Sarah Cervellati

Il rilassamento: serenità e vigilanza

   


   

INDICE

   

1. Il rilassamento non è…

Riposo

Dolce far niente

Vuoto

Lasciar correre la mente

   

2. Il rilassamento è...

Il meccanismo dello stress

Consapevole

Ristoratore

Spazio

Difficile

Mollare la presa della razionalità

Dalle parole degli allievi

La posizione del cadavere

Altre posizioni di rilassamento

    

3. Ingredienti

Un luogo tranquillo

Una musica dolce

Serenità interiore

La guida di una voce serena

Una coperta

Sankalpa

I cimbali

Il respiro

   

4. Il rilassamento quando

Dopo una giornata difficile

Dopo una pratica intensa

Dopo un litigio

Prima di una decisione importante

Nelle cose di tutti i giorni

   

5. Il rilassamento dove

Solo con la guida durante il corso di yoga

Da soli in luoghi protetti

Da soli dovunque

   

6. Il rilassamento come

Massaggio

Rotazione della coscienza

Visualizzazione di luoghi sereni

Entrare in se stessi

Sensazioni negli spazi interni

So 'ham

Visualizzazione di forme

   

7. Il rilassamento in due

Praticare in coppia

Massaggio

Lasciarsi trasportare dal suono

Respirare

Scuotersi

   

8. Il rilassamento in gruppo

Stare insieme ad altre persone

La posizione

Gli strumenti

   

Bibliografia

   


   

PASSI SCELTI

    

2

IL RILASSAMENTO È…

   

Il meccanismo dello stress

Lo stress, di cui tanto si parla oggi in negativo, è in realtà una funzione di adattamento fondamentale per l'uomo, così come per gli animali. Il primo a studiare questo fenomeno fu Hans Selye: egli dimostrò come la natura preveda questo meccanismo di reazione che viene distinto in atteggiamento di combattimento e atteggiamento di fuga al fine di proteggere l'uomo dai pericoli reali che gli si presentano.

È, per intenderci, il meccanismo che ci fa spaventare se, in mezzo alla savana, ci troviamo di fronte ad un leone; il cuore accelera il suo ritmo, le pupille si dilatano, il respiro diventa più veloce, aumenta la sudorazione, si bloccano i meccanismi digestivi, il sangue si fa meno fluido e diminuisce l'irrorazione sanguigna delle zone periferiche. Si tratta di un'attivazione del sistema nervoso autonomo ortosimpatico che, scatenando una scarica surrenale di adrenalina e cortisone, ci fa fuggire a gambe levate. In altri casi lo stesso meccanismo si attiva per combattere un nemico che sappiamo di poter affrontare. Lo stesso accade agli altri animali quando si sentono braccati. Arrivati sani e salvi in un posto sicuro, questa reazione si trasforma e il sistema nervoso autonomo parasimpatico riprende le redini; rallentano il battito cardiaco e il ritmo del respiro e si operano trasformazioni opposte alle precedenti, grazie all'azione di mediatori chimici come l'acetilcolina.

Altre volte, soprattutto negli animali, la strategia che salva la vita è la possibilità di riuscire a stare completamente immobili, in modo da ingannare o depistare eventuali inseguitori o predatori.

Le reazioni psicofisiologiche descritte si manifestano in modo identico sia nel caso di un effettivo, reale pericolo, sia che il pericolo sia "solo” immaginato o psicologico. Purtroppo l'uomo di oggi è costantemente sottoposto ad un superlavoro del sistema nervoso ortosimpatico soprattutto in situazioni psicologicamente competitive. Lo stato di allerta è confinato nella mente, ma è incessante.

Esistono grafici che illustrano la quantità di stress che ogni evento di vita porta con sé; ogni situazione di vita è potenzialmente stressante, dal matrimonio ad un lutto, ma anche un trasloco, il cambio di ufficio per quanto possa essere stato desiderato…

Sottolineo la parola potenzialmente perché lo stress è una reazione di adattamento fondamentale per il buon funzionamento dell'essere umano con tutte le sue risorse e possibilità.

Chi è sottoposto, o si lascia sottoporre (e qui la parentesi potrebbe essere amplissima) a stress prolungati e intensi diventa più vulnerabile ad un elevato numero di malattie perché il suo sistema immunitario viene alterato dal continuo stato di tensione. L'ansia che si crea a causa del continuo essere “sul chi va là” è una reazione alla sensazione di un pericolo interno, che può arrivare addirittura a provocare quelli che comunemente si definiscono attacchi di panico.

La pratica quotidiana dello yoga e in particolare di shavâsana (di cui parleremo tra qualche pagina) è in grado di riportare i praticanti stressati a livelli “normali” pur mantenendo inalterato l'ambiente in cui vivono. Diventa fondamentale poter lavorare contemporaneamente sul riconoscere le cause dello stress e sul porvi rimedio, nel senso di modificare non tanto la realtà oggettiva, quanto l'ottica, il punto di vista sulla realtà stessa e permettere al rilassamento di mantenere la sua efficacia al di fuori dell'ora di pratica, al fine di favorire quella che può essere definita “coscienza psicosomatica”.

La fretta nella quotidianità è ormai un'epidemia, ma l'uomo non può sostenere ritmi così elevati a lungo, tanto meno se non si ascolta; le malattie portano con sé significati molto importanti e noi li nascondiamo con farmaci o vaccini: dobbiamo produrre! è questo il nostro imperativo. Ma i nostri bisogni reali sono altri, se li scopriamo sicuramente dobbiamo mettere in conto una dose di sofferenza e forse una macchina in meno in garage, ma la nostra essenza più vera ci ringrazierà mille volte.

Per comprendere meglio possiamo riflettere su ciò che succedeva agli indiani d'America qualche centinaio d'anni fa: essi erano abituati, nei loro spostamenti, a due giorni di cammino e uno di riposo, un europeo che viaggiava con loro chiese perché si fermassero considerato che non erano stanchi. Il capo tribù gli rispose che i loro corpi camminavano veloci, ma dovevano fermarsi ogni tanto per aspettare le loro anime, che arrivavano più lentamente.

Chissà dove sono rimaste le nostre…

Il discorso si fa ulteriormente complesso se pensiamo a come i bambini affrontano le diverse situazioni di vita in cui si trovano immersi. Per ora i bambini non nascono con lo stress, eppure risentono profondamente, sin dai primi istanti di vita, degli sconvolgimenti continui che li circondano; in effetti non abbiamo molte armi per combattere quelli che sono i moderni mulini a vento; è sufficiente, e solo apparentemente facile, cambiare il modo in cui affrontiamo un problema quando si pone.

Questo significa aprire gli occhi davanti alle nostre sofferenze, ai nostri limiti e imparare a dire di no almeno a qualcuno dei mille impegni che ci vengono imposti dagli altri, ma anche a quelli che spesso ci creiamo assolutamente da soli. Questi apparentemente piccoli (ma in realtà grandi) accorgimenti arrivano a svilupparsi da sé attraverso una pratica costante e ci permettono di conquistare un migliore rapporto con noi stessi. Questa auto-educazione, che vede coinvolti tutti i sensi, consente di creare un ricco serbatoio di rapporti col mondo esterno e di appropriarsi al meglio del proprio universo che a volte non corrisponde completamente a quello che ci spingono a credere “giusto”. Perché non esiste una cosa giusta e una sbagliata in assoluto, tutto dev'essere valutato per come è e per come ci si rivela qui e ora. Un bambino, ma altrettanto un adulto che conosca bene il suo ambiente di vita interiore, non si sentirà “stressato” anche nel momento in cui si troverà a dover fronteggiare situazioni di difficoltà.

Durante la pratica di yoga un occhio allenato individua con una buona precisione quegli eventi emotivi che lasciano il segno, non solo sulla personalità, ma sull'apparato muscolare e in particolare sul volto.

La mandibola contratta che in genere segnala rabbia, le spalle su cui portiamo pesi non nostri, la fronte aggrottata da mille pensieri; questi forse sono i segnali più facilmente e banalmente decifrabili, ma entrando in contatto con la persona che ci sta di fronte abbiamo la possibilità di sentire empaticamente che quel particolare atteggiamento, quella postura, quella rigidità, sono in realtà il segnale assolutamente unico e inconfondibile che quella specifica persona utilizza per mostrare il suo disagio, anche se, paradossalmente, a volte ha imparato quella specifica modalità proprio per nascondere il disagio.

Capita che qualcuno, posto di fronte alla sua difficoltà, non necessariamente dall'insegnante, ma anche semplicemente dalla pratica stessa o dalle situazioni di vita che lo coinvolgono, si trovi a confrontarsi con un “nodo” che aveva accantonato e apparentemente dimenticato e si senta finalmente autorizzato ad affrontarlo.

Nella maggior parte dei casi però è vero il contrario: proprio quel nodo fa paura, per cui sarebbe meglio farlo sparire, e qui le reazioni possono essere opposte. Qualcuno abbandona il suo percorso perché non si sente in grado di affrontare un così grande compito, altri invece riescono, da soli o affiancati da un valido supporto (l'insegnante stesso, uno psicologo o chi per lui) a compiere quel passo in avanti che permette di aprirsi ad un nuovo mondo, di maggiore libertà e sicurezza, in cui poter essere davvero se stessi, in cui affrontare la quotidianità con quel giusto distacco che appariva impossibile fino a poco prima. Distacco che non significa perdita di sensibilità o di coinvolgimento, ma osservare che le cose non sono sempre così complicate come appaiono.

   

Consapevole

La forma fisica del rilassamento spesso non è sufficiente a consentire e non sempre è indice inequivocabile di una condizione di rilassamento interno.

Rilassamento significa anche saper abbandonare la modalità che regola il comportamento sociale, quella dello sforzo attraverso l'azione, significa arrivare all'autoregolazione delle funzioni fisiologiche e psicologiche attraverso l'attenzione consapevole. Significa dare ascolto all'essere, immergersi con la coscienza nel corpo riequilibrandone le energie.

La veglia rilassata ci pone in una condizione di coscienza diffusa, quella luminosità di cui si parlava nel capitolo precedente.

Senza voler scendere troppo nei particolari ritengo comunque utile un accenno al tipo di lavoro che svolge il nostro cervello.

Grazie all'elettroencefalogramma notiamo che la frequenza delle onde cerebrali è differente a seconda di ciò che ci accade, è una frequenza variabile tra 1 e 50 hertz con un'ampiezza, attenuata dalla presenza del cuoio capelluto e delle ossa del cranio, che varia da 20 a 100 milliVolt.

Le frequenze dominanti sono:

— le onde alfa (8/13 hertz al secondo), proprie dei bambini dai 6 ai 12 anni. Esse corrispondono ad uno stato di veglia rilassata e all'attivazione delle zone parietali e occipitali della corteccia cerebrale.

— le onde beta (13/30 hertz) che corrispondono alla veglia attiva e, di norma, si osservano nelle regioni frontali. Durante l'attività mentale intensa si possono registrare anche in altre regioni della corteccia cerebrale. Queste onde hanno un'ampiezza minima.

— le onde theta (7/14 hertz) corrispondono al sonno profondo nell'adulto normale e hanno un'ampiezza massima.

— le onde delta (1/4 hertz) corrispondono al coma.

— in condizioni di grande eccitazione o arrabbiatura si registrano potenziali di 30/50 hertz.

Nella condizione di onde alfa, quella propria del rilassamento, la mente è sveglia, ma il corpo si “addormenta”, si riscontra perciò facilmente un abbassamento, a volte anche importante, della temperatura corporea, e questa è la ragione per cui spesso accade di raffreddarsi durante la pratica anche se la temperatura nell'ambiente è adeguata. Accade anche di provare sensazioni di grande calore: possiamo supporre che entrino in circolo energie stimolate dal respiro, dalla pratica o dal semplice lasciar andare.

Una condizione analoga è quella che si osserva mentre un bambino è impegnato nel suo gioco preferito e ci si accorge che il suo vissuto è profondo e il contatto con ciò di cui si occupa molto ben definito.

Allo stesso modo in cui la tensione di alcuni muscoli provoca l'eccitazione dei neuroni corrispondenti, coinvolgendo anche i neuroni vicini e di conseguenza i muscoli corrispondenti e provocando un'attivazione a cascata che provoca il movimento, così attraverso la pratica di rilassamento si può imparare a operare in modo analogo.

Per un adulto che arriva a vivere la condizione di shava-âsana, la sensazione soggettiva è di non potersi, ma nemmeno volersi, più muovere. Nei primi approcci al rilassamento questa sensazione spaventa e si rende necessario “provare” a muovere qualcosa, come per assicurarsi che tutto funzioni ancora; poi questo profondo abbandono diventa familiare e si apprende a goderselo completamente.

Si entra in quello che Berne definisce “stato d'animo intuitivo”:

Esso si ottiene più facilmente con la pratica; può esaurirsi ed è faticoso… Gli stimoli fisici estranei, sia esterni sia interni, sembrano essere irrilevanti… Le cose vengono disposte “automaticamente” appena al di sotto del livello di coscienza.

A livello cerebrale, sia sulla corteccia che nel talamo, si riscontra una mappa coerente della superficie del corpo, definita “omuncolo motorio”, che chiarisce come il sistema nervoso abbia un'organizzazione spaziale precisa e come determinate aree cerebrali (anche negli animali) svolgano funzioni particolari. Le differenti parti del corpo sono inoltre rappresentate in aree cerebrali di dimensioni diverse, come si vede nelle figure alla pagina seguente.

   

Ristoratore

La carica energetica che si riceve durante il rilassamento si manifesta in molti modi diversi. Le esperienze corporee vanno dallo sfrigolio degli arti alla sensazione di ruotare su se stessi, al senso di profonda pesantezza o di incredibile leggerezza, ma anche a sensazioni sgradevoli di cefalea o giramenti di testa, a volte dolori intensi in certe zone del corpo o scoppi di pianto.

è fondamentale sottolineare che i dolori che si manifestano sono "fisiologici", sono l'espressione di realtà che avevamo solo lasciato da parte perché troppo occupati a “fare” qualcosa.

Ognuna di queste sensazioni può essere ricondotta a blocchi, disagi, flussi energetici immobili da tempo.

Al termine della pratica sembra quasi che il corpo rifiorisca, caricato di energia nuova, questo ci permette di sentirci pronti a “spaccare il mondo” e a riprendere con nuova lena i nostri impegni, carichi soprattutto di una inusuale quiete.

Desikachar, nel fondamentale Il cuore dello yoga, afferma:

C'è una regola fondamentale per decidere quando riposarci: ogni volta che ne sentiamo il bisogno.

Il rilassamento, come altre tecniche, ha una importanza enorme in fase di prevenzione; è esperienza di ogni insegnante di yoga, ma anche di altre professionalità, che “l'alternativo” venga ricercato solo nel momento in cui ogni altra strada è stata intrapresa e sembrano non esistere altre possibilità, spesso con stato d'animo rassegnato. Servirebbe un'educazione ad un ascolto diverso di sé, anche da parte della medicina ufficiale, a partire dalla più tenera età. In effetti poter praticare prima dell'evento critico, conoscendo il corpo non solo come quello che a volte definiamo l'involucro che ci porta a spasso, ci permetterebbe di affrontare il disagio con uno spirito diverso, meglio disposti e con qualche arma in più. Questo senza nulla togliere all'importanza che in molti casi la medicina ufficiale riveste e deve mantenere.

   

Spazio

In questo contesto lo spazio è da intendersi in contrapposizione al vuoto di cui si è parlato in precedenza. è uno spazio in cui si può esprimere la creatività, gli psicologi della Gestalt lo definiscono “vuoto fertile”, un luogo che può assumere le caratteristiche di un rifugio, un rifugio non nel senso di fuga, ma nel senso di luogo che appartiene alle nostre energie primordiali, quelle che andiamo a “stuzzicare” e risvegliare dal torpore attraverso la pratica.

Spazio che ci manca nella vita di tutti i giorni; imbottigliati nel traffico (solo apparentemente soli perché chiusi nelle nostre scatolette, mi perdonino gli uomini orgogliosi della loro auto), in coda al supermercato, stesi sulla spiaggia più frequentata… o forse spazio che possiamo anche costruirci nelle condizioni che andiamo sperimentando se solo impariamo a viverlo come tale; allora l'ennesimo semaforo rosso diventa il via libera per sgranchire i piedi o rilassare gli occhi.

   

Difficile

Almeno nelle prime fasi avere una guida è importantissimo, non è poi così facile “non far niente”, non solo fisicamente, ma soprattutto con la mente!

La guida dev'essere presente e vicina. è controindicato buttarsi nel rilassamento profondo da soli e, in particolare, se si riscontrano situazioni critiche come crisi convulsive, epilettiche e altre patologie neurologiche, schizofrenie, tossicodipendenze; viene anche sconsigliata una pratica autonoma agli etilisti, a persone con depressioni gravi, a chi assume neurolettici o ansiolitici e agli infartuati. In questi casi, avendo a disposizione ad esempio una cassetta, si può ascoltare restando a occhi aperti magari osservando un punto fermo o tenendo l'attenzione al contatto del palmo delle mani in appoggio sull'addome o a terra; il rischio che si può correre è di perdere la vigilanza e il senso dei propri confini.

Chi accusa problemi di ipertensione può iniziare a rilassarsi dalla testa e proseguire verso i piedi; al contrario invece per chi è ipoteso o se dopo il rilassamento si prevede una ripresa dell'attività. Chi ha qualche specifica problematica potrà partire da quella, magari visualizzandone forma e colore e portandola verso l'esterno o facendo sì che l'immagine o la sensazione si possa modificare fino a renderla piacevole o a volatilizzarla.

La difficoltà nel rilassarci spesso ce la creiamo da soli: a volte può bastare distendere la fronte, rilasciare la mandibola, muovere la lingua mentre siamo in una delle classiche code al semaforo o al supermercato, ma possiamo anche assaporare lentamente quello che stiamo mangiando o ascoltare davvero la persona che ci parla, e così via. Non sempre è la mente a cercare le sensazioni più disparate, càpita che siano queste ad arrivare a livello di coscienza.

È di grande valore il fatto di poter scordare i propri doveri, di pensare davvero a se stessi, il che non significa essere egoisti: è una condizione che diventa positiva sia per noi stessi sia per chi vive intorno a noi, in questo modo ci si ricarica e quello che si fa lo si realizza con spirito davvero “pulito” e non perché ci si senta obbligati.

Uno degli aspetti fondamentali da considerare è proprio questa possibilità di prendersi dello spazio per sé; diventa importante sospendere il giudizio, allenarsi con costanza, supportati da una motivazione forte, lasciando ad un momento successivo tutto ciò che riguarda la valutazione. A volte accade infatti che i primi istanti appaiano fallimentari: non è così! Impariamo a fidarci dell'intelligenza del nostro corpo e lì i miracoli accadranno.

Ultimo suggerimento di vitale importanza è che il rilassamento deve arrivare prima di essere esauriti.

Si rivela fondamentale chiedere un aiuto a qualcuno competente nel momento in cui ci si trova o ci si sente in difficoltà, o perché si sta affrontando qualcosa di troppo grande, di impegnativo e di difficile gestione, o perché si perde di vista l'obiettivo prefissato. Poter avere uno scambio con chi ha sperimentato prima di noi esperienze analoghe, o semplicemente con chi ci vede da fuori, è di grande nutrimento e incentivo per la propria crescita personale.

   

Mollare la presa della razionalità

Tecniche assimilabili a quelle dello yoga vennero utilizzate da molti scienziati per giungere a grandi scoperte; per citare solo i casi più clamorosi, Newton, ma anche Leonardo da Vinci, Einstein, e Kekulé: quest'ultimo visualizzò la struttura chimica della molecola del benzene in uno stato di coscienza ampliato, analogo alla condizione che si crea durante un rilassamento.

In situazioni di questo genere scatta l'intuizione, quella “funzione psicologica che trasmette percezioni in modo inconscio” (Jung).

Einstein sosteneva che l'essere umano è una parte di quell'intero che chiamiamo universo. L'uomo sperimenta pensieri e sentimenti come separati da sé, ma questa separazione è illusoria e diventa una sorta di prigione. Allargare la propria conoscenza e consapevolezza è indispensabile al fine di liberarci da questa prigione. Realizzare questa libertà consente di includere nel proprio sé tutte le creature viventi e la natura nel suo insieme.

L'individuo si trova a conoscere qualcosa senza sapere come lo conosce. Spesso non sa cosa accade, ma reagisce in modo specifico, come se le sue azioni e reazioni si basassero su qualcosa che conosce. Possiamo definire l'intuizione come un processo cognitivo che opera al di sotto del livello di coscienza; una volta assecondata questa che, forse in modo enfatico ma efficace, chiamiamo "illuminazione", ecco che all'improvviso tutto si chiarisce, un problema che solo pochi attimi prima appariva irrisolvibile trova all'improvviso la soluzione immediata, inattesa e apparentemente banale.

   

Dalle parole degli allievi

Chi si avvicina alla pratica dello yoga, spesso, anche se non sempre, cerca qualcosa che gli permetta di rilassarsi; yoga e rilassamento, in un primo tempo, vengono utilizzati come sinonimi. è vero che l'esperienza quotidiana è intrisa di iperattività, contrazione e impossibilità a “lasciar andare", ma forse anche, riprendendo i concetti filosofici primordiali alla base di questa disciplina, il fatto che il Sé — all'origine illimitato — si debba “contrarre” per diventare un individuo, ha un'importanza da non sottovalutare, perché comunque contribuisce alla “sofferenza” dell'uomo il quale si muove alla continua ricerca della sua completezza.

Da un sondaggio molto “casereccio” e libero in cui chiedevo agli allievi dei corsi di yoga di descrivere quello che per loro è il rilassamento, lasciando ampia libertà di interpretazione personale rispetto all'istruzione data, ho ottenuto informazioni riferite a emozioni anche molto intense, che possono favorire una più ampia comprensione di ciò che comunemente si intende e si sperimenta come rilassamento.

Di seguito riporto gli stralci che mi sembrano più legati al tema in discussione:

Uno stato di grazia… l'impressione che ci sia lo spazio giusto per ogni organo… ci si accorge di non pensare a niente oppure che in un attimo sono passate valanghe di pensieri leggeri come nuvole… (Giovanna)

Tranquillità, equilibrio fisico e mentale… per affrontare la quotidianità… (Daniela)

Benessere psicofisico, una situazione di immobilità totale… distacco” abbandono e silenzio che mi rigenerano… la possibilità di sperimentare interiorità e solitudine spirituale anche se vissuta in uni’ “intimità sociale” all'interno del gruppo.

Poter fare all'interno uno spazio dove non c'è altro che silenzio” (Uta)

La più completa beatitudine con me stesso. Senza pensieri che frullano per il cervello. Il respiro regolare e profondo, il battito cardiaco lento e silenzioso… (Michele)

Il silenzio che racconta, l'aria che diventa sottile…” aspirare con voluttà…” una dimensione di acqua senza tempo che scorre, lava e purifica…” assaporare la perdita di una scorza e di un'apparenza che non ti appartengono più... il nulla e il tutto, la verità e la menzogna, il vuoto e l'infinito, l'assoluto e l'indefinito…” e finalmente l'equilibrio di assenza e pienezza. (Gianna)

Il rilassamento è una condizione psico-fisica in cui corpo e mente riescono a mantenere uno stato di riposo, allo stesso tempo vigile…(Michele)

Rilassarsi potrebbe significare la capacità di distogliere l'attenzione da noi stessi, dai nostri problemi veri o presunti e imparare a guardare, vedendo chi e ciò che ci circonda”come via da percorrere per uscire dai confini (prigioni) da noi stessi costruiti ed entrare in una realtà ed un mondo diversi, già esistenti e non percepiti. (Laura)

Per me il rilassamento è riuscire ad entrare in quello stato mentale che sta tra il sonno e la veglia, nel quale ciò che passa per la mente è qualcosa tra il pensiero e il sogno.

“…in questo modo si può viaggiare all'interno della propria mente cercando di far affiorare ricordi ed emozioni rimossi da tempo.

“Il rilassamento per me è tendere a riprovare quelle sensazioni che ho sentito solo in sogno, assaporare la libertà senza il rimorso per l'abbandono, sapere di essere felice perché anche gli altri lo sono e far volare anche le radici”la ricerca della pace con se stessi e con il mondo…

“Mi addormentavo, era un fuggire la realtà, però mi faceva comunque stare bene”mi sentivo del dolore addosso e questo è vero che non ti fa dormire, ma non ti permette neppure di rilassarti”sono state poche le occasioni che ho avuto per sentire quel senso di benessere e anche di beatitudine che a volte si riesce a provare. Quanto è gradevole, confortevole e anche rassicurante sentirsi trasportare lontano da ogni pensiero e lasciarsi cullare dall'immenso” il rilassamento è forza. La forza che il tuo essere prende dall'intero universo. (Daniela)

Notiamo che, se per qualcuno rilassarsi può anche significare dimenticarsi di sé ed entrare in contatto con l'altro al di là delle convenzioni, per la maggior parte rilassarsi significa invece poter entrare in contatto con se stessi. A ben vedere credo che questa sia una falsa dicotomia, nel senso che entrare in contatto con il nostro vero Sé infinito significa anche entrare davvero in contatto con “l'altro” e viceversa, perché i confini sono solo apparenti, strettamente legati alla nostra “piccola” percezione.

Chi si è avvicinato allo yoga per cercare un momento di “fuga” da tensioni, difficoltà e problemi, si è spesso trovato a scoprire che la scelta è tra guardare in faccia le cose che ci sono e liberarsi della “scorza” che protegge, oppure rimanere in superficie. Magari la schiena non fa più così male, magari ci si arrabbia meno sul lavoro, eppure la ricerca può essere a vari livelli e può raggiungere profondità tali da metterci in diretto contatto con gli opposti: tra i tanti suggerisco l'equilibrio di assenza e pienezza, il poter vivere un briciolo di immensità” e lascio al lettore la libertà di aggiungere la sua unica e irripetibile esperienza individuale.

È chiaro che ogni praticante si avvicina allo yoga con idee e obiettivi del tutto personali ed è giusto che, se vuole stare meglio a livello fisico e non occuparsi di altro, questo sia l'oggetto esclusivo della sua ricerca; eppure, se il suo cuore "apre la porta", si renderà presto conto che contemporaneamente si sviluppano altri àmbiti e la ricerca diventa via via più interessante e ricca di motivazione.

Quello che i praticanti di un qualsiasi corso di yoga scrivono, lo ritroviamo molto simile a livello di idee, sensazioni, emozioni nelle parole dei grandi perché la natura dell'uomo è da sempre volta a questa ricerca:

La salute è la nostra eredità, il nostro diritto, è la completa unione fra corpo, mente e spirito. Questo non è un ideale irraggiungibile, ma è talmente semplice e naturale che parecchi l'hanno trascurato.
(E. Bach)

È possibile cambiare il proprio mondo — persino il proprio corpo — semplicemente cambiando la propria percezione.
(D. Chopra)

   

Shava-âsana, la posizione del cadavere

La posizione classica cui ci si riferisce affrontando il rilassamento è shava-âsana, la “posizione del cadavere” (fig. 3), anche se il termine rilassamento, nei testi classici, non viene utilizzato.

Il rilassamento è classicamente finalizzato ad uno scopo trascendente: si parla di purificazione di corpo e mente ottenuta meditando sull'infinito (Yoga-sûtra, II, 46-47).

Solo apparentemente facile, shavâsana ci impone un tipo di ascolto diverso, un “entrare in profondità”. Qui, a differenza di molti altri âsana, non esiste sforzo fisico, il respiro quasi si annulla spontaneamente ed è come se la mente, non più impegnata a fare o a pensare a qualcosa, si trovasse sola con se stessa.

Automaticamente si paleseranno pruriti, i pensieri più vari, disagi, le gambe cominceranno a “saltare” o si cadrà nel sonno.

Shavâsana è una posizione di profondo abbandono, è perciò necessaria una grande fiducia in chi conduce e la certezza che il luogo che ci accoglie sia "sicuro"; altrimenti si creeranno quei meccanismi di difesa che favoriscono una costante vigilanza attiva e l'incertezza che impedisce un profondo abbandono.

Dice la Hathayoga-pradîpikâ (I,32):

L'essere distesi a terra supini come un cadavere:

questo è lo shavâsana.

Lo shavâsana elimina la fatica e reca riposo allo spirito.

La Gheranda-samhitâ (II, 19), per indicare la medesima posizione, usa anche il termine mrita-âsana (posizione del morto). Dice il testo:

Giacere supini per terra, come un morto, è lo shava-âsana;

lo shava-âsana elimina la fatica e rasserena la mente.

Di mrita-âsana i commentari dicono che tale postura è “colei che uccide la fatica”.

Shava-âsana, come ogni altro âsana, deve essere mantenuto in modo corretto.

· Occhi chiusi, gambe divaricate con i piedi aperti quanto la misura delle spalle e che ricadono verso l'esterno.

La bocca “morbida” con i denti scostati, la lingua rilassata appoggiata nell'incavo della mandibola, oppure la punta della lingua in appoggio sul palato (man mano che si prende confidenza con questa pratica la lingua andrà sempre più indietro e si appoggerà al palato con la parte inferiore in modo sempre più rilassato, questo atteggiamento della lingua riduce sensibilmente il chiacchierio della mente).

· Le braccia scostate dal corpo, con le palme delle mani rivolte verso l'alto: questo accorgimento permette alle scapole di essere rilassate e di aderire al pavimento, inoltre fa sì che gli stimoli tattili siano ridotti al minimo.

· L'occipite “affonda” al suolo.

· Si possono rilassare anche le tensioni più piccole e profonde lasciando spazio a qualche movimento millimetrico che permette al corpo di abbandonarsi ancora più profondamente e con ancora maggior serenità.

· Con la pratica si potranno dirigere gli occhi verso il punto al centro delle sopracciglia, in questo modo le palpebre si sollevano appena, senza che lo sguardo si appoggi su alcunché.

In shava-âsana viene facilitata la circolazione sanguigna; il metabolismo e il battito del cuore rallentano, cala la pressione, si riduce la quantità dei pensieri e se ne può diventare “testimoni”. Per alleviare alcune tensioni si può eventualmente utilizzare uno sgabello su cui appoggiare le gambe per mettere le cosce perpendicolari e i polpacci paralleli al suolo, allentando così le tensioni lombari, oppure mettere un cuscino sotto la testa e uno sotto le ginocchia: in tal caso le gambe saranno leggermente piegate (fig. 4).

Qualcuno raccomanda che il respiro diventi profondo e sottile in modo che una piuma poggiata sul labbro superiore non voli via. Altri suggeriscono l'utilizzo di ujjâyî-prânâyâma, una modalità di grande beneficio e importanza perché ha la capacità di calmare l'attività mentale e di favorire un vero e proprio silenzio interiore. Si ottiene, dopo un po' di pratica, socchiudendo l'epiglottide e rendendo così il respiro sonoro e più lento.

Per ottenere un rilassamento ancora più profondo si può immaginare di contare a ritroso da 20 a 1, magari scendendo dei gradini, e visualizzare se stessi in una scena tranquilla e serena, da cui si può risalire tranquilli oppure addormentarsi (questo può essere il nostro obiettivo se pratichiamo a letto prima di dormire per migliorare la qualità del sonno). In verità shava-âsana è stato codificato per apportare uno stato di rilassamento profondo, ma non per addormentarsi; questo è un nostro impiego, profondamente utile, ma profondamente occidentale: nell'accezione classica di shava-âsana è di primaria importanza la presenza consapevole e vigile, nel senso di comprensione e contatto con ciò che è.

Se non abbiamo l'obiettivo di addormentarci, è fondamentale sapere come agire nella fase di “ritorno” dal rilassamento; il corpo si è abbandonato, ha perciò bisogno di un recupero lento e graduale, in cui stirarsi, sbadigliare e “sospirare” (se piacevole) con la libertà di muoversi come sente più utile ed efficace.

Shava-âsana e ujjâyî hanno la capacità di instaurare un dialogo profondo con il nostro organismo, ma anche con il suo silenzio, e ci permettono di sentire che c'è un corpo e che questo non è solo il contenitore che ci porta a spasso, ma che esiste anche la possibilità di “ascoltare” gli organi e tutti i movimenti interni.

Shava-âsana può venire impiegato all'inizio e alla fine della pratica per entrare e uscire da una realtà di comunicazione profonda con noi stessi, o dopo posizioni faticose per ristabilire l'equilibrio: in tal caso può essere utile visualizzare la posizione appena fatta e quella che si è in procinto di assumere per migliorare la qualità della nostra pratica.

Poter visualizzare ciò che si è in procinto di realizzare fisicamente è di grande utilità per migliorare la performance sia fisica (per gli atleti ad esempio) sia quella mentale, per incrementare le proprie capacità lavorative o di concentrazione.

Questa posizione ci insegna anche a “fidarci” e ad affidarci a un luogo e a una persona, dopodiché si può arrivare ad imparare a fidarsi e affidarsi a tanti luoghi e a tante persone e ad abbandonare il giudizio senza che questo comporti la perdita del nostro senso critico. Sapersi affidare o imparare a farlo ci permette di tornare in contatto con il nostro essere bambini indifesi. Da qui le possibilità di crescita sono ampie: saper entrare in relazione con quella fiducia carica d'amore che abbiamo sperimentato (o avremmo dovuto sperimentare) da neonati ci mette in contatto con risorse perdute o sconosciute che ci aiutano ad abbandonare i sentimenti di ostilità e paura che mettiamo così spesso in atto nel confrontarci con il mondo.

   

Altre posizioni di rilassamento

La posizione di rilassamento prona è makara-âsana, la posizione del coccodrillo (nella mitologia indiana il makara è un mostro marino simile all'alligatore): ci si stende proni, le dita dei piedi rivolte verso l'esterno, le gambe leggermente divaricate, le mani in appoggio sulle spalle e la fronte o una guancia appoggiate all'incrocio delle braccia (fig. 5). Sulle prime può sembrare impossibile rilassarsi in questa posizione, ma quando le articolazioni si sciolgono e i muscoli allentano le tensioni le cose diventano più semplici.

La Gheranda-samhitâ (II, 40) così descrive il makara-âsana:

Ci si distenda poggiando il petto a terra; si divarichino l gambe e si circondi la testa con le braccia ripiegate. Questo è il makara-âsana, che aumenta il calore corporeo.

La Hathayoga-pradîpikâ non parla del makara-âsana.

Un'altra posizione indicata per il rilassamento è matsya-krîda-âsana della quale troviamo qualche indicazione nei testi di Satyananda; si tratta di stendersi proni con una gamba piegata verso il petto (il suggerimento è di mantenere gli stessi tempi sui due lati), le mani intrecciate sotto la testa e il gomito appoggiato sul ginocchio, la testa in appoggio sull'altro braccio (fig. 6). è particolarmente utile per favorire la peristalsi intestinale e alleviare i dolori sciatici.

Sukha-âsana, detto anche svastika-âsana è la posizione della prosperità o della gioia. Lo dice la parola stessa: sukha significa “benessere”, “felicità”, l'esatto opposto di duhkha (dolore, sofferenza).

Nella Shiva-samhitâ (III, 95-97) leggiamo:

Mettere le piante dei piedi correttamente tra le ginocchia e le cosce, tenere il corpo eretto e sedere comodamente: questo âsana si chiama svastika-âsana.

Questo âsana è anche chiamato sukha-âsana, esso distrugge tutte le sofferenze. Gli yogin devono tenere rigorosamente segreto l'eccellente svastika-âsana che dà fortuna.

È la posizione classica dello yoga, seduti a gambe incrociate; la si raggiunge con il tempo sciogliendo le articolazioni delle anche, delle ginocchia, e delle caviglie, ma anche la schiena. Si tratta di praticarla con pazienza; se sono assenti problematiche gravi e se da bambini la assumevamo, la ritroveremo. D'altronde accettiamo il fatto che la nostra cultura non ci insegna a stare seduti a terra…

Questa è una delle posizioni che si utilizzano per meditare: a ben vedere un rilassamento veramente profondo e in cui si può sperimentare il silenzio interiore non si differenzia poi molto dallo stato meditativo; chiaramente la posizione distesa è più comoda, perlomeno per i primi anni di pratica, e quindi impedisce al praticante di distrarre la propria consapevolezza a causa dei dolori piccoli e grandi che si manifestano. Oltre a ciò, è certamente più probabile che da distesi si possa cadere nel sonno, ma arriva anche quell'attimo di grazia in cui si riesce a rimanere svegli e quando si entra nella condizione di farlo si apre un nuovo dominio della consapevolezza.

   

   

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INGREDIENTI

   

Un luogo tranquillo

È assolutamente consigliabile, perlomeno all'inizio, per affrontare la pratica in modo sereno, avere a propria completa disposizione una stanza chiusa agli sguardi esterni; una stanza o una zona di questa dove ci si possa sentire liberi di esprimere ciò che affiora dai luoghi più profondi del nostro essere. Ciò non significa che tutte le volte che affrontiamo un rilassamento accada che si scatenino emozioni e che queste ci portino a forti reazioni (come il pianto o il riso), ma la sicurezza di essere soli, in una solitudine che ha caratteristiche positive e non di abbandono, ci fa sentire meno vulnerabili e per questo più aperti ad accettare ciò che si risveglia dentro di noi. Nella realtà di un gruppo di praticanti, essere insieme ad altre persone che condividono ciò che noi sperimentiamo e con le quali sentiamo in sintonia diventa un'esperienza davvero appagante.

Il luogo in cui pratichiamo dovrà essere sufficientemente silenzioso: meno saranno i rumori esterni, maggiore sarà la possibilità di ascoltarci “dentro” nel muovere i primi passi nella nostra pratica personale a volte i rumori esterni possono essere un utile aggancio per non perderci nei pensieri, un modo per allontanarci da qualche emozione che ci infastidisce e che non desideriamo ancora incontrare; per questo diventa utile, ad esempio, una musica di sottofondo. In una fase successiva e nei momenti che possono venire definiti “di grazia”, attimi in cui la pratica viene da sé, i rumori esterni potranno anche essere presenti, ma saremo talmente assorti in una vera e propria trance ipnotica da udirli senza prestare loro alcuna attenzione; la stessa situazione di assorbimento di un bambino che gioca e che non vede né sente ciò che lo circonda (e spesso non sente neanche che gli scappa la pipì, tanto che… se la fa addosso).

Un'ultima raccomandazione: spegniamo il cellulare, allontaniamolo e, se proprio non vogliamo staccare il telefono di casa, inseriamo la segreteria e non corriamo a rispondere se dovesse suonare.

Questi espedienti ci permettono di “mollare la presa”; in effetti siamo continuamente in uno stato di tensione tale che ci dimentichiamo di assaporare le cose, piccole e grandi, che ci accadono intorno; saperci rilassare significa anche tornare ad apprezzare il sorriso di chi incrociamo per strada, il suono delle campane della chiesa vicino a casa, i gatti che miagolano sui tetti, la luna in una fredda sera d'inverno…

Come sottolineato in precedenza, la pratica dovrà essere graduale; in assenza di una guida diamoci tempi brevi: questo ci permetterà di conservare un briciolo di voglia di praticare, quello stesso briciolo che permetterà di ritrovare la pratica il giorno successivo, la settimana successiva, il mese successivo e per gli anni a venire. Impegnandoci a praticare per tempi lunghi (già mezz'ora è molto…) ci stancheremo più in fretta e troveremo più occasioni per saltare la pratica inventando le scuse più fantasiose, prima fra tutte “non ho tempo”.

   

Una musica dolce

All'inizio del percorso di pratica, in particolare se ci si trova da soli, credo sia importante accompagnarsi con musiche dolci, particolarmente adatte all'interiorizzazione, tanto che ci sembrerà di non poterne fare a meno; la musica può diventare inoltre un modo, come già sottolineato, per estraniarsi dai rumori che provengono dall'esterno. Essere accompagnati dalla musica rock è un'esperienza da provare; per me è stato il primo passo verso quell'assorbimento che mi ha permesso di capire che la musica era fondamentalmente un pretesto, una compagnia di cui si può anche fare a meno. Nei miei corsi uso la musica sempre meno e ho notato una maggiore interiorizzazione, un grado di consapevolezza più elevato nei praticanti. Nei primi momenti abbandonare la musica ha provocato la sensazione di essere spaesati in maniera piuttosto rilevante, ma chi ha sempre praticato senza musica a volte si ritrova, utilizzandola, a combattere con una fonte di disturbo. In altre tecniche, training autogeno o rilassamenti guidati in àmbito psicologico, raramente si utilizza la musica, o la si sceglie adatta al paziente in quel particolare momento del suo percorso personale.

Tutto ciò non vuole essere una campagna contro l'utilizzo del suono, tutt'altro! è incredibilmente emozionante praticare con la guida del suono del tâmbûra dal vivo, lasciarsi cullare dalla melodia, ma anche osservare dove le varie note risuonano e come a volte alcune creino disagio, a tratti fastidio, fino a diventare insopportabili. Qui sarà il caso di soffermarsi, di chiedersi il perché di una certa reazione, dove si inserisce così prepotentemente quel suono. Se avremo il coraggio di ascoltare e osservarci senza pregiudizi, la risposta arriverà, magari non subito, anche in modo non razionale e, come per magia, il suono non ci infastidirà più, fino al punto di trasformarsi e divenire piacevole!

   

Serenità interiore

Disponendosi all'esperienza del rilassamento si può essere in una condizione di stress o affaticamento tali da portarci, se lasciati liberi di esprimerci, da un lato a distruggere il mondo intero, dall'altro a infilarci sotto le coperte per cercare un riparo alle continue richieste che il mondo avanza e che percepiamo sempre più impellenti. Anche per questo i primi tentativi di praticare da soli sono spesso non solo difficili, ma addirittura quasi impossibili. In questi casi è consigliabile scegliere una pratica di âsana, anche intensa, per scaricarsi o “risollevarsi un po’”; a questa pratica si farà seguire il rilassamento in modo tale da rendere, nel tempo, questo momento che ci dedichiamo di vitale importanza; come detto prima lo stato cerebrale proprio del rilassamento è tale per cui si recupera molta più energia che non dormendo.

Succede, anche quando abbiamo una buona confidenza con la pratica, di essere in uno stato di agitazione tale per cui ogni mezzo minuto o poco più guardiamo l'orologio sperando che il tempo che ci siamo assegnati stia ormai per scadere; in questo modo la nostra coscienza sarà più leggera, consapevoli di aver fatto il nostro dovere e potremo dedicarci a quelle migliaia di cose che si sono affacciate alla nostra mente nel momento stesso in cui ci siamo fermati. In una simile situazione può essere importante rimanere testimoni di ciò che si agita dentro di noi e attorno a noi, come se stessimo guardando una pièce teatrale oppure lasciar perdere, accantonare la pratica e riprenderla in un momento in cui saremo meglio disposti e fare ciò che ci è venuto in mente senza colpevolizzarci. Non esiste una regola valida in assoluto, può capitare di trovarsi in ciascuna delle due opposte situazioni: godiamocele così come sono e rimaniamone, per quanto possibile, spettatori.

Entrambe le strade possono essere valide; è con la consapevolezza di sé che si arriva a capire quale è quella giusta da percorrere nel preciso momento in cui si presenta quella condizione specifica. Decidere di sospendere la pratica non dovrà essere una scappatoia per la nostra pigrizia, mentre rimanere ad osservare non dovrà essere una violenza su noi stessi, e qui l'equilibrio è una componente veramente fondamentale. Nel percorso di una disciplina i diversi aspetti crescono insieme, come un bambino nella pancia della mamma, lo sviluppo sarà su diversi fronti contemporaneamente.

   

La guida di una voce serena

Imparare a rilassarsi profondamente da soli è veramente difficile, a volte apparentemente impossibile. I primi passi nelle profondità sconfinate che possiamo scoprire in noi diventano più accessibili se la persona che ci sta accompagnando nel cammino ha una voce tranquilla, che ci ispira fiducia perché sa cosa sta facendo, in che campo si muove; perché conosce bene il cammino che ci sta proponendo. In questo caso anche un luogo che non ci sia familiare diventa un contenitore sicuro, in cui è importante che chi conduce si senta a casa, facilitando in tal modo il nostro stesso sentirci a casa. Con la pratica la voce viene via via interiorizzata rendendo più immediato il contatto con la nostra profondità.

Durante il rilassamento la voce di chi guida è l'unico strumento di comunicazione, ma agisce a diversi livelli, ci permette di integrare lo schema corporeo mentre vengono nominate le varie zone del corpo, ci mette in grado di provare sensazioni, ascoltare l'organismo che funziona in modo giusto e piacevole, si possono addirittura utilizzare immagini simboliche. Questo è possibile solo a patto che chi guida abbia l'accortezza di non veicolare i propri significati simbolici o religiosi perché potrebbero non appartenere all'altra persona, rischiando magari di metterla in una condizione di conflitto interno: l'autorità dell'insegnante che propone messaggi contrastanti rispetto alle proprie credenze personali impedirebbe di fatto all'allievo di rilassarsi.

Ciò che giunge alle orecchie dell'ascoltatore viene elaborato in aree e àmbiti diversi del cervello; gli aspetti formali della frase vengono rielaborati dall'emisfero sinistro, la componente prosodica — e con questo si intende tutto ciò che ha a che fare con il ritmo, l'intonazione e lo stato affettivo — dipende dall'emisfero destro. In tal modo ci si accorge presto di come sia di estrema importanza inviare messaggi congruenti, che abbiano cioè una corrispondenza tra ciò che viene detto e il modo in cui viene inviato il messaggio verbale. In caso contrario chi ascolta percepirà, più o meno consapevolmente l'incongruenza del messaggio entrando in una situazione di contrasto interiore.

   

Una coperta

Ho tralasciato all'inizio l'indicazione fondamentale di indossare un abbigliamento comodo. è dato per scontato che, anche se non indossiamo una tuta, ci toglieremo comunque le scarpe, slacceremo la cintura, toglieremo i collant, l'orologio, i gioielli, gli occhiali e tutto ciò che può essere d'impedimento.

A questo punto avremo quasi sicuramente bisogno di una coperta (fatta eccezione forse per i mesi estivi) ed eventualmente di un cuscino. La coperta ci terrà al caldo poiché la temperatura corporea si abbassa di molto nello stato di rilassamento profondo: se sentiamo freddo durante un rilassamento non potremo godere appieno degli effetti di abbandono proprio perché il corpo ci manderà dei segnali di sofferenza. Il cuscino diventa veramente importante quando il rilassamento supera i dieci/quindici minuti; appoggiarvi la testa impedisce l'intorpidimento della nuca; messo sotto la zona lombare allevia il fastidio che molte persone avvertono in questa zona. Esistono poi cuscini o altri sussidi di forme particolari che permettono lo sgravio delle gambe allentando contemporaneamente la tensione lombare, e che si possono utilizzare anche sotto il dorso permettendo al petto di aprirsi e liberare le durezze della schiena; l'utilizzo mirato e competente dei molteplici strumenti con cui veniamo a contatto nel corso della nostra esperienza diventa un valido aiuto ad un lavoro specifico e individuale sul corpo (difficoltà di circolazione, ipercifosi dorsale e così via).

   

Sankalpa

All'inizio di un rilassamento, quando la razionalità allenta un po' la presa su di noi, è possibile intervenire a livello profondo, riuscendo a porci in modo diverso con noi stessi e a fissare degli obiettivi. La ragione o mente conscia può accettare o rifiutare ciò che le proponiamo; il subcosciente, l'intelligenza cellulare a cui accediamo con la pratica del rilassamento, non possono far altro che accettare ciò che viene proposto. Il sankalpa è una modalità che viene definita “di riprogrammazione di sé” Dalle parole di Satyananda:

Il sankalpa prende la forma di una breve affermazione mentale che si imprime nella mente subconscia… quando la mente è calma e tranquilla [cioè] ricettiva, sensibile alle autosuggestioni, [esso] costituisce uno stadio importante di yoga-nidrâ ed è un metodo potente per riformare la personalità e la direzione della vita su linee positive. … Il sankalpa è un seme che voi create e che poi piantate nel terreno della vostra mente.

Impostare un lavoro profondo su di sé attraverso quello che può essere definito “buon proposito”o “risoluzione” permette di ottenere grandi risultati; come afferma Satyananda è importante impostare un lavoro in una prospettiva ampia, di realizzazione del Sé; lo scopo del sankalpa è quello di creare forza nella struttura della mente e non il mero soddisfacimento dei propri desideri.

Il sankalpa si introduce una prima volta all'inizio della pratica di rilassamento: ripetendo a se stessi mentalmente per tre volte una frase semplice, formulata in positivo utilizzando il verbo al tempo presente, ci si immerge nel percorso che viene suggerito e, prima di riprendere il contatto col corpo, lo si riformula altre tre volte. Tra i possibili suggerimenti, mantenendo come presupposto basilare che ognuno creerà il suo individuale sankalpa, ci possono essere frasi come “mi sento bene”, “il mio organismo funziona al meglio”, “respiro solo aria pulita”, “sono sereno in pace”.

Introduciamo una sola cosa per volta, diamo la priorità ad un obiettivo, lavoriamo su quello e, quando ci darà i risultati sperati, allora potremo cambiare il nostro proposito. O, meglio ancora, formuliamo un obiettivo ampio nell'ottica della crescita personale, le “cattive abitudini” si disperderanno da sole, in modo pressoché automatico.

Bisognerà essere molto pazienti, così come quando si pianta un seme: è inutile andare ogni giorno a spiare se sta crescendo” allo stesso modo dovremo aver fiducia nel nostro proposito e lasciargli il tempo di germogliare annaffiandolo e curandolo giorno dopo giorno.

Il termine psicologico utilizzato per definire esperienze analoghe è quello di “ideoplasia”, definendo con ciò un'immagine o un pensiero, espresso in formule verbali pronunciate mentalmente, che si rivela effettivamente in grado di indurre modificazioni psico-somatiche reali e apprezzabili.

  

I cimbali

Verso la fine di un rilassamento profondo avere la possibilità di utilizzare i cimbali è profondamente rigenerante. Il suono che producono può avere diverse intensità e risuonare perciò a diverse frequenze all'interno del corpo e nei diversi distretti. Le prime sensazioni possono anche essere fastidiose, perché il suono penetra talmente in profondità che, se ci sono dei blocchi, il corpo non si abbandona, non risulta disponibile a lasciarsi attraversare e da qui nascono disagi più o meno grandi, a volte anche le lacrime.

L'utilizzo dei suoni (dei cimbali, ma anche di altri strumenti) è un grande aiuto nella discesa in noi stessi. è importante nei momenti di difficoltà non lasciarsi spaventare, magari parlarne con l'insegnante e non escludere a priori l'esperienza. Questi momenti sono proprio quelli che ci permettono il salto di qualità verso esperienze di maggior consapevolezza di sé, per scoprire anche il perché di tante idiosincrasie, di tanti atteggiamenti che ci infastidiscono, ma che, nonostante si ripresentino costantemente uguali a se stessi, anche se con nomi diversi, non siamo in grado, per i motivi più vari, di trasformare in esperienze di crescita.

   

Il respiro

Ultimo, ma non certo in ordine di importanza, il respiro; quando siamo in una condizione di rilassamento profondo esso tende quasi a sparire, a diventare talmente impercettibile che ci è impossibile osservarlo dall'esterno. Il respiro di un corpo rilassato sarà molto tranquillo anche se non sempre ampio.

È comunque un respiro che, in un corpo abbandonato completamente, fluisce senza incontrare ostacoli arrivando al di là dei limiti fisiologici della gabbia toracica. è un respiro che possiamo indirizzare nei distretti corporei rigidi o in difficoltà a causa di blocchi o tensioni, al fine di liberarli e renderli permeabili all'energia. è un respiro che funge da principio guida della pratica: quando ci accorgiamo che la mente è “scappata” possiamo andare a riprenderla, con pazienza, e riaccompagnarla al qui e ora riprendendo così il contatto con il corpo e le sue sensazioni, semplicemente ritrovando quello che è il percorso del respiro nel corpo.

È importante lo studio di sé, il saper riconoscere se un respiro leggero sia effettivamente espressione di una forma di rilassamento o se piuttosto, come a volte succede, non ci troviamo di fronte all'inibizione di alcune emozioni; in quest'ultimo caso si tratta di permettere al respiro di aprirsi pian piano e di favorire uno stato regressivo e di abbandono che si espliciti da sé, con la possibilità di manifestarsi a livelli via via più profondi man mano che il nostro essere ce lo permette, lasciando accadere l'esperienza. In casi analoghi la possibilità di confrontarsi con l'insegnante, ma anche con altri che si trovano a vivere esperienze dello stesso genere, può essere un valido aiuto.

   

   

  


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