Lo Yoga rivelato da Shiva (Shiva-samhitā)

a cura di Maria Paola Repetto

 


 

INDICE

 

INTRODUZIONE

Shiva-samhitā: struttura

Shiva-samhitā: dottrina

LO YOGA RIVELATO DA SHIVA (SHIVA-SAMHITĀ)

Capitolo primo

Capitolo secondo

Capitolo terzo

Capitolo quarto

Capitolo quinto

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

INDICE - GLOSSARIO

 


 

PASSI SCELTI

 

INTRODUZIONE

 

Shiva-samhitā: struttura

La Shiva-samhitā, di recente datazione e di autore anonimo e il trattato di hatha-yoga pił accurato sul piano filosofico fra nostro possesso: prima di entrare in medias res, infatti l'autore dimostra l'importanza e la fondatezza della metafisica hathayoghica. Le basi dottrinali della Shiva-samhitā poggiano ovviamente, sul Sāmkhya, sullo Yoga e sul Tantrismo, ma risentono pure l'influsso del Buddhismo e del Vedānta, influsso evidente gią nel primo verso, in cui si definisce il jnāna (conoscenza) come unica realta, connotandolo anche con l'aggettivo shūnya, che nel Buddhismo indica la sola realtą, il vuoto.

La Shiva-samhitā, propriamente "collezione di Shiva", č suddivisa in cinque patala (sezioni, capitoli) per un totale di 540 strofe. Solo apparentemente ha struttura dialogica: come negli Agama, Shiva espone la sua dottrina a Pārvatī, che interviene raramente, ponendo qualche domanda.

Il primo capitolo, come si č accennato, č di carattere introduttivo: si afferma che solo il jnāna esiste, il resto č pura illusione, in accordo con il Vedānta, il Buddhismo Yogācāra e lo Shivaismo; poi vengono confutati gii altri sistemi, a cui č contrapposta l'eccellenza dello Yoga, rivelato da Shiva stesso impietosito dalla sorte dell'umanitą. Si ritorna sull'inconsistenza del mondo, che appare reale solo ai nostri sensi, mentre l'unica realtą e il Brahman, definito, secondo la tradizione, sat (essere), cit (coscienza), ānanda (beatitudine). Una serie di similitudini, appartenenti al repertorio vedāntico e buddhistico, chiariscono la natura della realtą fenomenica, frutto di māyā e di avidyā: la creazione č destinata al riassorbimento nell'eterno Brahman in cui si annullerą anche il jģva.

Il secondo capitolo, in ossequio alla concezione tantrica, raffigura il corpo come microcosmo, descrive le nādī e i chakra per poi trattare del jīva che, limitato dall'associazione con l'ahamkāra, in virtł del quale pensa di sperimentare piacere e dolore, e dagli organi dei sensi, fruisce di vari karman. Quando l'uomo arriva a comprendere l'identitą del Sé con lo Spirito universale, il Brahman, allora i tattva, cioč le categorie attraverso cui si manifesta il mondo, si dissolvono e appare l'unica realtą, la pura soggettivitą, teologicamente, Shiva.

Solo con il terzo capitolo inizia l'esposizione delle tecniche hathayoghiche; dopo un accenno ai soffi o respiri (vāyu), che circolano attraverso il corpo umano portando energia, viene ribadita la necessitą imprescindibile dell'insegnamento impartito da un maestro, al quale il discepolo deve rispetto e obbedienza; quindi si elencano le condizioni che rendono possibile la riuscita dello Yoga, si parla del prānāyāma senza tuttavia far riferimento alle shatkriyā, o sistema per la purificazione delle nādī, su cui invece si soffermano altri testi. Vengono poi illustrati i poteri conseguiti grazie al prānāyāma: profezia, possibilitą di spostarsi dove si vuole, chiaroveggenza, chiarudienza, visione del piano sottile, potere di entrare nel corpo altrui, potere di trasformare i metalli in oro (evidente la connessione dello Yoga con l'alchimia), potere di diventare invisibili e di muoversi nell'aria.

Passando poi a illustrare gli āsana (posizioni), si dice che sono ottantaquattro, ma se ne descrivono solo quattro: siddhāsana, padmāsana, ugrāsana, svastikāsana.

Il quarto capitolo č dedicato alle mudrā, ossia tecniche atte al risveglio della Kundalinī. Esposte le caratteristiche della yonimudrā, ne vengono elencate e descritte altre dieci: mahāmudrā, mahābandha, mahāvedha, khecarī, jālandhara, mūlabandha, viparītakrti, uddīyāna, vajronī, shaktichālana. La vajronīmudrā č l'unica tecnica che rivela l'influenza della mistica erotica sulla Shiva-samhitā.

Nel quinto capitolo il discorso si rivolge agli ostacoli che il praticante incontra sulla via dello Yoga - ostacoli costituiti sia dall'attaccamento ai beni materiali, sia dal ritualismo, sia dalla conoscenza stessa - poi ai quattro tipi di Yoga, all'invocazione dell'ombra, all'ascolto del suono interiore, alla dhāranā, nuovamente ai chakra, al rāja-yoga, al rājādhirāja-yoga e al mantra.

Come si č visto dal breve sommario, la materia non č esposta in modo sistematico, segno evidente che l'opera č stata concepita solo come guida generica, mentre il cammino progressivo deve essere indicato dal maestro; alcuni argomenti vengono affrontati, accantonati momentaneamente e poi ripresi; non si insiste neppure sugli stati di coscienza corrispondenti ai vari esercizi, ai quali si fanno solo riferimenti generici, e l'interesse č rivolto quasi esclusivamente alla fisica e alla fisiologia della meditazione.

Il linguaggio, semplice e lineare in alcuni passi, diventa talora allusivo e oscuro, come accade sovente nelle opere di carattere iniziatico; la figura retorica pił usata č la similitudine, ma pochi esempi sono originali, mentre la maggior parte di essi deriva dalla tradizione vedāntica, buddhistica e tantrica.

Ricorrono come versi formulari i ritornelli: "distrugge vecchiaia e morte", "vince la morte", (che illustrano lo scopo finale di queste tecniche), ma si fanno anche riferimenti a ricompense pił tangibili, come l'amore, il successo e la ricchezza, segno di una religiositą popolare che affiora nell'opera o di quel simbolismo costante per cui anche gli atti apparentemente pił lontani dall'ascesi non hanno conseguenze per lo yogin che ha ormai raggiunto il suo distacco.

 

Shiva-samhitā: dottrina

Le tecniche di hatha-yoga descritte nella Shiva-samhitā costituiscono un aspetto dello Yoga, sistema filosofico indiano, che rientra tra i sei tradizionalmente definiti ortodossi.

Affine al Sāmkhya nella costruzione del mondo, lo Yoga ne differisce, tuttavia, per due aspetti: in primo luogo č teista, in quanto ammette l'esistenza di Dio e il suo intervento nel mondo, mentre il Sāmkhya č ateo, in secondo luogo indica la via della salvezza nella meditazione e nelle pratiche ascetiche, mentre il Sāmkhya preferisce la via della conoscenza metafisica.

Con il termine Yoga, che tradizionalmente viene fatto derivare dalla radice sanscrita yuj- (unire, legare), si indica appunto una tecnica di ascesi, un metodo di contemplazione che porta al progressivo distacco dalla realtą transeunte e ha come fine supremo l'unione mistica con l'Assoluto. Con il metodo della reintegrazione lo yogin puņ penetrare nelle forme pił segrete della materia e dell'universo, percepire la natura della mente e giungere a cogliere il pensiero creatore che viene definito divino.

Accanto allo Yoga classico, che deve la sua formulazione a Patanjali, esistono altre forme di Yoga come quelle non brahmaniche (seguite da buddhisti e jaina), o ancora quelle di struttura magica e mistica; e proprio a queste forme la Shiva-samhitā fa riferimento.

Scopo comune a tutte le dottrine indiane č la liberazione dell'uomo dalla sofferenza: differiscono i rimedi proposti. Lo Yoga mira all'arresto delle fluttuazioni mentali, alla quiescenza di tutti i modi e funzioni della mente. Occorre svuotare la mente e per riuscirvi si deve seguire un cammino progressivo che si svolge attraverso otto stadi. I primi due sono costituiti dalla disciplina morale, che comprende le cinque astinenze (yama) e le cinque osservanze (niyama). Il praticante deve astenersi dall'offendere ogni creatura vivente (ahimsā), dalla menzogna (satya), dal furto (asteya), dalla lussuria (brahmacaryā) e dal possedere ciņ che non č strettamente necessario al puro sostentamento (aparigraha). Deve quindi praticare le osservanze, cioč mantenere la purezza del corpo e dello spirito (shaucha), dimostrare indifferenza verso ciņ che č contingente per conservare lo spirito sereno e soddisfatto (samtosha), dedicarsi all’ascesi (tapas), allo sviluppo del Sé (svāddhyāya) attraverso lo studio dei sacri testi, e alla meditazione sulla divinitą (Ģshvara-pranidhāna).

Il terzo stadio consiste nell’apprendere posizioni (āsana) adatte alla meditazione, dal momento che una posizione errata non puņ mantenere tranquilla la mente; tali posizioni devono essere accompagnate da contrazioni muscolari (bandha), da processi psicofisici o gesti (mudrā) e da purificazioni (kriyā).

Il quarto stadio consiste nel controllo del respiro (prānāyāma), il quinto nel sottrarre i sensi dai loro oggetti (pratyāhāra) in modo che si limitino a percepirli, senza alcuna partecipazione da parte dell'io. Lo svuotamento della mente si svolge in tre momenti che costituiscono gli ultimi tré stadi: la dhāranā o concentrazione della mente su un oggetto o un'idea, il dhyāna o contemplazione di un unico oggetto, e il samādhi o identificazione, raccoglimento assoluto in cui scompare ogni senso di dualitą tra il contemplante e l'oggetto contemplato. I metodi di controllo del corpo e della mente sono oggetto dello hatha-yoga, che puņ essere considerato una sintesi di Yoga e di Tantra.

Infatti il Tantrismo, che costituisce una tappa nell'evoluzione di tutte le principali religioni indiane e che si accompagna ad una rinascita dello Saktismo, adotta gli esercizi dello Yoga, a sua volta influenzandolo notevolmente.

La metafisica tantrica considera la realtą assoluta come l'unione di tutte le dualitą e polaritą reintegrate in uno stato di assoluta unitą; la creazione e il divenire rappresentano la rottura dell’unitą primordiale e la separazione dei due princģpi supremi Shiva e Sakti. La realtą suprema č coscienza pura e da essa procedono il mentale e la materia.

Teologicamente la coscienza pura č Shiva, unito alla sua Shakti (potenza, energia), che č la Grande Devī, la madre dell’universo. Essa risiede come forza vitale (Shakti-Kundalinī) nell’uomo stesso, nel centro (chakra) pił basso, il mūlādhādra, posto alla base del midollo spinale, mentre Shiva si realizza nel pił alto centro cerebrale, il sahasrārachakra. Lo scopo del rituale tantrico č proprio quello di ottenere l'unione di Shiva e della Shakti nel corpo e nella mente del praticante, che cosģ riesce a ristabilire in sé lo stato dell'universo prima della creazione. Prima della manifestazione dell’universo vi era soltanto l’Essere-Coscienza- Beatitudine, in cui Shiva rappresenta l’aspetto statico della coscienza e Shakti quello dinamico, espresso nella simbologia tantrica con l'immagine della coppia divina unita, inconsapevole della propria alteritą. Shiva č l'identitą dell'ego, la Shakti č l’id; assorta nella propria beatitudine, tiene gli occhi chiusi e non sa di essere altro da Shiva.

Nella fase successiva l’onniscienza divina, in cui non esisteva un io contrapposto a un non-io, si offusca e avviene la scissione in ego e id, soggetto e oggetto. Questo non avviene subito, ma vi č uno stadio intermedio in cui vi sono un soggetto e un oggetto non ancora distinti; la Shakti apre gli occhi, ma č ancora unita a Shiva. E lo stadio di bindu, in cui l’ego ha soggettivato l’id e, di conseguenza, č divenuto un solo punto di coscienza con esso. L’intervento di mādyā-sakti provoca la separazione del soggetto e dell’oggetto. La Sakti presenta se stessa come id, diversa dall'ego (Shiva) e la coppia divina si separa. La Shakti si trasforma in una bella danzatrice i cui movimenti ritmici tessono la trama dell'universo. L’ego, affascinato dalla danza, sogna di vedere una profusione di oggetti differenti, benché si tratti solo dei suoi movimenti e dei suoi gesti, e l'attivitą ingannatrice della Shakti comincia a fargli credere che non č uno ma molteplice. Si costituiscono cosģ i centri di coscienza finiti che si escludono reciprocamente l'un l'altro vedendo, nei limiti del loro potere, altri centri finiti come oggetti al di fuori di loro e diversi da loro. Essi sono dovuti a māyā-sakti, e sono avidyā, cioč ignoranza, poiché non sono pił l'onniscienza divina, ma coscienza limitata. L'uomo dunque partecipa della natura divina, ma come coscienza limitata; egli č spirito, trasformato per opera di māyā-shakti in mentale e materia; il mentale costituisce il corpo sottile, la materia il corpo grossolano, ma anche la materia č spirito, nel senso che č coscienza nel pieno assoggettamento al potere dell’ignoranza. L'uomo, creatura decaduta nello spazio e nel tempo, ingannata dal potere illusivo e alterante della māyā, puņ, tuttavia, ascendere, allo stato di coscienza pura mediante le tecniche dello hatha-yoga.

L'aggettivo hatha viene spiegato come composto di ha "sole" e tha "luna" con riferimento simbolico al passaggio dell’aria nella narice destra, assimilata appunto alla luna, e nella sinistra, assimilata al sole. Lo hatha-yoga intende essere l’unione dei due respiri e si propone come obiettivo il samādhi, cioč l'annullamento della dualitą; esso si attua quando č resa attiva la Kundalinī, la forza latente del corpo umano, di quel corpo che proprio nel Tantrismo acquista un'importanza grandissima, passando da sorgente di dolore a veicolo di salvezza. Secondo una teoria, diffusa in gran parte delle tradizioni culturali del mondo e documentata in India giāin etāvedica, il corpo umano č il microcosmo, in cui il Tantrismo, utilizzando una cosmo-fisiologia arcaica, colloca le nādī (canali, vene, arterie, nervi) e i chakra (cerchi dischi, centri) paragonati a fiori di loto. L'energia vitale in forma di soffi (vāyu) circola nelle nādī e l'energia cosmica e divina risiede nei chakra.

Le nādī sono numerosissime, ma quelle che rivestono particolare importanza nelle tecniche dello hatha-yoga sono idā, pingalā e susumnā, che sfociano rispettivamente nella narice sinistra, nella narice destra e nel brahmarandhra (sutura frontalis). Lungo l’idā e la pingalā scorrono i due soffi, cioč il prāna e l’apāna oltre all’energia sottile del corpo. L’idā č accostata alla Shakti e all'uovo, la pingalā o purusa (maschio) e al bindu o shukla (seme).

La susumnā č la via che percorre la Kundalinī, quando, risvegliata, sale attraverso i chakra; essa č descritta come un serpente che dorme arrotolato nel mūlādhāra (plesso sacro-coccigeo). Quando, grazie a tecniche opportune, essa si desta, attraversa dapprima lo svādhisthdnachakra (plesso sacrale), poi il manipūra-chakra (plesso epigastrico), poi l’andhatachakra (situato nella regione del cuore), poi il vishuddhachakra (plesso laringeo-faringeo), infine, l’ājnāchakra (situato tra le sopracciglia) e sbocca nel srārachakra (alla sommitą del capo). Quest'ultimo chakra č il simbolo dell'Assoluto, posto al di lą dello spazio e del tempo: lģ risiede Shiva e lģ avviene l'unione finale di Shiva e della sua Shakti, far risalire la Kundalinī significa appunto provocare l'unione di Shiva e della Shakti, cioč il riassorbimento del mondo nell’Assoluto indifferenziato.

Il risveglio della Kundalinī č provocato da una tecnica che consiste nell’arresto del respiro (kumhhaka), reso possibile da una particolare posizione del corpo (āsana). Uno dei metodi pił comuni č quello illustrato dalla khecarīmudrā, che consiste nell'ostruire la cavitą orale con l'estremitą della lingua spinta addietro nella gola. La conseguenza č un'abbondante salivazione che viene assimilata all'ambrosia celeste (amrta), mentre la carne stessa della lingua viene paragonata alla carne di vacca che viene mangiata. Questa simbologia, frequente nei testi tantrici, sta a dimostrare che lo yogin che risveglia la Kundalinī č ormai partecipe della trascendenza, č un jīvanmukta "vivente liberato" e, come tale, puņ infrangere il pił tassativo divieto degli Indł, che č appunto quello di mangiare carne di vacca.

All'ostruzione della cavitą orale e all'arresto del respiro alcune scuole tantriche hanno affiancato anche pratiche sessuali, simili, per alcuni aspetti, a quelle attribuite alle scuole gnostiche.

L'atto sessuale, concepito come atto rituale, č presente nella tradizione vedica e affonda le sue radici nell'India anaria e nella civiltą indomediterranea, in cui veniva praticato il culto orgiastico collegato con i riti in onore della Dea Madre.

In etą vedica il maithuna (unione sessuale rituale) aveva due valori fondamentali: quello di unione coniugale ierogamica e quello di unione sessuale orgiastica, il cui scopo era quello di garantire la feconditą universale o di creare una difesa magica.

Nel Tantrismo il maithuna diventa mezzo di salvezza: le correnti tantriche adottano un ricco simbolismo sessuale e fanno ricorso a esperienze erotiche, considerando la libido come coefficiente fondamentale della psiche umana, che puņ portare alla conquista dell'illuminazione.

I rituali descritti nei Tantra, tuttavia, pongono al lettore quasi gli stessi problemi presentati dai testi gnostici, la cui polisemia concettuale rese possibile da parte delle varie sette ora un'interpretazione austera ora un'interpretazione lassista.

La scuola tantrica Kula, divisa nelle due correnti della "mano destra" e della "mano sinistra", usņ il rituale pancatattva, caratterizzato cioč dalle cinque trasgressioni alle prescrizioni dei brāhmana. Tale cerimoniale comprendeva, infatti, l'uso del vino (o comunque di bevande inebrianti), della carne, del pesce, dei cereali e del maithuna, ma gli stessi testi suggeriscono numerose interpretazioni simboliche, la pił corrente delle quali con l'acqua, i cereali con la terra, il maithuna con l'etere; i seguaci della "mano destra", o samayin, si attennero a un interpretazione simbolica, dedicandosi al risveglio della Kundalinī mediante pratiche ascetiche di carattere spirituale. I kaula invece, o "seguaci della mano sinistra", seguirono il cerimonie alla lettera, almeno in alcune circostanze, praticando il maithuna. Il maithuna tantrico, tuttavia, non si conclude fisiologicamente con remissione seminale come il maithuna vedico. Lo yogin deve provocare remissione della compagna e assorbirne le secrezioni, immobilizzando il proprio seme per raggiungere la triplice immobilitą: del pensiero, del respiro e del seme imitazione di quel modello divino che č l'immobilita di Shiva nel meccanismo cosmico e che viene rappresentata spesso dall’iconografia tantrica, che ci mostra la Shakti danzante sul corpo inerte di Shiva.

Sulla base di un'anatomia e di una fisiologia puramente immaginarie si pensa che il seme possa essere fatto risalire fino al cervello, dove l'elemento maschile per eccellenza si riunisce con quello femminile, sempre presente nella struttura del maschio Lo yogin passa cosģ dal piano dell'esperienza sensibile a quello della trascendenza e sperimenta nel suo corpo, visto come microcosmo, lo stato dell'universo prima della creazione.

Anche l'altro aspetto dell’atto sessuale, quello orgiastico, retaggio dell'India prearia, riaffiora nel Tantrismo e, pur conservando il carattere sacro, assume diversi aspetti nel corso dei secoli e nell'ambito delle comunitą che l'hanno praticato, conservando alla base, a livello pił o meno conscio a seconda dei praticanti l'aspirazione a realizzare l’esperienza dell’Assoluto.

L'erotica mistica č presente nella Shiva-samhitā nella descrizione della vajronīmudrā, pratica che consiste appunto nell’arrestare remissione e nel far risalire il seme verso i centri superiori, assorbendo le secrezioni della donna. Il testo ribadisce la proibizione, presente anche in altre opere tantriche, relativa alla caduta del seme altrimenti lo yogin ricade sotto le leggi del tempo e della morte come un comune libertino. L'orizzonte spirituale e notevolmente diverso da quello delle orge arcaiche, il cui unico scopo era duello di assicurare la feconditą universale.

La Shiva-samhitā, che viene ora tradotta per la prima volta in italiano costituisce assieme alla Hatha-yoga-pradīpikā, Gheranda-samhitā e al Goraksa-shataka (con i suoi commenti) una delle fonti principali per la conoscenza dello hatha-yoga. La Hatha-yoga-pradīpikā č il trattato pił antico e considerato il pił autorevole e concorda in alcuni punti con la Gheranda- samhitā, ma la Shiva-samhitā appare pił elaborata su piano filosofico e ci presenta un resoconto pił completo delle tecniche hathayoghiche.

Queste opere sono state concepite come guide generali, che presuppongono la presenza di un maestro (guru) capace di fornire i particolari necessari, e sono redatte con quella fraseologia misteriosa e tecnica, tipica dei testi tantrici, che protegge le pratiche descritte, destinate a essere rivelate soltanto a una cerchia ristretta di iniziati. Tale linguaggio, che costituisce un notevole ostacolo per il lettore occidentale, unito alla mancanza di un'edizione critica, ha reso poco agevole la traduzione della Shiva-samhitā.

Al fine di rendere pił facile la comprensione delle stanze pił ardue del testo al lettore non specialista, si č aggiunto un commento e si sono fornite ulteriori notizie nel Glossario, che comprende tutti i termini tecnici non sempre tradotti nel corso dell'opera.


 

CAPITOLO QUARTO

Yonimudrā

1. Il praticante, in primo luogo, con un'inspirazione, fissi la mente sul mulādhdrachakra, contraendo il perineo che si trova tra l'ano e il pene.

Il praticante si accinge a risvegliare la Kundalinī addormentata nel mūlādhārachakra e si concentra su questo chakra contraendo il perineo, che viene premuto con il tallone, e guidando verso l'alto il prona che viene unito con l’apāna.

2. Mediti poi su Kāma che sta nella brahmayoni ed č simile al fiore del bandhūka, splendente come dieci milioni di soli e freddo come dieci milioni di lune. Sopra vi č una fiamma sottile, l'eccellente Kalā, la cui forma č l'intelligenza; immagini che si realizzi l'unione tra se stesso e Kalā.

Il praticante medita su Kāma, che č un soffio che risiede nel triangolo (yoni) situato nel mulādhārachakra. Il triangolo, che in altri testi viene denominato kāmarūpa, qui invece č chiamato brahmayoni. Nel triangolo vi č lo svayambhūlinga; sopra e attorno a questo dorme la Kundalinī, avvolta come un serpente in tre spire e mezzo. Ancora sopra, in cima al linga, si trova Cit-kalā, la cui forma č intelligenza (cit intelligenza) che č un'altra forma della Kundalinī; lo yogin deve immaginare di unirsi a Kalā, di sperimentare cioč l'unione tra Shiva e la Sakti.

3. Immagini di percorrere la via di Brahmā, dopo avere attraversato l'uno dopo l’altro i tre linga, dopo aver bevuto l’ambrosia celeste, che ha come caratteristica la suprema beatitudine che ha colore rosato, che č fulgida di splendore, che stilla dal ricettacolo del nettare, che č kulāmrta, di nuovo ritorni nel kula.

Lo yogin che č riuscito a risvegliare la Kundalinī deve immaginare, identificandosi con lei, di passare attraverso il brahmarandhra, cioč il canale interno della susumnā, quindi di attraversare i tre linga, lo svayambhū, il bāna e l'itāra, posti rispettivamente nel mūlādhārachakra, nell'anāhatachakra e nell'ājnācakra, quindi di bere l'ambrosia divina, chiamata "ambrosia di kula", cioč kulāmrta, che stilla dal sahasrārachakra, attraverso i chakra inferiori, fino al mūlādhāra, quindi deve immaginare di ridiscendere nel kula o mūlādhāra.

4. Entri nuovamente nel kula con il mātrāyoga e non in altro modo. In questo Tantra vi ho descritto la yonimudrā, definita cara come la vita.

Il praticante deve immaginare di far ritornare la Kundalinī nel mūlādhāra, servendosi del prānāyāma (mātrāyoga).

5. Si dissolva di nuovo in quella yoni dove dimora il fuoco della morte avente la natura di Shiva. Questa č la grande yonimudrā; vi ho descritto il sistema per eseguirla: soltanto con il praticarla tutto riesce.

Il praticante deve annullare la mente nella brahmayoni, situata nel mūlādhāra, dove risiede il fuoco della distruzione, perché Shiva č il dio che provoca il riassorbimento del mondo e il suo simbolo, lo svayambhūlinga, č situato appunto nella brahmayoni.

6. I mantra tagliati, impediti, paralizzati, consumati dal fuoco, privi di fiamma, di colore scuro, che devono essere abbandona- ||| ti, deboli, giovani, vecchi, arroganti, orgogliosi per la loro giovinezza, che sono passati al nemico, fragili, senza vitalitą ed energia, spezzati, frantumati in cento parti, con questo metodo diventano potenti in fretta e producono successo ed emancipazione tutti quanti, se vengono insegnati dal maestro dopo aver iniziato il discepolo secondo il rito e dopo averlo asperso mille volte. Ho descritto questa mudrā perché otteniate il potere dei mantra.

La yonimudrā ha l’effetto di rendere efficaci i mantra, anche se difettosi. Si tratta di suoni mistici, il cui valore fu conosciuto fin dai tempi vedici e che il Tantrismo ha elevato a veicoli di salvezza: essi debbono essere appresi dalla voce del maestro e la loro efficacia č condizionata a una recitazione corretta.

7. Grazie alla yonimudrā non č contaminato dal peccato neppure chi uccide mille brāhmano o tutti gli abitanti del trimundio.

8. Chi uccide il maestro, o beve vino, o ruba, o ha rapporti con la moglie del maestro, non č contaminato dal peccato grazie alla yonimudrā.

L'autore, enumera le colpe pił gravi secondo la coscienza degli Indł (uccidere un brāhmana, uccidere il maestro, tradirlo, rubare, bere vino) esaltando con un'iperbole l'efficacia della yonimudrā.

9. Chi desidera l'emancipazione deve dunque compiere la pratica della yonimudrā sempre; con questa si ottiene il successo, con questa si ottiene l'emancipazione.

La pratica della yonimudrā permette di realizzare l'obiettivo supremo, cioč di sfuggire al vincolo delle rinascite e di arrivare all’emancipazione (moksa).

10. Con la pratica si ottiene la conoscenza, con la pratica si conquista lo Yoga, con la pratica si conquista il successo nelle mudrā, con la pratica si conquista il vāyusādhana, con la pratica si inganna la morte, con la pratica si diventa vincitori della morte.

Continua l'enumerazione dei vantaggi che si ottengono con la pratica della yonimudrā; dopo aver enunciato il risultato supremo, il moksa, l'autore elenca gli altri: la conoscenza, la riuscita nello Yoga, il successo nelle mudrā, il vāyusādhana e, infine, la sconfitta della morte.

11. Dalla pratica della yonimudrā derivano la capacitą della profezia e di muoversi a piacere dove si vuole. Occorre assolutamente tenere segreta la yonimudrā, e non rivelarla a una persona qualsiasi in nessun caso, neppure sotto la minaccia di morte.

In un climax discendente vengono indicati gli altri poteri conferiti dalla yonimudrā: la profezia e la possibilitą di spostarsi dove si vuole liberamente.

 

Il risveglio della Kundalinī

12. Ora rivelerņ un mezzo eccellente che conferisce il successo nello Yoga, e che deve essere tenuto segreto; si tratta di una forma di Yoga difficile a realizzarsi anche da parte dei perfetti.

Ribadita la necessitą di tenere segreta la pratica - elemento tipico di ogni testo di carattere iniziatico - vengono rivelate nuove tecniche.

13-14. Quando la Kundalinī addormentata si sveglia, grazie al favore di un maestro, tutti i loti e tutti i nodi vengono attraversati; perciņ il praticante compia con tutto il suo impegno l'esercizio delle mudrā per svegliare la Signora che dorme nella bocca del brahmarandhra.

La Kundalinī, nella sua ascesa, attraversa i chakra paragonati a loti; le mudrā servono appunto per risvegliarla.

15. Le migliori tra le mudrā sono dieci: mahāmudrā, mahābandha, mahāvedha, khecarī, jālandhara, mūlabandha, viparītakrti, uddāna, vajronī e sakticālana come decima.

 

Mahāmudrā

16. Descriverņ la mahāmudrā in questo Tantra, o mia amata; i saggi del passato, come Kapila e altri, ottennero il successo, dopo averla appresa.

17. Premendo leggermente il perineo, che sta tra l'ano e il pene, con il calcagno sinistro - attenendosi alle istruzioni del maestro - tenendo con le due mani il piede destro teso in avanti, chiuse le nove porte del corpo, appoggiato il mento sul petto, concentrando le vibrazioni della mente, lo yogin pratichi il vāyusādhana. Questa č la mahāmudrā, tenuta segreta in tutti i Tantra; dopo averla praticata sul lato sinistro, di nuovo la ripeta sul lato destro lo yogin dalla mente ferma, eseguendo il prānāyāma.

Il modo per realizzare la mahāmudrā, spiegato pił chiaramente in altri testi, č il seguente: occorre sedersi sul pavimento con le gambe distese in avanti e collocare il tallone del piede sinistro sotto il perineo, quindi afferrare l'alluce del piede destro e piegarsi in avanti finché la fronte poggia sul ginocchio destro. In questa posizione si inspira e si trattiene il fiato; durante la fase di ritenzione si applicano altre mudrā; per contenere Paria e creare una pressione interna si usa l’uddīyāna e la contrazione degli sfinteri anali; poi, con gli occhi chiusi e la mente assorta, ci si concentra sullo spazio tra le sopracciglia.

18. In questo modo anche lo yogin sfortunato ottiene lo stimolo di tutte le nādi, la morte del bindu, la vita del rajas, la distruzione dei peccati, la fine di tutte le malattie, l'aumento del succo gastrico, lo splendore puro della bellezza, la distruzione della vecchiaia e della morte, il frutto della prosperitą desiderata, la felicitą, l'annientamento dei sensi. Lo yogin, immerso nello Yoga, puņ ottenere tutti i vantaggi elencati sopra, servendosi di tale pratica; di certo non deve esitare a intraprenderla.

Segue la solita enumerazione dei vantaggi ottenuti: con "morte del bindu" si intende la capacitą di immobilizzare il seme arrestandone remissione (come viene anche spiegato a proposito della vajronīmudra); l'espressione "vita del rajas", allude invece all'aumento dell'energia. Il testo da kasāya, usato qui come sinonimo di rajas.

19. Questa mudrā deve essere tenuta segreta con ogni sforzo, o venerata dai sura; gli yogin, dopo averla appresa, passano attraverso l’oceano del mondo.

20. Questa mudrā, da me rivelata, che esaudisce i desideri dei praticanti, deve essere eseguita secondo una regola segreta e non deve essere rivelata a una persona qualsiasi.

 

Mahābandha

21. Dopo aver teso il piede destro e averlo messo sulla coscia sinistra, dopo aver contratto il perineo, aver tirato verso l’alto l’apānavāyu e averlo unito con il samānavāyu, e dopo aver fatto scendere il prānavāyu, il saggio li unisca perché vadano in alto tutti e tre insieme. Ho cosģ descritto il mahābandha, che addita la via del successo. Praticandolo, dalla rete delle nādi la moltitudine dei fluidi sale verso la testa dello yogin. Lo yogin compia l'esercizio con entrambi i piedi, alternativamente, con cautela.

Con il mahābandha si arresta il moto ascendente di tutte le nādi e si verifica la congiunzione delle trivenī, cioč idā, pingalā e. susumnā, la mente si concentra nello spazio tra i due occhi, considerato sede di Shiva.

22. Con la pratica il vāyu entra nel canale centrale della susumnā, si ottiene il rinvigorimento del corpo, il tessuto osseo diventa saldo e consistente, il cuore dello yogin diventa pieno di gioia; questi sono i vantaggi dello yogin: con questo bandha l'eccellente yogin ottiene tutto ciņ che desidera.

In aggiunta a ciņ che dice il testo si insegna ai praticanti a contrarre i visceri dell'addome verso la colonna vertebrale e poi ad agire con forza sui muscoli del retto. Le contrazioni continue degli sfinteri anali rendono possibile l'aspirazione di aria che viene portata fino all'intestino tenue (T. Bernard, op. cit., P. 92).

 

Mahāvedha

23. O dea dei tre mondi, il saggio yogin, dopo aver unito il prāna con l’apāna con l’esecuzione del mahābandha, e aver riempito d'aria la cavitą dell'addome, batta le natiche sul suolo. Questa mudrā viene chiamata da me mahāvedha.

Altri testi spiegano che nel mahāvedha lo yogin assume la posizione mahābandha, descritta prima; concentrando la mente arresta il corso del prāna verso l’alto e verso il basso, poi, posando le palme delle mani a terra, batte leggermente le natiche e a questo punto il prāna entra nella susumnā.

24. Con questa vedhamudrā l'eccellente yogin, che ha perforato con il vāyu il nodo sul sentiero della susumnā, buca anche il nodo di Brahmā.

25. Colui che pratica sempre l'esercizio detto mahāvedha, molto segreto, ottiene la vāyusiddhi che distrugge la vecchiaia e la morte.

26. Gli dči che stanno in mezzo ai chakra tremano al rumore dell'aria e la Mahā-Mayā-Kundalī č riassorbita nel Kailāsa.

Le divinitą che risiedono nei chakra sono scosse dalla pressione dell'aria; la Mahā-Mayā-Kundalī č riassorbita nel Kailāsa, cioč nel loto dai mille petali dove avviene l'unione finale di Shiva con la Shakti.

27. La mahamudrā e il mahābandha non hanno alcun successo senza il mahāvedha, perciņ lo yogin li deve praticare uno dopo l'altro con impegno tutti e tre.

28. Chi pratica queste tre mudrā quattro volte al giorno, nel giro di sei mesi vince la morte, non c'č dubbio.

29. Soltanto il perfetto e nessun altro conosce il potere di queste tre mudrā; apprendendole, tutti i praticanti ottengono completamente il successo.

30. I praticanti che desiderano il potere devono tenerle se- grete con ogni mezzo, altrimenti di certo non raggiungeranno il successo praticando le mudrā.

 

Khecarīmudrā

31. L'eccellente saggio, seduto in vajrāsana, privo di ogni contrarietą, fissando fermamente lo sguardo tra le sopracciglia, sistemi con cura la lingua rovesciata all’indietro nella cavitą che sta sotto l'epiglottide, dove vi č il nettare. Ho descritto questa mudrā, chiamata khecarī, per esaudire i desideri dei miei devoti.

Per compiere la khecarimudrā si spinge la lingua verso la gola, rivoltandola su se stessa e fissando lo sguardo tra le sopracciglia: per dare maggiore estensibilitą alla lingua si taglia il frenulo, cosicché essa possa toccare lo spazio tra le sopracciglia o fermarsi in tré punti: esofago, trachea, palato. Lo scopo della khecarīmudrā consiste nell’impedire che il fluido vitale, paragonato al nettare che trasuda dalla luna, posta nel chakra del capo, sgoccioli verso i centri inferiori.

32. Questa mudrā, madre dei successi, mi č pił cara della vita; grazie alla sua pratica eseguita incessantemente lo yogin, ogni giorno, beve il nettare per mezzo del quale puņ ottenere la vigrahasiddhi e, come un leone, domina l'elefante della morte.

33. Sia egli puro o impuro, in qualunque stato si trovi, se la khecarīmudrā č compiuta correttamente, diventa puro, non c'č dubbio.

34. Chi la pratica, anche per mezzo minuto, attraversa il grande oceano del peccato e, goduti i piaceri degli dči, rinasce in nobile famiglia.

35. Questa č la khecarīmudrā: chi la compie con mente serena e vigilante considera un attimo cento periodi di Brahmā.

36. Il saggio che, grazie alle istruzioni del suo maestro, apprende queste mudrā, anche se ha commesso molti peccati, ottiene l'emancipazione.

37. O venerata dagli dči, questa mudrā, cara come la vita, non deve essere svelata a una persona qualsiasi, ma deve essere tenuta segreta con cura.

 

Jālandharabandha

38. Lo yogin contragga la gola, fermi la rete delle arterie e ponga il mento sul petto. Questa č chiamata jālandharamudrā, diffIcile da eseguire anche da parte degli dči. Il fuoco che č nell'ombelico beve tutto quanto il nettare che stilla dal loto dai mille petali dei viventi. Per questo motivo lo yogin pratichi questo bandha.

Il nettare cade dal chakra posto sul capo verso quelli inferiori, per questo si dice che viene divorato dal fuoco dell'ombelico, cioč dal sole situato nel chakra posto nella regione dell'ombelico; per evitare ciņ lo yogin deve praticare la jālandharamudrā (o jālandharabandha).

39. Con questo bandha il saggio beve il nettare e, ottenuta l'immortalitą, č felice nel trimundio.

Il saggio beve la saliva assimilata al nettare dell’immortalitą.

40. Questo jālandharabandha č conferitore di successo per i perfetti; lo yogin che vuole il successo deve sempre praticarlo.

 

Mūlabandha

41. Chiudendo lo sfintere anale con la pressione del tallone dopo aver tirato verso l’altņ l’apanavāyu con forza, lo yogin lo faccia poi salire lentamente; questa č la mūlabandhamudrā che distrugge vecchiaia e morte.

Con la mūlabandhamudrā il prāna e l’apāna si uniscono ed entrano nella susumnā; a questo punto si odono i suoni interni, cioč si percepisce una vibrazione, e il prāna e l’apāna, unendosi con il nāda (suono) dell'anāhatachakra situato nel cuore, vanno al cuore, unendosi pure con il bindu dell’ājnāchakra. L’apāna, che ha un naturale corso discendente, con una contrazione nella zona del mūlādhāra, sale attraverso l'alto attraverso la susumnā e incontra il prāna; quando quest'ultimo raggiunge la regione del fuoco sotto l'ombelico, il fuoco diventa risplendente e acquista vigore grazie alla ventilazione decapano; a questo punto il calore del corpo diventa intensissimo e risveglia la Kundalinī (V. A. Avalon, II potere del serpente, p. 169).

42. Se, eseguendo questo bandha, si unisce il prāna con l’apāna, si arriva a compiere anche la yonimudrā.

43. Compiuta la yonimudrā che cosa non puņ compiere nel mondo? Grazie a questo bandha lo yogin, vinta la pigrizia, seduto in padmāsana, lasciata la terra si muove nell'aria.

44. Se l'eccellente yogin desidera attraversare l’oceano del samsāra compia questo bandha in luogo deserto e segreto.

 

Vģparītakaranīmudrā

45. Lo yogin, messa la testa a terra, drizzi le gambe in aria: questa č la viparītakrti tenuta segreta in tutti i Tantra.

Secondo altri testi, invece, occorre sedersi con le gambe stese in avanti e con le mani sulle ginocchia e fare cinque rapidi respiri, inspirando poi dalle due narici, trattenere il respiro pił a lungo possibile pensando di risvegliare l'energia avvolta nelle sue spire (Kundalinī).

46. Lo yogin che segue sempre questa pratica per tre ore al giorno vince la morte e non perisce neppure nel pralaya.

La mudrā sconfigge non solo la morte, ma anche la distruzione periodica cui va soggetto l'universo.

47. Colui che beve l'ambrosia diventa simile ai siddha, colui che pratica questo bandha č onorato tra tutte le creature.

 

Uddīyānabandha

48 Sposti a sinistra l'intestino sopra e sotto l'ombelico; questo č l’uddīyānabandha che distrugge il fiume di tutte le sofferenze. Porti le viscere della cavitą addominale sinistra sull'ombelico: questo č l’uddīyānahandha, il leone che doma l’elefante della morte.

Secondo altri testi invece l’uddīyānahandha consiste nel contrarre fortemente il ventre a livello dell'ombelico e poi nel rilasciarlo; ciņ fa da supporto ai polmoni durante gli esercizi respiratori e da equilibrio ai vari elementi del corpo.

49. Lo yogin che compie questa pratica quattro volte al giorno ottiene la purificazione dell'ombelico, cosģ che vengono purificati anche i soffi.

50. Lo yogin che compie questa pratica per sei mesi, di certo vince la morte; il suo fuoco gastrico si ravviva e i fluidi aumentano.

51. Con questo inoltre si ottiene la vigrahasiddhi e di certo le malattie vengono eliminate.

52. Appreso dal maestro questo bandha veramente difficile a ottenersi, il saggio lo pratichi con zelo in un luogo segreto e comodo.

 

Vajronīmudrā

53. Descriverņ brevemente per amore dei miei devoti vajronī che distrugge l'oscuritą del samsāra ed č segretissima.

La vajronīmudrā č particolarmente segreta in quanto rientra nella mistica erotica: tali pratiche infatti, descritte sovente in forma ambigua e oscura, venivano tenute celate ai non iniziati.

54. Colui che vive secondo i propri piaceri nel mondo, senza seguire le regole dello Yoga, ottiene l'emancipazione come colui che vive nell'ascesi, praticando ripetutamente vajronī. 55. Con la pratica di vaironī lo yogin, anche se č legato ai godimenti terreni, diventa datore di liberazione; perciņ gli yogin devono praticare vajronī con impegno.

Affermando che il potere di vajronī e tale da conferire la salvezza anche a colui che non ha seguito le tecniche dello Yoga, ma si č abbandonato ai piaceri, il testo rivela l'influenza del rituale sākta, che non escludeva il ricorso al vino e alla donna nel rituale segreto: la strofa successiva, infatti, descrive il maithuna.

56. In primo luogo, dopo aver assorbito con zelo, secondo le regole, le secrezioni dell'organo femminile nel corpo attraverso il canale, introduca il suo organo nella vagina, trattenendo il seme, muova l'organo e, se per caso il seme sta per cadere, lo faccia risalire in alto con la yonimudrā, guidandolo nella regione sinistra; fermi un attimo il pene nella vagina, di nuovo lo muova secondo le istruzioni del maestro, ripetendo hum hum, traendo verso l'alto l’apānavāyu con forza e assorbendo le secrezioni della donna.

Lo yogin deve assorbire le secrezioni dell’organo femminile, assimilate alla Shakti, ed evitare remissione seminale o, se questa avviene, riassorbire il suo seme assieme alle secrezioni della donna e farlo risalire verso l'alto, attraverso la nādi di sinistra (idā), fino al loto dai mille petali. I maestri di Yoga insistono su questo punto: remissione deve essere evitata perché causa la fine del desiderio di liberazione.

57. In questo modo lo yogin, per avere successo nello Yoga, deve praticare subito la vajronimūdrā nutrendosi di latte, dedito all’omaggio del piede del maestro.

58 Si deve sapere che il bindu č della natura della luna, il rajas della natura del sole; bisogna provocare la loro unione nel corpo.

Durante O maithuna lo yogin provoca l’emissione della compagna, pur immobilizzando il proprio seme, e di ha quindi l’unione del sole (rajas "secrezioni femminili") e del bindu (seme), la ritenzione del seme unita all'arresto del respiro provoca il risveglio e l'ascesa della Kundalinī, cioč l'unione di Shiva e della Shakti.

59. Io sono il seme, il rajas č la Shakti, quando gli yogin. riescono a unire entrambi nel loro corpo, che e la sede del rituale, ottengono un corpo divino.

60. Con la caduta del seme vi č la morte, con la ritenzione la vita; perciņ, con ogni cura, occorre trattenere il seme.

Anche in altri testi tannici Shiva č assimilato al bindu e la Shakti al rajas: l’unione di bindu e di rajas č l'unione di Shiva e della Shakti nel corpo dell'asceta. La caduta del seme e motte perche ron essa l'asceta perde il frutto della pratica.

61. Non c'č dubbio che gli uomini nascano e muoiano per mezzo del seme; sapendo ciņ lo yogin pratichi sempre la ritenzione.

62. Che cosa non puņ ottenere sulla terra chi riesce a trattenere il seme? Grazie a ciņ io ho ottenuto il mio potere: e cosģ.

Shiva, lo yogin per eccellenza, fa derivare il suo potere dalla capacitą di evitare remissione e di controllare il seme.

63. Il seme dą gioia e dolore a tutti gli esseri attaccati all'esistenza mondana in preda all'errore, soggetti a vecchiaia e a morte; questo Yoga: che da successo agli yogin, č veramente il migliore.

64. Con la pratica ottiene successo anche l'uomo che č rimasto attaccato al piacere; anche chi ha perseguito l’utile sulla terra č un perfetto al momento della morte.

65. Dopo aver fruito pienamente di ogni beatitudine, con questo Yoga gli yogin ottengono un successo completo.

66. Perciņ con grande piacere lo yogin compia questa pratica.

67. Sahajoni e amarānī gli altri nomi di vajronī. In ogni modo lo yogin trattenga il seme.

68. Se per caso il seme viene emesso nell'eccitazione e avviene l'unione della luna con il sole, lo yogin lo riassorba con il canale: questa č amarānī.

Se si uniscono il bindu (luna) e il rajas (sole) lo yogin deve riassorbire i semi maschile e femminile uniti.

69. Lo yogin deve trattenere il seme sfuggito con la yonimudrā: si verifica allora la sahajoni, tenuta segreta in tutti i Tantra.

70. La distinzione nasce dalle differenze dei nomi, ma il risultato č uguale; perciņ gli yogin devono sempre praticare queste mudrā con impegno, se vogliono il successo.

71. Ho rivelato questo Yoga per amore dei miei devoti; esso deve essere tenuto segreto e non deve essere rivelato a una persona qualsiasi.

72. Questo Yoga č veramente segreto e non ve ne sarą un altro, ne c'č stato; perciņ con ogni impegno deve essere tenuto segreto dai saggi.

73. Quando lo yogin urina, dopo aver assorbito con forza il vāyu, emetta a goccia a goccia l'urina, riassorbendola di nuovo in alto secondo la via indicata dal saggio. Chi fa cosģ ogni giorno riesce a trattenere il seme, pratica che conferisce grande potere.

74. Chi pratica tutti i giorni la vajronī secondo le istruzioni del maestro, non perde il seme neppure unendosi a cento donne.

75. Dopo aver ottenuto il successo nel trattenere il seme, che cosa non riesce? Con il potere di questa pratica, o Pārvatī, io ho ottenuto la mia forza, difficile a ottenersi.

 

Shakticālanamudrā

76. Il saggio svegli la Kundalinī, che dorme profondamente nell’ādhāra, traendola in alto con forza per mezzo dell’apānavāyu. Questa č la shakticālanamudrā, che conferisce ogni potere.

La shakticālanamudrā secondo altri testi consiste in un movimento dei muscoli addominali da destra a sinistra e da sinistra a destra, a spirale; questo procedimento viene accompagnato dall'inalazione e dall'unione di prāna e apāna. Lo shakticālana viene praticato prima della yonimudrā.

77. Chi pratica ogni giorno lo sakticālana ottiene il prolungamento della vita e la distruzione delle malattie.

78. Abbandonato il sonno, di certo la serpe si rizza da sola; perciņ lo yogin che desidera il successo compia questa pratica.

La Kundalinī che dorme arrotolata come un serpente nel mūlādhāra, svegliata, si rizza.

79. Chi pratica sempre, secondo le istruzioni del maestro, l’eccellente shakticālana, ottiene la vigrahasiddhi, che da il potere di animan e le altre siddhi; come puņ dunque temere la morte?

80. Chi pratica per due secondi, con zelo, al momento opportuno, lo shakticālana, vede vicino il successo; lo shakticālana deve essere praticato dagli yogin nella posizione adatta.

81. Queste sono le dieci mudrā di cui non vi č stato e non vi sarą eguale: praticandole una dopo l'altra si ha successo, in altro modo non si diventa perfetti.

 

   

 


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