Carla Perotti
Parole di guarigione
Lo yoga per chi soffre

 


 

INDICE

Un augurio introduttivo
L'arte dell'ascolto: lo yoga comincia così
I miracoli del nostro cervello
Guarire con i mezzi psichici
Il dono del respiro
Che fare quando la paura ci afferra?
Lettera alle amiche operate di tumore al seno
In viaggio tra le emozioni
Come consolarsi di una frattura
Ancora un sentiero verso la guarigione
Un cuscino per sonni felici
Curarsi in cucina
Siamo nati per guarire
Storia di un principe e di una gemma

 


 

PASSI SCELTI

 

CHE FARE QUANDO LA PAURA Cl AFFERRA?

Il mio maestro mi ha insegnato che, quando uno stato di paura o di ansietà ci afferra, dobbiamo cercare di essere attenti a questo "spettacolo" per non entrare nella catena delle reazioni. So bene che lo stato di paura è uno stato molto duro da vivere, e anche molto difficile da capire. Tuttavia, se guardiamo la paura, ci rendiamo innanzi tutto conto di non essere immersi in essa; e poiché la paura è comunque, a un certo livello, una massa di energie che si è bloccata, guardandola, questa concentrazione si aprirà e la sua energia si integrerà nella nostra presenza.

Se avete un attacco di paura o di panico, dovete prima di tutto essere coscienti del vostro terreno, vedere dove la paura pretenderebbe di abitare: avete una fiamma nel braccio? forse una tachicardia? siete sudati, oppure vi sentite improvvisamente gelati? Non opponetevi alla paura, non eludetela, non resistete fisicamente. Chiedetevi invece: "Chi ha paura?". La "persona" è un'invenzione, e in questo momento vi siete identificati con quell'invenzione. Ogni paura è frutto dell'immaginazione, anche se la percepite da qualche parte, nella glottide o nel braccio, al petto o nell'addome: essa infatti si localizza in luoghi diversi del corpo. Se riuscite ad accettare questa percezione, se la lasciate vivere e continuate a guardarla, sono certa che perderà la sua densità, la sua pesantezza.

Avete sentito che si è localizzata nell'addome? Bene, adesso dirigete l'attenzione al petto, sentite com'è ampio il suo spazio, e quali orizzonti dischiude. Luoghi senza paura, molti luoghi del corpo sono senza paura, quasi tutti. Dunque, di che si trattava? Di un'onda, possiamo dire, che ha disegnato se stessa in un mare di luminosità, di tranquillità. Anche la paura, infatti, punta verso la luce.

La fiammata della paura si accende in un braccio, vicino al cuore? Entrate con la sensibilità nell'addome, sentite la sua ampiezza, avvertite la sua vacuità. Questa vacuità invaderà lentamente la parte traumatizzata, contratta, e la vostra sensazione diventerà omogenea, la parte distesa del corpo conquisterà poco per volta il terreno contratto, e la contrazione sparirà insieme alla paura.

Il maestro diceva che "quando si è totalmente attenti, e questo è uno stato d'amore, non resta più spazio per la rappresentazione di una persona (in questo caso di una persona che ha paura), e la contrazione, non trovando più alimento, fatalmente si dissolve". All'inizio non è sempre facile familiarizzare con questo tipo di ascolto, lo so bene, ma vi posso garantire pieno successo se perseverate. Il fatto è che noi siamo figli del desiderio e della paura, e portiamo dentro di noi anche quest'ultima perché abbiamo lasciato il mondo dell'origine per precipitarci in un corpo, in una vita individuale. Certo abbiamo il presentimento che questa vita individuale non sia tutto ciò che potremmo conoscere, ed è questo "pre-sentimento" a nutrire la nostra ricerca. Ma non sappiamo da che parte andare, e perdiamo molto tempo nel cercare fuori ciò che è invece dentro di noi.

C'è una tensione, in noi, verso la luce, verso la libertà della conoscenza, ma dobbiamo fare un cammino molto consapevole, cercando nel nostro spessore umano il raggio di luce che disegna contemporaneamente l'ombra e la riconciliazione. Per questo la malattia è anche un'esperienza molto interessante, perché stimola il nostro desiderio di capire, e non solo di capire la malattia e il suo perchŽ. Si tratta di capire come trascendere il nostro limite naturale senza bruciarci le ali come Icaro. Senza finire come Prometeo, che rub˜ il fuoco spinto dal desiderio di elevarsi e poi venne punito da Zeus che lo incatenò a una roccia incaricando un'aquila di mangiargli il fegato.

Talvolta gli dei hanno idee che ci sembrano del tutto incompatibili con le qualità che vorremmo loro riconoscere. Tuttavia la malattia, che sembrerebbe essere il corrispettivo della roccia - quante volte ci siamo chiesti: "Perché doveva capitare proprio a me?" - è un cerchio dal quale si può uscire. La "via" occidentale al superamento del dolore è una lotta che è stata condotta per secoli all'esterno della persona; da poco tempo si propone un'accettazione intelligente e un'elaborazione consapevole del dolore. Senza scappare, senza "riempire il tempo, assumendo invece la parte dell'albero che sa aspettare e - come diceva Rilke - non incalza i succhi e sta sereno nelle tempeste di primavera senza apprensione che l'estate non possa venire". Per questo mi pare tanto importante comprendere la reale origine di un sintomo come l'ansia o l'angoscia, vedere con lucidità quale meta del nostro desiderio è stata ostacolata, sino a renderci conto che la sofferenza sta lavorando per noi, non contro di noi. è molto probabile che la malattia abbia le sue radici nella rimozione o distorsione di un desiderio. E se, quando ci siamo sentiti traditi o delusi, non c'era accanto a noi chi potesse spiegare e aiutarci a comprendere ciò che stava accadendo, anche per questo forse ci siamo lasciati scivolare nell'ansia.

Credo che molti di noi, a un certo momento della vita, si siano chiesti che cosa avevamo rimosso, o a quale desiderio avessimo rinunciato e quando, ma poteva trattarsi anche di qualcosa di molto antico, di molto remoto, per esempio di un'insicurezza infantile, di una fame di carezze non saziate. Qualcosa che abbiamo cacciato nell'ombra perché era troppo difficile persino dargli un nome. Un bambino, per esempio, non potrà confessare a se stesso di essere deluso del padre o della madre, perché dovrebbe amputare una parte di sé. In qualche caso si attraversa una grande parte della vita con questa valigia nascosta.

In altri casi ci può essere stato, nella nostra esistenza, un blocco delle potenzialità, non sapremmo neppure dire quando, e in tal modo siamo stati indotti ad accettare, "malgrado una grande parte di noi stessi", un equilibrio di compromesso, un'identificazione obbligata con i valori imposti dalla società o dalla famiglia. Valori che non erano i nostri, nei quali non ci riconoscevamo, che abbiamo finito con l'adottare perché spinti a ciò dall'etica del sacrificio imposta dall'educazione.

Ebbene, io credo che nella solitudine dell'angoscia le energie che prima si consumavano nel rapporto con il "si deve fare così", ed erano rivolte all'esterno, cambiano improvvisamente direzione e si ristrutturano all'interno. Questo è il momento del lavoro, dell'ascolto, appunto dello yoga.

Georg Groddeck, che all'inizio del secolo fu uno dei padri della psicosomatica, considerava la malattia come "la via reale verso l'acquisizione dell'umano". In altre parole, un modo di crescere. La malattia, Groddeck lo diceva esplicitamente, è la "montagna magica" dell'individuo, che la deve vivere con lucidità, senza farsela espropriare, perché la lucidità, in quanto saggezza, significa la riconciliazione con il corpo meraviglioso dell'infanzia e con la sessualità. Egli soppresse la dicotomia - in se stessa patogena, ideologica - di salute e malattia, considerando che quest'ultima segnala solo una stasi momentanea della vita, che dobbiamo comprendere perché non si aggravi.

Quello che è importante non è tanto cambiare la malattia quanto mutare l'attitudine dell'essere umano rispetto ad essa. Comprendere il suo lato sensato, il suo valore di avviso, per integrarlo dentro se stessi anziché disintegrarvisi. In questo modo la malattia perde il carattere di perversione adulta per diventare "infantile": se la viviamo in questo spirito, allora siamo davvero "i bambini", i soli che potranno entrare nel regno dei cieli, messaggio evangelico che possiamo leggere anche in chiave psicanalitica.

È essenziale capire che le nostre ansie, le nostre paure, sono anche segnali di maturità animica, occasioni da non perdere. Bene ha fatto la psichiatria moderna a depsichiatrizzare il malato e a psichiatrizzare in sua vece la società, poiché essa fornisce un contingente crescente di infelici.

 

 

* * *

 

UN CUSCINO PER SONNI FELICI

Dormire bene è importante. Coloro che gustano davvero il sonno dicono infatti: "Ho dormito saporitamente", e Shakespeare parlava del sonno come dell'"alimento supremo nel festino della vita". Tuttavia nel rapporto che si ha con il proprio cuscino può esserci grandissima gioia oppure grandissima pena. Se avete problemi di questo tipo, il tempo della convalescenza è davvero prezioso per imparare a dormire, per scoprire che il sonno, come sapevano gli antichi, è il mezzo per comunicare con gli dei e le anime, è il momento privilegiato in cui si raggiunge un'altra dimensione.

Da questo momento dovete evitare di dirvi che soffrite d'insonnia e dovete impegnare la vostra fantasia nell'essere certi che saprete riabilitare il sonno, ritrovare il suo stato di grazia ed esplorare il regno in cui esso saprà condurvi. Pensate che il sonno è tra le pochissime cose che non costano nulla e che potete averne a volontà. Partite dal principio di offrire alla vostra insonnia il dono del sonno ed entrate nello stato d'animo di chi si attende una giusta ricompensa.

Se non conoscete la pena dell'insonnia e siete semplicemente un "tiratardi", affrettatevi invece a cambiare abitudine perché il sonno è anche un ricostituente cerebrale, è un regolatore del sistema nervoso. Se siete maniaci dell'attivismo, non crediate che il sonno vi renda improduttivi, perché quando dormite si compie un lavoro sotterraneo nell'inconscio, un lavoro estremamente attivo, destinato a rigenerarvi e a ricostruire l'organismo. Questo avviene grazie ad un ormone somatotropo - l'ormone della crescita - che partecipa alla sintesi delle proteine, stimola la formazione di nuove cellule nelle ossa, nei muscoli, in tutti i tessuti, regolando inoltre l'attività degli ormoni sessuali e di quelli secreti dalle surrenali.

Prima di rieducarvi al sonno osservate alcune regole: verificate innanzi tutto che la testata del letto si trovi a Nord, non tenete in camera un apparecchio televisivo o una radio-sveglia perché questo creerebbe un campo magnetico. Né si deve dormire con un orologio al quarzo legato al polso. Se per caso dovete ritinteggiare la camera, scegliete il verde o il blu, colori freddi che agiscono sul sistema parasimpatico, la cui influenza è predominante nel sonno. Cambiate l'aria nella camera, dormite con una camicia o un pigiama di cotone, privo di fibre sintetiche, e mezz'ora prima di coricarvi bevete fiduciosamente un decotto in cui siano presenti passiflora, biancospino, tiglio, melissa e lavanda, in modo che ognuna di queste erbe possa agire su un particolare periodo della notte.

Potete leggere, se vi piace, ma certo non un giallo o un romanzo di cui vogliate vedere la fine. Poi, quando chiudete gli occhi, abbandonatevi al rilassamento oppure mettetevi in ascolto di una cassetta di yoga-nidra perché la voce del maestro, anche se vi raccomanderà di restare consapevoli, vi farà sicuramente addormentare! Infatti, quando siamo davvero rilassati, automaticamente le onde cerebrali rallentano e il loro ritmo scende a 8-12 al secondo; si tratta del ritmo alfa della veglia passiva. Poi le pulsazioni rallentano ancora e appare un ritmo di 4-5 onde al secondo, è il ritmo teta, quasi subito sostituito da un ritmo ancora più lento, e poi ancora dal periodo delta del sonno profondo, che in realtà è di breve durata e agisce come preludio del sonno profondissimo, quello in cui la respirazione, la pressione, il battito del cuore, sono al regime più basso. Sono trascorsi in tutto 90 minuti, dopo i quali il sonno riprende da capo il proprio ciclo a partire dalla fase alfa.

Coloro che dormono male sono generalmente persone che fanno troppe cose durante il giorno. Sarebbe di grande importanza, e non solo per loro, imparare a fare durante il giorno dei brevissimi "sonni-lampo", come li ha definiti Piero Scanziani. Chiudere gli occhi per qualche secondo significa tagliare il 90 per cento delle informazioni che riceviamo in eccesso, e l'interruzione delle comunicazioni visive con l'esterno ci permette di svuotarci dei nostri problemi, di alleggerirci psichicamente, e ciò andrà a sicuro beneficio del sonno della sera.

In poco tempo imparerete a rendere profondo anche un brevissimo sonno, e sono sufficienti sei o sette sonni-lampo al giorno per cambiare la natura del sonno notturno. Sono certa del fatto che, ascoltandovi, imparerete a sentire quali sono i momenti adatti a questi sonni-lampo, dei quali nessuno intorno a voi saprà del resto accorgersi, trattandosi per lo più di 10/30 secondi. Dato che lungo la giornata, ogni 90/120 minuti il cervello vuole scendere al ritmo teta, dobbiamo soltanto imparare a "sentire".

Per liberarci qualche istante dalla trappola del fare e sganciarci dalla realtà possiamo anche fare quelle che il prof. Fluchaire, uno dei massimi studiosi mondiali di ipnologia, chiama "pause di parcheggio", molto utili quando il cervello si surriscalda e ci segnala che avremmo bisogno di fornirgli al più presto le condizioni del ritmo alfa.

Nello yoga, e in particolare nel Vedanta, si dà grande importanza al sonno come accesso alla realtà profonda che vive dietro le apparenze. La veglia è la parte meno rilevante della nostra esistenza, ed è solo dall'analisi complessiva dei tre stati - veglia, sogno e sonno profondo - che possiamo accedere alla conoscenza. Infatti, mentre gli stati di veglia e di sogno hanno come caratteristica comune la coscienza di un mondo di oggetti che assumono la forma di serie causali, il sonno profondo è caratterizzato dall'assenza di un oggetto percepito, dall'assenza della dualità. Non abbiamo più un soggetto di fronte a un oggetto.

Mentre la durata, la molteplicità, sono percepite come vita in divenire, non c'è divenire nel sonno profondo. Si cerca dunque un elemento di sintesi che riunisca i due termini contraddittori: i testi dicono che questa contraddizione si risolve nella realizzazione dell'intemporale. Essa deve però venire intesa come la visione che si presenta allo spirito quando constatiamo il carattere contraddittorio del reale. è una percezione che non si inscrive in un processo dialettico, che non è afferrabile: è lei stessa ad afferrarci. Se si cerca di afferrare, infatti, di nominare, si trasferisce la visione sul piano dialettico e si ricade sul piano mentale. Ed è solo il mentale a porsi e a crearsi dei problemi, ad agire come fattore di smemoratezza e di obnubilazione dell'intelligenza.

 

 


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