Guido L. Buffo
Una via di dieci passi
Incontro con l'Aikidô e l'attenzione

 


 

INDICE

Kan Ken - L'attenzione
Tôzai - Oriente e Occidente
Jissôku no michi - Una Via di dieci passi
Shisei - L'attitudine
Dôjô - Il luogo della Via
Taisô - La preparazione alla pratica
Jôshiki - Il pensiero comune
Buki Waza - Tecniche di armi
Tai Jutsu - Arte del corpo
Kongen - La fonte
Ki - L'energia
Kensa - Le prove
Kaihatsu - Affinché accada
Kuruma - Il carro

  


 

PASSI SCELTI

 

Shisei - L’Attitudine

Esiste una cosa chiamata attitudine.

Essa definisce lo stato con il quale ci si dispone alle cose e agli accadimenti.

Per mezzo di questa disposizione gli uomini proteggono o protendono se stessi nella vita e trovano in essa la propria condizione. Grazie al risultato di questo ritirarsi e protendersi essi conseguono la propria condizione naturale; grazie all’equilibrio della loro attitudine essi la mantengono, in mancanza di equilibrio essi la perdono.

Il guerriero ha la sua condizione: essa consiste nel realizzare i princìpi per il mantenimento della pace e dell’ordine, nel praticare e perfezionare i fondamenti dell’arte della guerra e nel promuovere e conservare l’integrità e l’onore del paese.

Il religioso ha la sua condizione. Essa consiste nel comprendere il volere del cielo e promuovere uno stato di cose ad esso conforme, nel definire e praticare riti consoni alla regola e nel promuovere e conservare la dirittura e l’integrità spirituale degli individui.

Il mercante ha la sua condizione. Essa consiste nel promuovere e realizzare il contatto fra i paesi e le genti, nel definire e praticare le regole del commercio per il bene del paese e nel promuovere la prosperità per il bene comune.

Così pure l’uomo e la donna hanno la loro propria condizione. Essa consiste nel promuovere e conservare il bene della casa per mezzo dell’armonia e della corrispondenza, nell’istituire in essa il rispetto della regola del cielo e delle leggi del paese, nell’adoperarsi per il bene dei propri figli.

Ma quale condizione dovrà possedere colui il quale si pone sulla Via?

In realtà la condizione di chi si dispone alla Via è unica: essa consiste nell’adattamento costante e disinteressato alle cause naturali. Per questo è detto che la verità dei princìpi della Via illumina le attitudini, e pur se queste talvolta appaiono contrarie alle condizioni naturali, pure non se ne discostano.

Così il praticante della Via potrebbe essere un guerriero e scoprire che l’essenziale non è riposto nella tecnica ma nella regola; potrebbe essere un religioso e comprendere che l’essenziale non è nel rito ma nell’arte; potrebbe essere un mercante e trovare che l’essenziale non è nella capacità ma nella disponibilità al sacrificio.

Perciò è detto della Via: il guerriero non trova armi per vincerla, il religioso non ha riti per uniformarsi ad essa, il commerciante non ha vantaggio con il quale possederla.

Allo stesso modo non è rilevante che chi pratica sia uomo o donna, giovane o vecchio. In realtà infatti ogni divisione decade sulla Via e così si rendono inutili le condizioni proprie ad ogni casta e ad ogni specie.

Per questo diciamo che ogni condizione è d’intralcio alla pratica della Via, poiché la condizione è fatta per proteggere o protendere e, così facendo, non si pratica la Via, la cui regola consiste principalmente nell’adattamento disinteressato alle cause naturali.

Eppure non è senza attitudine che si percorre la Via.

Ciò è detto perché essa richiede umiltà e costanza, dedizione ed attenzione, perspicacia e intelligenza, volontà e abbandono. La Via infatti, pur essendo ovunque, non può essere avvicinata senza queste virtù, poiché in loro assenza essa dimora invisibile.

Umiltà e costanza sono richieste a chi voglia avvicinarsi, poiché senza umiltà non sarà possibile comprendere ove la Via si celi e senza costanza non sarà possibile rintracciare il sentiero che conduce alla sua porta.

Perspicacia e intelligenza sono richieste a chi voglia muovere i suoi passi sulla Via, poiché senza di esse è facile perdersi nelle parole dei Maestri ed è impossibile penetrare il velo dietro il quale la Via è celata agli ignoranti.

Volontà e abbandono sono necessari a chiunque voglia seguire la Via sino alla propria fine; senza volontà infatti nessuno supererebbe le prove che la Via richiede, senza abbandono nessuno può giungere alla comprensione del mistero.

Così la Via potrà apparire all’illetterato, ma non allo stolto; al cieco e al sordo, ma non all’insensibile; al principe, ma non al padrone arrogante; al servo, ma non al succube; al giovane, ma non all’avventato; al guerriero, ma non al sanguinario; al religioso, ma non al mortificatore; al mercante, ma non al furbo bottegaio; all’uomo che muore, ma non a chi teme la morte.

E non si può suscitare desiderio della Via se non in coloro i quali su di essa si trovano già, pur senza saperlo. La Via infatti, pur non essendo segreta, è tuttavia celata agli occhi del mondo a causa della cecità dei più, i quali scartano quella e scelgono questo a causa del vantaggio apparente.

Ecco dunque che l’attitudine di chi percorre la Via è dominata dall’idea del non vantaggio. Non vantaggio significa capacità di accettare, vantaggio significa ricerca dell’utilità. Poiché la Via non serve ad alcuna cosa in particolare, essa è praticabile soltanto per coloro i quali non si fanno obiettivo di alcun vantaggio.

Quando poi il cammino della Via sia collegato a qualche pratica, si dovrà porre attenzione affinché non accada che colui che conduce i praticanti sia tentato dal praticare la Via come vantaggio.

Le tecniche sono spesso l’anticamera migliore ai sentieri della Via, ma in esse il vantaggio è apparentemente manifesto, così spesso esso condiziona la dirittura di chi conduce e la saggezza di chi segue. Per evitare queste cose è necessario che si scelga, per condurre, qualcuno che abbia afferrato i princìpi dell’attitudine e della Via.

In questo modo egli manifesterà la Via senza impostare su di essa il proprio vantaggio. Si potranno allora costruire ponti senza precipitare chi vi sale, e aprire porte senza sbarrare il cammino di chi procede.

Nell’insegnamento delle tecniche, la natura della Via spesso costituisce ciò che in esse è segreto e sottile, nemmeno da questo tuttavia deve procedere vantaggio per alcuno.

Bisogna avere il coraggio di praticare il segreto soltanto per i principianti, perché essi sono attratti dal mistero più che dalla conoscenza. Bisogna anche avere il coraggio di praticare la conoscenza con i non principianti, poiché essa sola è strumento di elezione.

Così nell’attitudine generale, ci si atterrà alla forma, all’etichetta e alla disciplina senza che questi mezzi siano utilizzati per il vantaggio o arrestino il cammino di chi procede. Questo modo di procedere è detto metodo della scuola; questi sono i suoi princìpi:

Una buona igiene,
un sobrio abbigliamento,
un corretto portamento,
un metodo attento,
un esauriente eloquio.

Tuttavia, quando si applichi il vantaggio, essi conducono al rischio che la pratica arresti il cammino. Perciò è detto che al metodo va affiancata la regola delle corrispondenze, i cui princìpi sono:

Per lo spirito, la serena disposizione;
per l’apparenza, la naturalezza;
per la postura, la non rigidità;
per la condotta, la tolleranza;
per l’affinità, il sorriso.

In questo modo chi precede e chi segue potranno uniformarsi all’uguaglianza che li contraddistingue come praticanti della Via, senza contravvenire alla necessità di essere l’uno Maestro e l’altro allievo.

La serena disposizione è infatti necessaria a chi voglia procedere sul cammino dell’arte senza lasciarsi irretire dal vantaggio; la naturalezza dell’apparire è il mezzo del quale ci si serve per educare le proprie inclinazioni e ricondurre il proprio comportamento al rispetto delle cause naturali; la non rigidità della postura è propizia ad ogni arte perché corrisponde al naturale fluire dei ritmi del cielo e della terra; la tolleranza della condotta consiste nel non attendersi miracoli: non esistono infatti miracoli nella Via; il sorriso e l’affinità sono il mezzo e la prova della disponibilità e della benevolenza.

È inoltre detto che ci deve essere concordanza tra ciò che appare e ciò che è.

Questa cosa è particolarmente vera per l’attitudine, nella quale, la mancata concordanza genera falsità, allontanamento dalla Via e indegnità alla pratica. Queste sono le concordanze:

legge e regola,
occulto e manifesto,
virtù ed efficacia,
verità e insegnamento,
strumento e gesto,
intenzione e parola,
cuore e occhi,
mente e corpo,
spirito e libertà.

La concordanza di legge e regola è il fondamento sul quale poggia l’armonia del cielo e della terra; al cielo la regola, alla terra la legge.

La concordanza tra occulto e manifesto è il pilastro su cui poggia l’equilibrio di negativo e positivo; ciò realizza l’immutabile mutamento della manifestazione.

La concordanza tra virtù ed efficacia è la base di ogni metodo; la virtù dimora infatti superiore, mentre l’efficacia è la sua manifestazione inferiore.

La concordanza tra verità e insegnamento è il fondamento di ogni disciplina; nulla può essere infatti insegnato o appreso sulla Via che non corrisponda a verità.

La concordanza tra strumento e gesto è il pilastro sul quale poggia la giustezza dei princìpi; su questo poggia la saggezza del governo del paese, in questo è riconosciuto il principe, a lui solo spetta la grazia, ai ministri la condanna.

La concordanza tra intenzione e parola è la base della benevolenza; così è resa manifesta la giustezza delle cause naturali.

La concordanza tra cuore e occhi è l’equilibrio della rettitudine; in essa sono manifeste le virtù di umiltà e costanza, la cui applicazione non dipende da alcun fattore esteriore all’individuo.

La concordanza tra mente e corpo è il sostegno dell’Intelligenza; attraverso questa sarà possibile scoprire il senso e il valore di metodo e tecnica.

La concordanza tra spirito e libertà è la prova di una corretta attitudine; se saprai mantenere la tua attitudine, perseverando nelle difficoltà senza inorgoglirti per il cammino che avrai percorso e senza giudicare i tuoi compagni di viaggio, la libertà diventerà la porta della tua Via.

Aprendo questa porta - così come hai aperto questo rotolo d’insegnamento - potrai scoprire il cammino che conduce ad un tesoro incommensurabile; dietro di essa troverai il più terribile di tutti i tuoi nemici.

Sapere questo non ti procurerà tuttavia alcun vantaggio; non ti darà strumenti migliori per combattere e non ti indicherà una via sicura per la quale fuggire. In realtà infatti, nessuno che abbia aperto questa porta può fuggire davanti al proprio nemico senza aver perduto se stesso; nessuno altresì può combattere il nemico se non è disposto a perire.

Questo è il solo motivo per cui queste parole sono qui esposte con chiarezza e senza velo.

Chiunque abbia accesso a questo insegnamento è posto sulla porta che conduce alla Via; proseguendo nell’apprendimento egli sceglie di aprire la porta e iniziare il proprio cammino. Se è la brama a guidarlo sarà sconfitto, se è la curiosità è opportuno che egli si ritiri; solo il desiderio di comprendere ciò che rinverrà lo sosterrà nelle prove che dovrà superare.

Ogni praticante della Via conosce il tesoro che essa cela e il nemico terribile che lo custodisce. Ogni praticante ha dovuto provare il terrore dei suoi attacchi, perché senza aver combattuto secondo le regole non è possibile accedere al cammino. La disponibilità al combattimento con il nemico sarà la sola vera prova della tua attitudine, l’unica cosa che ti concederà accesso alla Via.


 

Jôshiki - Il Pensiero Comune

Esiste una cosa chiamata pensiero comune.

Essa è il primo strumento con il quale i praticanti si capacitano della profondità e della vastità la Via e comprendono l’applicazione dei suoi princìpi.

Esistono tuttavia molte cose che si possono definire pensiero comune, tanto che questo punto è considerato oscuro da chi non comprende la distinzione tra requisito ed effetto, principio e applicazione, particolare e generale, ciò che è e ciò che appare.

La tecnica richiede un pensiero comune, l’arte richiede un pensiero comune, e così la Via. Per questo è detto che il pensiero comune è definito primo strumento.

Esso infatti è il primo fondamentale della tecnica, il principio unificatore dell’arte e la prima vera manifestazione della Via, della sua insondabilità e della sua vacuità. Esiste cioè un pensiero comune per il corpo, così come ne esiste uno per la mente e uno per lo spirito, essi sono distinti, eppure non sono che uno solo.

Ciò deve essere chiaro a tutti, e in particolare modo ai Maestri. Senza questa chiarezza non c’è progressione nella pratica della tecnica, non si percorre la via dell’arte e non si giunge alla Via; il metodo perde ogni efficacia e ogni argomento non è che il ripetersi di vane parole che alimentano l’illusione e la speculazione.

Poiché il pensiero comune riguarda il corpo, la mente e lo spirito, esso sussiste nella Via e deve essere realizzato da ogni praticante. Come può accadere ciò? Esistono in questo quattro gradi, dai quali è opportuno non prescindere:

il praticante che non ha ancora conosciuto la Via,
il principiante,
l’esperto,
il Maestro.

Per il praticante che non ha ancora conosciuto l’esistenza della Via, il pensiero comune è fonte di confusione se non lo si vincola a ciò che è tangibile. Così esso deve essere ancorato al controllo dei gesti, alla predisposizione del respiro, al superamento delle difficoltà iniziali.

Il pensiero comune riguarda qui l’armonizzazione del praticante con il luogo e i princìpi dell’attitudine.

Aggiungere o pretendere oltre significa introdurre vantaggio; ciò è fonte di corruzione. A nessuno è dato comprendersi quando ci si esprime in lingue sconosciute; prima deve venire la padronanza della lingua, a questo deve poi seguire la ricerca della comprensione.

Anche per il principiante, il pensiero comune è fonte di confusione se non lo si vincola a ciò che è applicabile. Così esso è ancorato al controllo del corpo, all’uso degli strumenti, alla comprensione dei princìpi.

Il pensiero comune riguarda qui l’armonizzazione del praticante con la tecnica e gli strumenti. Aggiungere o pretendere oltre significa introdurre fretta e forza, ansia di perdere o vincere; ciò è fuorviante.

A nessuno è dato scrivere senza aver imparato a comporre l’inchiostro e i pensieri.

Per l’esperto, il pensiero comune costituisce una insidiosa pietra di inciampo. Accade infatti che chi pone la propria condizione nell’energia possa intendere il pensiero comune come bivio tra ciò che appare e ciò che è.

Così alcuni, fuorviati da ciò che è, abbandonano lo studio del metodo e si dedicano soltanto al lavoro nascosto. Altri, presi da ciò che appare, abbandonano il sottile per dedicarsi al grossolano.

Ciò accade perché in essi la confusione sul pensiero comune è generata dal non comprendere l’oggetto di ciò che definiamo pensiero e il significato di ciò che chiamiamo comune.

Infatti costoro intendono pensiero come attenzione e comune come scelta, ma non attenendosi al principio di unitarietà della Via essi sono persi.

Sia che scelgano la tecnica per l’efficacia, sia che scelgano il non manifesto per la potenza, sia che scelgano il luogo per le condizioni, essi sono privi di equilibrio e destinati a cadere. In realtà il pensiero comune deve unire questi tre pilastri in una cosa sola.

Questo è detto l’intero superiore alla somma delle sue parti; per questo motivo gli antichi dicevano:

Il piccolo se ne va,
il grande viene.

Ciò si ottiene prescindendo dal vantaggio; per questo è importante la figura del Maestro. In verità si potrebbe dire che il Maestro non insegna ad altri che all’esperto.

Per il Maestro, il pensiero comune rappresenta la fonte e la manifestazione della Via. In esso infatti le cose trovano il loro compimento e la loro ragione, la loro logica e la loro applicazione.

Tutt’uno con la tecnica, il Maestro ne esprime i princìpi oltre la vittoria e la sconfitta, oltre la vita e la morte, agendo per quanto è necessario.

Tutt’uno con il metodo di ciò che non appare, il Maestro ne svela l’azione attraverso il ripristino di ciò che sembrava perduto, formando con l’azione e trasmettendo con lo spirito.

Tutt’uno con la regola della Via, il Maestro ne realizza i princìpi tramite il non attaccamento. Così, è detto:

Esistono gradi diversi di pensiero comune. Essi sono come cerchi nell’acqua. I cerchi si espandono per tutta l’acqua sino ai bordi, sino al fondo; generati da un fatto che può restare invisibile pure essi dipendono da questo per la loro origine, dalla natura dell’acqua per la loro manifestazione, dagli occhi di chi guarda per la loro scoperta, dall’intuito di chi osserva per la loro comprensione.

In realtà il pensiero comune rappresenta la natura profonda della Via. In essa infatti non sussiste divisione. Poiché non vi è divisione, tutto in essa è comune a tutto. A motivo di ciò, è un errore credere che pensiero comune significhi invito al buon cuore. Ciò che è comune non è la buona intenzione ma l’intenzione di verità; non la buona azione ma l’azione di verità.

Nelle buone intenzioni e nelle buone azioni si trova ciò che tende al basso; nella filosofia e nella speculazione profonda ciò che tende all’alto.

Pure la Via non consiste nel dividere; i suoi praticanti non procedono con un passo verso l’alto e uno verso il basso, così come il giorno non procede un’ora verso la luce e un’ora verso il buio.

Così non è possibile procedere in alcuna direzione senza cadere nella divisione e nel vantaggio.

Come si dovrà allora procedere con i semplici praticanti, i principianti e gli esperti? Poiché‚ non vi è possibilità di comprendere facilmente questo punto se non per chi percorre la Via, l’indicazione consiste nel seguire la Via.

Essa appare e si manifesta per mezzo della natura delle cose, agisce senza artificio e senza vantaggio, procede senza salti e aborre il vuoto.

Così è utile seguire l’esempio della natura per comprendere la Via. Quando il sole sorge, ciò accade sempre dal medesimo orizzonte e non c’è punto che non venga rischiarato, se non quelli che sono naturalmente bui. Se uno desidera avere una casa luminosa, sceglierà con cura il luogo ove edificarla, aprirà finestre, costruirà una veranda e predisporrà perché vengano accorciati i tetti.

Per lo stesso scopo potrà anche avvalersi di fonti di luce interne alla casa, ma ciò lo esporrà al pericolo di perdere il contatto con la natura, corromperne i cicli e turbare così l’armonia della casa.

Ognuno infatti comprende che esistono luoghi i quali sono costituiti per l’ombra, poiché ad essi l’ombra è connaturata e propizia. Esponendo questi alla luce, la naturale disposizione delle cose non si conserverebbe. Occorre quindi comprendere l’utilità di ogni luogo e disporlo secondo essa. Luce laddove natura vuole luce, ombra dove natura vuole ombra. Contatto con il mondo ove natura richiede vicinanza, riservatezza ove richiede lontananza.

Così, l’ingresso della casa darà sempre sulla strada mentre il giardino sarà sempre all’interno, le camere saranno disposte in un luogo asciutto e ombreggiato e gli altri spazi in luoghi poco esposti.

In questo è la semplice saggezza della Via. Comprendere questo significa comprendere il pensiero comune. Intuirne il senso profondo significa superare il tempo e lo spazio e vedere oltre ciò che appare. Praticarlo significa essere tutt’uno con la Via. Per questo è detto che la comprensione del pensiero comune è in realtà materia dei soli Maestri, per questo se ne parla in modo tanto chiaro e senza segreti. Questo sapere non può infatti essere rubato, non può divenire oggetto di scambio né di mercimonio.

Chi comprende il pensiero comune può davvero riconoscersi come praticante della Via, chi non ne afferra l’intimo significato è ancora perso in un cammino senza meta e senza direzione.

Se non comprendi il senso di queste parole, sappi che vi è un Maestro al quale potrai chiedere, infallibilmente, il senso profondo del pensiero comune e questi è il tuo nemico.

Non c’è Maestro che meglio di lui sappia il vero valore di questo sapere. Egli infatti è divenuto tuo Nemico affinché tu sappia se sei disposto a perire per impossessartene…


 

Ki - L’Energia

Esiste una cosa chiamata energia.

Essa costituisce il mezzo della Via, lo strumento del metodo e la ragione della tecnica. Tuttavia, poiché l’energia è il mezzo della Via essa è anche oltre ogni tecnica, oltre ogni metodo e oltre ogni arte. Infatti essa è veicolo e causa di ogni animazione, ragione della possibilità di ogni agire e strumento di ogni cammino.

Poiché l’energia è mezzo della Via, essa trova la sua residenza nella fonte. Come questa, essa è duplice ma unitaria, estranea ma pertinente, accessoria ma necessaria, esterna ma dimorante.

In tutto questo non vi è che la semplicità della Via. Chi non si accosta a ciò con cuore semplice corre il rischio di non distinguere tra principio e applicazione, confondendo il mezzo con lo scopo, l’origine con il fine.

Cosa significa ciò?

L’energia è una, identica nella sostanza, differente nella natura, molteplice nelle applicazioni, infinita nelle forme. Essa è l’anima del vuoto e madre del Tutto.

In ciò è definita la regola della Via:
l’anima del vuoto non muore,
essa è la misteriosa madre.
La porta della misteriosa madre
è radice del cielo e della terra.
Continua e immutabile
nell’opera sua non ha pena.

A causa di ciò essa può essere ragione della tecnica.

Infatti in essa la tecnica trova il suo fondamento, senza di essa la tecnica non è che un gesto vano, distante dalla regola del cielo, in contrasto con il metodo della terra.

Il carpentiere sa come scolpire il legno e la pietra, questo dipende dalla sua capacità di percepire la funzione dello strumento e la sua utilità, così come la struttura della materia. Se così non fosse, egli non lavorerebbe che affidandosi al caso, assegnando ai propri strumenti un ruolo che non è consono alla loro natura.

Nel Bu Dô, le verità della tecnica poggiano saldamente sulla capacità di percepire l’energia del gesto e quella dell’intenzione, uniformando a queste ogni azione. In questo sono: genere, direzione e misure. Fuori da ciò, l’essenza stessa della tecnica è perduta, poiché non può realizzarsi alcuna complementarità.

Poiché la tecnica è la base del metodo, e questo è lo strumento della comprensione, così l’energia diviene strumento del metodo. La tecnica rende manifesti i princìpi del metodo; attraverso lo studio della prima si giunge alla comprensione dei secondi.

La tecnica illustra una verità superiore a se stessa, e questa è la verità del metodo; in ciò risiede l’utilità della tecnica.

La verità del metodo concerne l’utilità dei princìpi e non può esserci principio che prescinda dalla comprensione e dalla funzione dell’energia. Se ciò fosse, il metodo esprimerebbe princìpi estranei alla Via.

Il carpentiere sa come trasformare il legno e la pietra, questo dipende dalla sua capacità di comprendere la materia osservandone le caratteristiche e la struttura.

Nel Bu Dô, le verità del metodo poggiano saldamente sulla capacità di percepire l’energia della volontà, uniformando a questa ogni attitudine. In questo sono: distanza, ritmo e potenza. Fuori da ciò, l’essenza stessa del metodo è perduta, poiché non può realizzarsi alcuna concordanza.

Poiché il metodo è la regola della Via, così l’energia diviene il suo mezzo.

Attraverso l’energia si manifestano infatti l’essenza e l’apparenza della Via, la sua attività generale e quella particolare, la sua potenza e la sua utilità.

Perciò è detto che tutto quanto appare della Via, appare grazie alla forma che l’energia assume, e tutto quanto non appare è tale in virtù della natura dell’energia.

Altresì è detto che l’attività generale della Via è l’agire dell’energia quanto il non agire di essa è fonte dell’attività particolare. Ancora, la potenza della Via è data dall’inesauribilità della sua energia, mentre la sua utilità è data dalla duttilità di essa.

Il carpentiere sa quale materiale usare, come e quando; questo dipende dalla sua capacità di comprendere la concordanza necessaria tra origini e fine, mezzo e scopo. Nel Bu Dô, le verità della Via si manifestano grazie alla stessa capacità e si realizzano nel non agire. Allontanandosi da questi princìpi la Via è perduta e la spada che uccide l’uomo non potrebbe salvarlo.

Ad ulteriore chiarimento viene anche detto che l’energia è veicolo e causa dell’animazione. Questo è facile da comprendere. La natura della manifestazione è fondata su questo principio.

Poiché la natura non consente il vuoto e il suo ciclo è costante mutamento, è detto allora che l’energia è ragione e possibilità dell’agire. In questo l’energia diviene mezzo per la realizzazione dei cicli dell’eterno mutamento.

Poiché l’eterno mutamento è la natura stessa della Via allora è detto: l’energia è strumento della Via. Perché ciò divenga chiaro e applicabile, è detto che l’energia risiede nella fonte, e che questa fonte è duplice.

Questa fonte è duplice ma unitaria, essa è celeste e umana al tempo stesso, eppure tra queste fonti non vi è differenza o divisione. Allo stesso modo l’energia è duplice, essa è positiva e negativa insieme, ma la sua natura è unitaria. La sua origine è quindi estranea all’uomo e alla manifestazione, ma pertinente alla loro natura: in ciò si realizza l’unità. Poiché la sua origine è estranea, la sua natura apparente è accessoria; tuttavia, poiché essa è pertinente alla natura del tutto, la sua funzione è necessaria allo scopo.

Ancora, poiché la sua origine è estranea, essa appare esterna nella sua sostanza; tuttavia, poiché ogni cosa risponde alla medesima regola, essa è dimorante nella natura e nel fine di ogni cosa. Perciò è detto:

Senza nome
l’inizio del Cielo e della Terra,
con il nome
la madre di ogni cosa.
Queste due cose sono nate insieme,
eppure hanno diverso nome.
Insieme esse si chiamano mistero.

Affinché il cammino sia seguito seguendo la natura della Via, è necessario che i passi vengano mossi in una direzione costante. Ciò non definisce la rigidità del metodo, quanto la mutevolezza della tecnica.

Ogni arte ha la sua tecnica, tuttavia i princìpi di queste sono comuni fra loro.

In ogni arte ci si serve di tre gradi: principiante, esperto e Maestro; ciò accade per la necessità di dividere prima e unire poi.

Materia al principiante, energia all’esperto e spirito al Maestro. In ciò non vi è contraddizione.

La saggezza profonda dimora nelle soluzioni semplici.

 

 

 


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