’apparato vestibolare nella vita corrente non si esaurisce nel mantenere l’individuo informato sulla sua posizione nello spazio; permette anche di guidare con stimoli precisi la muscolatura antigravitaria e di compensare l’accelerazione e le forze agenti sulla posizione della testa, del tronco, degli arti e sulla posizione eretta normale.

 

RUOLO INTEGRATORE DEL CERVELLETTO SULL’EQUILIBRIO

Il cervelletto è una struttura intra-craniale situata dietro il bulbo e il ponte di Varolio. Comprende una porzione impari, la regione vermicolare, e due lobi laterali. è attaccato agli elementi del tronco cerebrale da sei peduncoli cerebellari, superiori, medi e inferiori.

Come il cervello, comprende: una corteccia grigia, dei nuclei grigi centrali, delle fibre di sostanza bianca. Si tratta di un organo autonomo collegato in derivazione sull’asse encefalico-midollare.

Comprende due sistemi anatomicamente e fisiologicamente distinti.

L’uno, che ha per centro la regione vermicolare, svolge un ruolo equilibratore statico e cinetico; riceve degli influssi sensori incoscienti e propriocettivi che lo informano sulla posizione dei diversi segmenti corporei gli uni in rapporto agli altri; quelli giunti dai muscoli della nuca, in particolare, gli indicano la posizione della testa in rapporto al resto del corpo, in base al loro grado di tensione. Ne riceve ugualmente dai muscoli del globo oculare, dai muscoli della pianta del piede e soprattutto dall’orecchio interno tramite il ramo vestibolare dell’ottavo paio dei nervi intra-craniali. Esso integra queste differenti informazioni e agisce sul tono dei muscoli del corpo in modo da mantenerne l’equilibrio, tanto in posizione immobile quanto nel corso di movimenti. Osserviamo in effetti che cosa succede a livello dei piedi, in particolare durante l’esecuzione di una postura di equilibrio: si constatano, se si è attenti, dei sottili riassestamenti muscolari costanti con aumento o diminuzione del tono di questi piccoli muscoli.

L’altro sistema ha per centro i lobi laterali; esso ha dei rapporti esclusivi con i lobi cerebrali; ne controlla l’attività coordinando gli influssi che vi nascono. Ha soprattutto un ruolo di coordinazione automatica dei movimenti volontari e semi-volontari.

Per riassumere, teniamo presente la complessità degli elementi necessari al mantenimento di un buon equilibrio e meravigliamoci di fronte a una tale finezza creativa. L’integrazione di un tale sistema esigerà una buona strutturazione mentale, cosa che ci permette di compiere la transizione verso le conseguenze psicologiche delle posture di equilibrio. In effetti, l’essere umano è un tutto le cui modalità di funzionamento fisico, fisiologico e psicologico non possono essere dissociate senza il rischio di arrivare a una esplosione «schizoide» che renda impossibile un comportamento armonioso, quindi, secondo la nostra definizione, equilibrato.

 

INTERAZIONI SOMATO-PSICHICHE E PSICO-SOMATICHE NELLE POSTURE DI EQUILIBRIO

La pratica frequente di posizioni di equilibrio esige - l’abbiamo appena visto - una perfetta padronanza dei muscoli posturali e il mantenimento al loro livello di un tono adeguato e modulato; gli elementi muscolari e articolari che entrano in gioco ne verranno quindi strutturati meglio e in maniera durevole: ricordiamo che si tratta principalmente dei muscoli dell’arcata plantare, del polpaccio, della nuca e di tutti i muscoli posturali (muscoli posteriori del tronco e del bacino, muscoli posteriori degli arti inferiori e anche muscoli anteriori delle cosce).

Questa pratica mantiene anche una buona strutturazione del sistema nervoso, il quale, tra l’altro, permette il riconoscimento e il migliore utilizzo possibile dello spazio in cui ci evolviamo. Una delle caratteristiche dell’invecchiamento fisiologico (escludo volontariamente tutte le patologie neurologiche frequenti in età avanzata) è la perdita frequente del senso di orientamento spaziale, che conduce alla perdita dell’equilibrio più elementare: osserviamo, in effetti, come le persone anziane frequentemente camminino con esitazione e allargando le gambe per ingrandire opportunamente il loro poligono di sostegno. Pensiamo quindi che le posizioni di equilibrio ci permettano di conservare una buona integrazione cerebro-cerebellare.

Questo spiega in modo innegabile le ricadute sul piano psicologico. Per tenere una postura di questo tipo, è necessaria una attenzione senza incrinature e una grande concentrazione: ogni distrazione provoca immancabilmente la perdita dell’equilibrio. Questa attenzione a ciò che è, con l’esclusione di ogni altra preoccupazione, ha delle evidenti ripercussioni sul comportamento in generale, predisponendoci a vivere intensamente il qui e ora, e a compiere ogni gesto e ogni azione con la stessa qualità di concentrazione.

Noi vi vediamo ancora un’altra implicazione psicologica che può incitarci a un cambiamento di comportamento: la difficoltà evidente di queste posizioni fa sì che gli insuccessi siano frequenti: si ricade troppo rapidamente dal proprio equilibrio, o anche lo si mantiene maldestramente, in modo instabile, in breve non ci si riesce bene e si rimane insoddisfatti. è allora che sarebbe auspicabile lasciare da parte il proprio piccolo «io» che avrebbe tendenza a colpevolizzarsi, a paragonarsi con coloro che riescono più facilmente, e ad abbandonare ogni spirito di competizione tanto verso se stessi che verso gli altri. Si mantiene così tutta la propria forza di determinazione per arrivare progressivamente al fine ricercato. Non siamo forse costantemente a confronto con simili situazioni nella vita quotidiana? E non sarebbe bene saperle vivere con la stessa distensione, senza irrigidirsi sul desiderio di ottenere troppo presto una ricompensa degli sforzi compiuti?

 

CONCLUSIONE

Queste riflessioni a proposito dell’analisi dell’equilibrio del corpo umano permettono di constatare, una volta di più, le strette interazioni che presiedono al funzionamento armonioso del nostro essere nella sua globalità. Ci spingono a meravigliarci davanti alla precisione delle posizioni dello Yoga e alle loro implicazioni in uno sviluppo totale e in una migliore integrazione delle nostre facoltà, per noi stessi e per confrontarci al nostro ambiente. Salutiamo il genio intuitivo dei nostri maestri a cui mancavano, all’epoca in cui vivevano, le certezze scientifiche alle quali noi siamo giunti; nondimeno con il loro dono di osservazione e la loro umiltà, esaltata nell’azione, sono giunti a una comprensione intelligente delle potenzialità che, in noi, restano da svelare pazientemente e della necessità di svilupparle per raggiungere la pienezza della gioia.

Andrée Maman

 

 


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