Jean Klein

La naturalezza dell'essere

 


 

INDICE

 

PROLOGO

OLTRE IL DIVENIRE (Londra, aprile 1980)

IL CHIARO SPAZIO DELLA TESTIMONIANZA (Nuovo Messico, agosto 1980)

VERSO LA CONSAPEVOLEZZA (Parigi, dicembre 1980)

IL REGNO DEL SILENZIO (California, luglio 1981)

L'ARTE DELL'ASCOLTO (Svizzera, novembre 1981)

ESSERE CONOSCENZA (Londra, novembre 1982)

VIVERE NELLA DOMANDA (California, febbraio 1986)

 


 

PASSI SCELTI

 

PROLOGO

 

Che cosa fu ad ispirarle il suo primo viaggio in India?

Un bisogno interiore, l’urgenza di trovare pace, di trovare il centro in cui si è semplicemente se stessi, liberi da ogni stimolo. Tutto quello che avevo letto sull'India della tradizione, in particolare dell'India antica, mi aveva condotto a sentire che l’India contemporanea poteva ancora riflettere quella saggezza, che poteva trattarsi di una società articolata sulla verità. Naturalmente è pericoloso pensare di adottare un'altra cultura, ma il fatto che io andassi in India non rappresentava la ricerca di un nuovo credo, religione o cultura. Ero consapevole che non avrei trovato ciò che cercavo adottando un nuovo modo di vivere, o un nuovo punto di vista. Sin dall'inizio ero convinto dell'esistenza di un nucleo dell’essere che è indipendente da ogni società, e avvertivo l’urgenza di esplorare tale convinzione.

Dunque lei non cercava in particolare un maestro?

No, non stavo cercando nulla di specifico. Ma arrivando in India, in un ambiente completamente nuovo, mi trovai privo di ogni riferimento alla mia esperienza precedente. In quest'assenza di valutazione mi trovai catapultato in un'apertura, in una ricettività totale. E fui esterrefatto nell’incontrare tanto presto l'uomo che più tardi divenne il mio maestro. Non si può cercare un maestro. Il maestro ti incontra nella tua consapevolezza.

Questo bisogno interiore, la brama della libertà, deve essere molto forte?

La brama della libertà deve essere tremenda. Ma essa non può venire imparata o acquisita. Essa sgorga dall'auto-interrogarsi. Perché in questo interrogare se stessi appare un presentimento, un annunzio della realtà, ed è questo presentimento a nutrire un ardore così intenso che esso può persino privarla del sonno!

Quando lei si interroga, dapprima può avvertire una carenza. Può non rendersi conto di che tipo di carenza si tratti, e allora procederà in varie direzioni nella speranza di colmare il vuoto. E quando si realizza una determinata direzione, può esserci un momento in cui non vi è più la carenza e il desiderio che le inerisce. Per un momento, allora, si è in pace. Ma poiché lei non è consapevole di questa assenza di desiderio, si fissa sull'oggetto, sulla presunta causa della sua soddisfazione. Naturalmente alla fine esso perde il suo fascino e ci si ritrova ancora una volta affamati.

Lei percorrerà molti di questi vicoli ciechi, come un cane da caccia che non riesca a trovare la traccia e le corra affannosamente intorno. Tuttavia l'esperienza di questi vicoli ciechi conduce a una sorta di maturità, perché inevitabilmente lei interrogherà in modo sempre più profondo tutto ciò che accade e la sua caducità. E un processo di eliminazione. Lei deve interrogare, porre delle domande in relazione alla sua vita, come farebbe uno scienziato. Osservi che quando raggiunge ciò che vuole, si trova in uno stato di non-desiderio in cui l'oggetto iniziale, la presunta causa della sua mancanza di desiderio, non è affatto presente. Veda allora come questa mancanza di desiderio sia realmente priva di causa e come sia lei invece ad attribuirgliela.

A un certo punto di maturità sarà attirato all’improvviso dalla fragranza della realtà. Il suo affannarsi in ogni direzione, la sua dispersione, avranno fine. Spontaneamente, lei si troverà orientato. La sua intera prospettiva muterà. Un profumo la richiama, le offre il gusto, il presentimento della realtà, genera l'urgenza incredibile della quale ho parlato.

Vuoi dirci ancora di questo presentimento? Di che cosa si tratta esattamente?

Il presentimento proviene dalla sorgente stessa del presentimento, da ciò che è sentito interiormente. È il riflesso della verità, l'orientamento spontaneo che si determina quando la dispersione si concentra in un punto.

L'ego diviene più trasparente, e in questa trasparenza l'energia che era stata fissata dall'ego negli oggetti della dispersione si ritrasferisce nell’orientamento. Quando il presentimento appare, dategli tutto il vostro cuore. Dovete essere molto attenti, molto vigilanti, perché la tendenza a dimenticare - che costituisce il nostro condizionamento - è molto forte.

La sofferenza ha avuto qualche parte nell'indirizzarla sul sentiero?

Dipende da come lei considera la sofferenza. Soffrire è un'idea, un concetto, e non potrà mai condurla a conoscere se stesso. Ma la percezione diretta della sofferenza è, come ogni oggetto, una freccia indicatrice verso il Sé. Quello che era importante, per me, erano i momenti in cui mi trovavo di fronte a me stesso e alla mancanza di appagamento. Ciò originava il dinamismo di esplorarmi ad una maggiore profondità. In un certo senso quando si percepisce veramente questa mancanza, questo non-appagamento, senza concettualizzarlo, si vive una grande sofferenza, ma non un tipo di patimento come quello che si avverte quando si subisce un furto o si perde il lavoro, se si spezza un legame matrimoniale o si soffre a causa di una morte.

Queste difficoltà infatti vi legano a una sorta di compiacimento, a un modo comune di vivere. Tuttavia esse destano in voi il desiderio di interrogare, di inquisire, di esplorare la sofferenza stessa.

Fate della sofferenza un oggetto. Arrendendovi completamente alla sua percezione, sorgerà la luce. Lei deve capire che per «arrendersi» io non intendo un'accettazione di tipo fatalistico o una specie di sacrificio psicologico. Il vero arrendersi è liberarsi di ogni idea e permettere alla percezione - in questo caso alla sofferenza - di venirvi incontro nella vostra apertura. Vedrete allora che essa non scivola via, come nel caso dell’accettazione di tipo psicologico - dove l'energia fissatasi come sofferenza viene semplicemente trasferita in un'altra area - ma arriva a fiorire nella vostra piena attenzione. La percepirete allora come energia libera, un'energia che si era prima incapsulata. Questo «arrendersi» non è uno stato passivo. Esso è insieme passivo e attivo, passivo nel senso del «lasciar andare» tipico del «pover'uomo» di Mastro Eckhart, e attivo dal punto di vista di una costante vigilanza.

Posso chiederle se ha praticato lo yoga per arrivare a livelli più profondi di resa e di vigilanza?

La parola «praticare» sottintende generalmente un'abitudine. Dobbiamo adoperarla soltanto nel senso di diventare sempre più consapevoli del corpo e del mentale. Dobbiamo osservare che il corpo è un campo di paure, ansietà, difese e aggressioni. L'enfasi, tuttavia, non deve essere posta sul corpo, ma sulla presenza, sull'ascoltare. Ciò che importa è familiarizzarsi con il campo delle tensioni e vedere che l'immagine dell'Io, che interferisce costantemente, non è separata da questo campo, anzi, gli appartiene. Quando questo è chiaro, la tensione non trova più complicità, la percezione è libera, l'energia si integra nella totalità. L'approccio tradizionale avviene attraverso l'ascolto del corpo, non tramite il suo asservimento. Dominare il corpo è una violenza. Ma uno può stringere un bullone o lavare i piatti ed essere in ascolto. Non c'è differenza.

L'esplorazione del corpo mi condusse così a livelli sempre più profondi di rilassamento, e questo rilassamento portò all'estinzione degli schemi ripetitivi sia rispetto al corpo che al mentale. Nell'accogliere il corpo, nel dargli il benvenuto, divenni sempre più consapevole della percezione del «lasciare la presa», e in tal modo lo yoga partecipò al presentimento della realtà. Ma esso mi condusse soltanto alla soglia in cui smisi di enfatizzare l’oggetto, il corpo, per lasciare affiorare l'ultimo soggetto. Lo yoga vi conduce a una specie di attenzione, alla tranquillità, e un corpo tranquillo riflette una mente tranquilla. Ma naturalmente potete arrivare ad un corpo e ad un mentale pacificati anche senza lo yoga!

Se lo yoga non è in se stesso un insegnamento, che cosa è?

L'insegnamento punta direttamente verso ciò che non è insegnabile. Le parole, le azioni, sono stampelle, e questo supporto perde gradatamente la sua concretezza, finché un giorno trovate voi stessi in un non-stato che non può essere pensato. Le formulazioni sono simboli, indicazioni, e finalmente non si vede più il simbolo, ma ciò a cui il simbolo punta.

Come cambiò la sua vita, quando l'insegnamento perse per lei la sua concretezza e si produsse lo spostamento dell’accento dall'oggetto-simbolo al soggetto?

Avendo perso la loro concretezza, gli antichi schemi del pensiero e dell'azione - relativi alla falsa identificazione con il corpo - non ebbero più presa. Si produsse quella riduzione della dispersione in orientamento di cui ho parlato prima, e si rafforzò il presentimento della verità. Esso divenne sempre più vivo e meno concettuale. Questo «essere comprensione» diede alla mia vita una nuova direzione. Ogni cosa era percepita in modo nuovo. Divenni meglio capace di discernere e, benché non compissi dei mutamenti volontari, scomparvero dalla scena molte delle cose che in precedenza avevano occupato un posto nella mia esistenza. Ero stato attirato da nomi e forme, avevo lottato per appropriarmene, ma con il nuovo orientamento delle energie si stabilì un altro ordine di valori. Non interpreti questo come adozione di un nuovo tipo di moralità. Nulla era stato aggiunto o tolto. Semplicemente divenni consapevole della «chiarezza», sattva, e da questa consapevolezza sgorgò naturalmente una trasformazione.

Il mio maestro mi spiegò che questa luce, che sembrava provenire dall'esterno, era in realtà la luce riflessa dal Sé. Nelle mie meditazioni io ero visitato da questa luce e ne ero attirato; essa mi dava una più grande chiarezza nell'azione, nel pensare e nel sentire. Il mio modo di ascoltare divenne incondizionato, libero del passato e dal futuro. Questo ascolto non condizionato mi condusse a un'attenzione recettiva, e assumendo familiarità con questa attenzione mi trovai libero da ogni aspettativa, da ogni volizione. Mi sentii stabilito in questa attenzione, un completo aprirsi alla consapevolezza.

Un mutamento improvviso accadde una sera sul lungomare di Bombay. Stavo guardando gli uccelli volare, senza formulare un pensiero o un'interpretazione, quando fui completamente preso da essi e avvertii che ogni cosa stava accadendo dentro di me. In quel momento conobbi me stesso consapevolmente. La mattina successiva seppi, di fronte alla molteplicità della vita quotidiana, che «essere comprensione» si era determinato. L'auto-immagine si era totalmente dissolta, e libero dal conflitto e dall'interferenza dell’immagine dell'io, tutto ciò che accadeva apparteneva all'essere consapevolezza, alla totalità. La vita scorreva senza essere attraversata dalle correnti dell’ego. La memoria psicologica, il piacere e il dispiacere, l’attrazione e la repulsione, erano svaniti. La presenza costante, che chiamiamo il Sé, era libera da ripetizione, memoria, giudizio, comparazione e valutazione. Il centro del mio essere era stato proiettato spontaneamente fuori dal tempo e dallo spazio in una calma senza tempo. In questo non-stato dell'essere la separazione tra «tu» e «io» svaniva completamente. Nulla appariva fuori. Ogni cosa faceva parte di me, ma io non ero in essa. C'era soltanto l'unità.

Conobbi me stesso nell'accadimento presente, non come un concetto, ma come un essere senza localizzazioni nel tempo e nello spazio. In questo non-stato c'era libertà, piena gioia senza oggetto. C'era puro ringraziamento, senza un oggetto di cui ringraziare.

Non era un sentimento affettivo, ma una libertà da ogni affettività, una freddezza prossima al calore. Il mio maestro mi aveva offerto la comprensione di tutto ciò, ma ora io ero diventato una vivida ed integrata verità.


 

IL CHIARO SPAZIO DELLA TESTIMONIANZA

(Nuovo Messico, agosto 1980)

 

Che cosa posso fare per diventare più recettivo all'ultima realtà?

Non esiste un sistema, un metodo o una tecnica grazie ai quali avvicinarsi alla realtà. Essa rivela se stessa là dove ogni tecnica e ogni sistema falliscono, là dove si vede la futilità del volere. Allora la mente entra in uno stato di resa innocente.

Le tecniche servono soltanto a rendere la mente più affilata e ingegnosa: ma voi restate nelle sue reti, e per quanto possiate avere l'impressione di una trasformazione, di fatto state sempre giocando i vecchi giochi. È un circolo vizioso.

La libertà, l'umiltà e l'amore appaiono in modo istantaneo, mai come un raggiungimento. La mente, il processo mentale, si manifesta in termini di spazio e tempo. Ma la consapevolezza silenziosa non è condizionata né dallo spazio né dal tempo. Perciò un mentale limitato non potrà mai raggiungere l'assoluto grazie alla propria espansione. Ogni sforzo di questo tipo conduce soltanto al rafforzamento dell’ego.

Se voi fate attenzione mentre parliamo, in questo stato reale di attenzione la vostra mente compie una trasformazione. La cosa importante è l’atto dell'ascoltare, l'osservazione della vostra reazione a queste parole. Il vero ascolto coinvolge tutto il vostro essere, e in esso tutti i legami dell'ego si dissolvono. La mente entra allora in uno stato di grande vigilanza.

Quanto alla sua domanda in particolare, ogni metodo e ogni tecnica comportano una specializzazione e una localizzazione. Ma questo focalizzarsi su una parte non potrà mai condurla al tutto. Più lei si specializza, più il suo campo visivo si avvicina, ma la causa di base del conflitto psichico non viene rimossa. La tranquillità ottenuta attraverso le tecniche è soltanto una cosa di superficie, mentre persiste la causa più profonda del conflitto.

Come posso rendere la mia mente libera dal condizionamento?

La mente è funzione, energia in movimento. è un ascensore a diversi livelli di consapevolezza di esperienze passate, individuali e collettive. Senza memoria non c'è mente, perché i pensieri sono suoni, parole e simboli che appaiono nella memoria. La memoria stessa è condizionata, essendo basata sulla struttura piacere-pena: ogni piacere viene conservato, e tutto ciò che è spiacevole, penoso, viene relegato nella sfera dell'inconscio.

La funzione di base dell'organismo umano è la sopravvivenza. La sopravvivenza biologica è un istinto naturale, ma quella psicologica, finché essa è semplice sopravvivenza di una psiche centrata sul «me», è fonte di conflitto. Quello che noi generalmente chiamiamo «imparare» è un'appropriazione condizionata della sopravvivenza psicologica. La mente condizionata non può trasformarsi grazie al suo stesso sforzo, o ad un sistema basato su se stessa.

Allora come può verificarsi questa trasformazione, questa integrazione?

La mente deve pervenire ad uno stadio di silenzio, completamente vuota di paura, di desiderio e di ogni immagine. Questo non può essere ottenuto tramite la soppressione, ma con l'osservazione di ogni sensazione e pensiero che intervengano, senza qualificazione, condanna, giudizio o comparazione. Se è all’opera un’attenzione non motivata, il censore deve sparire.

Deve semplicemente essere presente uno sguardo tranquillo, rivolto a ciò che la mente compone. Scoprendo i fatti così come essi sono, l'agitazione si elimina, il movimento dei pensieri rallenta e possiamo osservare ogni pensiero, la sua causa e la formazione del suo contenuto. Diventiamo coscienti di ogni pensiero nella sua completezza, e in questa totalità non può esservi conflitto. Perciò rimane soltanto l'attenzione, soltanto un silenzio in cui non sussistono l'osservare e la cosa osservata.

Non forzate la vostra mente, guardate soltanto i suoi movimenti come se osservaste degli uccelli che volano. In questo sguardo sereno, tutte le vostre esperienze vengono a galla e si rivelano. Perché uno sguardo non motivato, non condizionato, non soltanto genera una grande energia, ma libera tutte le tensioni, ai vari livelli di inibizione. Allora vedete tutto ciò che siete, voi stessi.

Osservare ogni cosa con un'attenzione piena diventa uno stile di vita, un ritorno al vostro essere originale, naturalmente meditativo.

Come posso agire in modo da non creare altre reazioni, altro karma?

Finché amore e gentilezza saranno nel suo cuore, lei possiederà l'intelligenza atta a conoscere che cosa fare, quando e come agire. Quando la mente vede le sue limitazioni, i limiti dell'intelletto, nascono un'umiltà e un'innocenza che non sono oggetti di coltivazione, accumulazione o apprendimento, ma il risultato di una comprensione istantanea. Quando vede la sua impotenza, la sua debolezza, e nulla sta reagendo, allora arriva a un momento di resa, a una sosta silenziosa nella quale si trova in comunione con il silenzio, con l'ultima verità.

È questa realtà a trasformare la mente, e non uno sforzo o una decisione.

Sento di conoscere me stesso come qualcosa. Ho una certa consapevolezza delle mie forze psichiche e della mia debolezza, e sono consapevole anche della mancanza di una soddisfazione perfetta, altrimenti non sarei qui. C'è qualcosa che posso fare?

Se si osserva, vedrà che esercita una violenza sulla sua percezione. Lei interferisce costantemente, cercando di controllarla, di dirigerla. Il controllore appartiene a ciò che è controllato; entrambi sono oggetti, e un oggetto non può conoscerne un altro. Perciò lei deve lasciare che la percezione si riveli sempre di più, renderla completamente libera. Se le consente di manifestarsi, di aprirsi, essa la ricondurrà presto o tardi verso se stesso. Permetta al «lasciare la presa» di rivelare se stesso e sparirà il dinamismo del produrre.

Che cosa posso imparare dal conflitto?

Si renda conto che, sia nell'accettare che nel rifiutare, lei è condizionato, perché non vi è nulla da accettare o da rifiutare, (In un ascolto totale, in un'attenzione senza memoria, non vi è conflitto. Vi è soltanto il guardare. In un ascolto silenzioso, ciò che è detto, ciò che è udito e ciò che sorge come risposta e reazione, sono situati dentro il suo sé. Questa percezione della loro totalità, del loro tutto, è attenzione vera, e in essa non vi sono ne problemi ne condizionamenti. Vi è semplice libertà.

Che cosa intende quando dice che non vi è un attore nel fare, nel dire o nell’ascoltare?

In un’azione che sgorga dalla completezza non vi è un attore che agisce, vi è soltanto l'azione. Lei sta funzionando, e l'«io» è assente. Nel momento in cui il pensiero dell'io si forma, lei diventa cosciente di se stesso e cade nel conflitto. In assenza di questo pensiero non vi è colui che parla ne colui che ascolta, non vi è un soggetto che controlla un oggetto. Soltanto allora sussiste una completa armonia e in ogni circostanza si manifesta un'adeguatezza.

Qual è il posto dell'intelletto in un ascolto non condizionato?

L'intelletto è una difesa contro qualcosa che rifiuta o accetta. Una volta che ha visto, fuori della totalità, la verità di qualcosa, non c'è modo di sfuggirle. Lei vive con essa. Con questa comprensione completa, la mente non può schivare il cambiamento e la trasformazione si compie. Quando l'intelletto è assente, vi è un'attenzione totale; ascoltare e parlare possono apparire spontaneamente, ma essi sgorgano dalla realtà. Non vi è più una mente che produce. In un'attenzione silenziosa la mente è completamente vuota, perciò ciò che viene udito penetra profondamente. In uno stato di rifiuto o di accettazione esiste soltanto un gioco che si fa con le parole, con la memoria, con l'intelletto. Mentre in uno stato di ascolto silente non vi è neppure posto per il giusto e lo sbagliato, per la compensazione o la conclusione. Attraverso la conoscenza intuitiva, essi sono o non sono entrambi diventati conoscenza.

Diventi consapevole dei processi della sua mente e del suo corpo e comincerà a capire se stesso. Non c'è alcuna differenza tra comprendere se stessi e comprendere l'intero universo. La sua percezione apre completamente se stessa alla pienezza della realtà.

Si può «pensare» l'esperienza della realtà?

Un'esperienza accade. Non può essere pensata. Pensare non è un'esperienza diretta ma un inseguimento e una ripetizione della sensazione. In un'esperienza reale lo sperimentatore è totalmente assorbito nell'esperienza: essi sono una cosa sola, non c'è spazio per la memoria ne per l'identificazione. E una non esperienza perché non c'è nessuno che sperimenta alcunché.

In un campo come quello della tecnologia l'accumulazione delle esperienze è necessaria e non conduce ad un conflitto. Ma sul piano psicologico, che si articola sul binomio piacere-dispiacere, l'accumulazione delle esperienze rafforza l'ego e nega la possibilità dell'esperienza reale: la non-esperienza.

Il culmine maturo di un'esperienza è la libertà dell'uno, di quell'uno in cui non sussistono soggetto e oggetto. Non si tratta delT unità dell'esperienza mistica, che è ancora uno stato nel quale si entra e dal quale si esce. La vera esperienza non è una ricerca di piacere, a nessun livello, perché la soddisfazione è una sensazione che non è stata pienamente riassorbita. E ciò che rimane di un'esperienza incompleta, una ripetizione delle proiezioni della memoria. La mente allora si annoia e va alla ricerca di nuove esperienze.

Nella vera non-esperienza non ci sono residui. Essa ci riconduce in ogni istante alla nostra natura senza tempo.

Come posso liberarmi dal tedio che avverto sovente?

Se noi viviamo superficialmente e ce ne rendiamo conto, diventiamo consapevoli di un profondo senso di sconforto che può apparirci come tedio. Ci accorgiamo di andare da una compensazione ali'altra. Guardate questi momenti di tedio. Percepiteli veramente, senza giustificazioni e concettualizzazioni. Dovete dare via libera alla percezione, lasciare che essa si dispieghi nella vostra consapevolezza. Allora ha luogo una trasformazione ad ogni livello. Tutta l'energia che era dispersa e localizzata in abitudini che si erano fissate, diviene libera, viene riorchestrata. Ogni circostanza sollecita una riarmonizzazione dell'energia ed essa si adegua perfettamente alla situazione.

Nella completa riorchestrazione che ha luogo, l'energia che prima era stata dissipata in una dimensione psicologica «ritorna» e svanisce nella nostra presenza senza tempo.

Lei dice che quando viviamo liberi dalla relazione soggetto-oggetto viviamo fuori del tempo. Ma i nostri corpi appaiono e scompaiono, il sole nasce e tramonta, perciò in definitiva non siamo forse legati al tempo?

Lei ha chiaramente presente che cosa intende per «tempo»? Il fatto è che l’uomo sta sempre creando il tempo. Il tempo psicologico è pensiero basato sulla memoria. Esso è essenzialmente il passato, e noi riviviamo costantemente il passato attraverso il pensiero. Infatti ciò che chiamiamo futuro è soltanto un passato modificato. Il tempo psicologico non è mai nel presente, e ? nel? adesso, ma va come un pendolo in costante movimento dal passato al presente, in rapida successione. Esso esiste soltanto sul piano orizzontale dell’avere-diventare, piacere-dispiacere, attrazione-repulsione, sicurezza-insicurezza. Esso è la fonte della miseria e del conflitto.

La comprensione del tempo e dello spazio psicologico è la via verso la meditazione e la vera vita. Anche il tempo cronologico, astronomico, è basato sulla memoria, tuttavia si tratta di una memoria puramente funzionale, libera dall’intervento dell’ego, della volontà. È essenzialmente presente. Gli eventi procedono in successione ordinata, e poiché non si registra un movimento tra il cosiddetto passato e il futuro, non vi è conflitto.

La vita è presente, ma quando pensiamo lo facciamo in termini di passato e di futuro. Vivere nell’adesso implica una mente libera da un fine da raggiungere e dalla tendenza a ricapitolare, libera dall'afferrare e dal lottare.

Nel presente non vi è pensiero; i pensieri sono fusi in un tutto. La vita nell'istante contiene ogni possibile accadimento, così che non vi è posto per il tempo. Tutto può essere così riassunto: il tempo è pensiero e il pensiero appare nel tempo. La bellezza e la gioia si rivelano soltanto nell'adesso.

Lei dice spesso che l’azione giusta non è una questione di moralità ma nasce naturalmente dalla spontaneità. Come posso pervenire a questa spontaneità?

La spontaneità proviene dall'ascolto e ha come risultato la comprensione. In un ascolto non condizionato, che è silenzio, libertà da ogni agitazione e concetto, la situazione viene vista nella sua interezza ed è da questo sguardo globale che sgorga l'azione spontanea, appropriata.

è ovvio che un'azione che nasca da un pensiero consapevole non può essere spontanea. E altrettanto vero, ma meno ovvio, che neppure le azioni che provengono dall'abitudine, dall'inclinazione o dall’istinto possono essere spontanee. Perché l'abitudine e l'istinto sono condizionati, automatici e meccanici, e le azioni che provengono da un'inclinazione sono motivate dalla giustificazione, dalla razionalizzazione e dal conflitto. Esse sono tutte guidate da pensieri inconsci. Infatti possiamo chiamare «azione» soltanto quella che sgorga davvero dalla spontaneità. Tutto il resto non è libero da interferenze e perciò lo dobbiamo definire «reazione».

Per scoprire la spontaneità, il pensiero conscio e quello inconscio devono estinguersi. Devono cessare tutte le proiezioni dell'intelletto, se una spontaneità creativa deve essere all'opera. Lo sforzo intellettuale e il coltivare il potere della volontà non sono di alcuna utilità per integrare la spontaneità. La mente deve farsi umile, sensitiva, libera da ogni violenza, orgoglio e cupidigia. Allora soltanto la vera intelligenza può entrare in funzione.

Quando, attraverso l’osservazione e l'ascolto, l'intelletto diventa silenzioso, la natura basale, profonda, della mente subisce una trasformazione. Essa raggiunge gli impulsi e i movimenti più oscuri e segreti della nostra vita animale. L'intelletto diventa capace di pensare con chiarezza nella luce di un'intelligenza che integra tutti i movimenti della vita: nasce così un nuovo bellissimo essere umano.

La vita è vivere spontaneamente, senza essere toccati dal tempo.

Che cosa pensa della morale sociale convenzionale?

Quando lei consente al Supremo di prendersi carico di lei, la spontaneità è virtuosa e va oltre la moralità sociale e convenzionale.

Posso essere attivo nel silenzio?

Il silenzio è il nostro stato naturale. È la tela di fondo di ogni cosa. Non è necessaria alcuna concentrazione per essere silenzio. Finché siamo coinvolti nella percezione viviamo nel tempo, cioè viviamo soltanto su un piano orizzontale. Ma il silenzio è senza tempo. Esso è nel centro in cui il tempo e il non-tempo si incontrano, dove l'asse orizzontale e quello verticale della vita diventano uno. Questo punto è il cuore.

Di solito nel nostro coinvolgimento con gli oggetti noi non percepiamo le cose come esse sono realmente, ma vediamo soltanto le proiezioni dell'ego. Fino a quando le nostre percezioni non possono fiorire nel silenzio, in assenza di ego, non possiamo veramente conoscere la realtà. Vedete questo fiore? Lasciate che esso venga verso di voi nella sua pienezza senza sovrapporgli la vostra mente. L'osservazione reale è multidimen- sionale. Voi vedete, gustate, udite, toccate, provate, con tutto il vostro essere, globalmente. Il vero vedere è una recettività attenta, una passività attiva. In questa osservazione può apparire un oggetto, ma non si è diretti verso di esso.

Come dovrei pensare alla morte, e come far fronte all'esperienza della morte?

Il pensiero appare nel silenzio e svanisce nel silenzio. Qualcosa che appare in qualcosa e che svanisce in qualcosa non è altro che quel qualcosa.

Allo stesso modo quello che lei pensa di essere appare e svanisce nel silenzio. Quello che intende come morte non è altro in realtà che un indicatore del silenzio, della vita stessa. La morte non ha realtà. Ma se non guarda le cose in questa prospettiva, allora l'idea della morte resta un'idea stagnante in cui si invischia. Finché si prenderà per un essere separato, per un'entità indipendente, sarà sottomesso alle leggi del karma. Proviamo a dirlo in altro modo: prima di parlare della morte, chieda a se stesso che cosa è la vita. Ogni percezione è, soltanto in quanto lei è eterno essere presente. Questa è la tela di fondo comune allo stato di veglia, di sogno e di sonno profondo. Nella conoscenza che vive, nel suo essere nel presente, il problema della morte non ha significato.


 

L’ARTE DELL'ASCOLTO

(Svizzera, novembre 1981)

 

Si richiede uno sforzo, su questo sentiero? Personalmente trovo che ho sempre meno energia per fare uno sforzo in una qualsiasi direzione.

Lei non può fare uno sforzo senza una tensione. Ma perché fare uno sforzo? Soltanto perché lei mira ad un risultato, a qualcosa che è fuori di lei. Ma quando sa veramente che quello che cerca è la sua vera natura, allora si libera dall’impulso di sforzarsi. Prima di tutto osservi dunque che lei sta costantemente facendo uno sforzo. Quando lei sarà consapevole di questo processo, si troverà fuori di esso. E potrà arrivare alla percezione originale di essere lei stesso davvero silenzio.

Ma questo vedere non richiede nessuno sforzo?

No. Questo vedere è il vostro stato naturale. Siate soltanto consapevoli del fatto che non vedete. Diventate più consapevoli del fatto di essere continuamente in reazione. Vedere non richiede sforzo, perché la vostra natura è vedere, essere silenzio. Quando non cercate più un risultato, non cercate di criticare, di valutare o di concludere, ma osservate soltanto, allora potete percepire questa reazione e non esserne più complici.

Nel corso della posizione, quando ha luogo il processo di svuotamento, viene questo pensiero: «Questo è soltanto un pensiero». Ma il pensiero «questo è soltanto un pensiero», è anch'esso un pensiero, non è così?

Sì, assolutamente. Vedere non è in se stesso un pensiero, ma all'inizio conosciamo il vedere soltanto come percezione di oggetti. Più tardi si arriva al puro vedere senza un oggetto. Allora c'è la percezione interiore che si è questo puro vedere, e che tutto ciò che è visto appare dentro di voi. In quel momento vedere non è più toccato da ciò che è visto.

Focalizzare l'attenzione su qualcosa genera tensione. Per quanto possano esserci dei momenti di distacco, per la maggior parte del tempo siete coinvolti in ciò che state vedendo. Ma attraverso il processo dell'osservare qualcosa, potete arrivare al puro vedere, senza oggetto. Date al vedere una libertà totale, senza cercare di controllarlo. E poiché ciò che è visto è energia proiettata sopra un'apparenza in colui che vede, quando ciò che è visto è libero da una localizzazione esso ritorna indietro verso colui che vede e si dissolve in lui, poiché il veduto è discontinuo mentre colui che vede è continuo. L'ultimo percipiente è trovato attraverso questa relazione tra colui che vede e il veduto.

Normalmente noi conosciamo colui che vede soltanto attraverso il veduto. Nei momenti di puro vedere diciamo che non vi è nulla, perché conosciamo noi stessi soltanto nella relazione soggetto-oggetto. Ma quando siamo convinti che dietro il veduto vi è colui che vede e che il veduto appare in lui, allora non mettiamo più l'accento su ciò che è visto ma su colui che vede.

Questo non rappresenta forse un traguardo per chi non lo ha mai sperimentato? Io non ho mai veduto senza un oggetto o senza proiettare la mia stessa immagine su di un oggetto, ma io credo che ci sia un modo di vedere in cui io non vedo soltanto le immagini create dalla mente... E allora...

Trasferirsi dietro la mente? Tuttavia lei conosce delle occasioni, nella sua vita, in cui vi è puro vedere senza che vi sia nulla da vedere. Per esempio, lei ha un problema. Quando lei lo penetra, viene un momento in cui esso è completamente risolto. Allora vi è una completa soddisfazione, senza alcun desiderio di aggiungere o di sottrarre qualcosa. Quando un desiderio è realizzato, lei arriva ad uno stato di completo non-desiderio in cui non sono presenti ne il soggetto che desidera ne l'oggetto desiderato. Lei può persino dire che vi è felicità, perché lei è la felicità. Ma dopo aver vissuto tutto ciò, osservi come l'ego si presenti a reclamare e ad oggettivare il momento, volgendolo in una sorta di caricatura alla maniera di un pagliaccio di circo, che solleciti le ovazioni del pubblico sebbene egli non sia stato affatto l’attore principale.

Vuol dirci qualcosa ancora del pensiero come difesa?

Naturalmente quando ho detto ciò l'ho fatto a ragion veduta. Arriva il momento in cui lei può vedere che prima del pensiero vi è una pulsazione, e la potenzialità del pensiero è già presente in essa. La pulsazione forza il cervello e lei istintivamente cerca il simbolo, la formulazione.

Questa pulsazione può placare se stessa prima di diventare pensiero?

Sì, se lei è molto attento può arrestare la pulsazione. Percepirla prima che diventi pensiero riduce le vibrazioni del cervello e acquieta in tal modo l'agitazione mentale e fisica.

Dovremmo saper vedere che entrambi, il fare e il non fare, sono ancora un fare. Il processo dell'avere e diventare cessa soltanto quando ci poniamo in ascolto, perché la nostra vera natura è l'ascolto. Lo stato di veglia, quello di sogno e quello di sonno sono sovrapposizioni al puro ascolto. Quest'ultimo non ha riferimenti ad un ascoltatore o a qualcosa di udito. Tutti gli stati appaiono nell'ascolto. Perciò più lei è presente ali ascolto più si manifesta un lasciare la presa rispetto al fare e al non fare.

Normalmente quando parliamo di ascolto intendiamo riferirci al fatto di essere attenti a qualcosa di particolare. Ma quando parlo di questo, intendo un ascolto che si riferisce soltanto a se stesso. È come qualcuno che le chieda: «Che cos’hai in bocca?» Lei risponde: «Nulla», ma in realtà ha in bocca il gusto della bocca Può non esservi né sale né zucchero in essa, ma il gusto della sua bocca è presente. Il puro ascolto ha il suo proprio gusto.

Qualche volta io ascolto il suo discorso, ma successivamente non riesco a ricordare una cosa che lei ha detto.

Quando lei ascolta senza memorizzare o concludere, non può ricordare. Il discorso ritorna verso di lei, ma non attraverso il processo usale della memoria. Se lei cerca di ritenerlo, che cosa afferra? Soltanto le parole, la formulazione, e allora ascolta attraverso il velo di ciò che è già conosciuto, attraverso il paragone con il passato. Lei invece deve diventare innocente nel suo ascolto.

Quando lei ascolta senza abbozzare conclusioni, ad un certo punto quello che stava dietro l'ascolto salta su, forse già il giorno dopo o dopo un mese o sei mesi, ma questo saltar su non è dovuto ad alcuno sforzo inteso ad afferrarlo. Nel processo della memorizzazione il vero sapore si perde.

Ci sono cose che lei dice che mi scuotono in modo particolare e restano piantate nella mia mente. Per esempio qualche giorno fa lei ha detto: «Cessate di eliminare: rendetevi conto che state costruendo tutto il tempo». Quest'osservazione continua a tornarmi alla mente.

Eppure lei non ha fatto alcuno sforzo per ricordarlo. è la frase a venire verso di lei.

In realtà possiamo ricordare così poco in modo consapevole. Pensi a tutte le esperienze che ha compiuto durante la sua vita e a come siano poche quelle che ancora ricorda. Lei ha persino dimenticato la sensazione avuta stamane al risveglio, quello che ha mangiato ieri, persino ciò che ha pensato alle tre di oggi pomeriggio.

Quando la vibrazione del cervello diminuisce, è possibile ricordare cose che erano state dimenticate dalla memoria ordinaria. Ad una frequenza molto bassa, l'individuo può anche ritornare ad un'incarnazione precedente. Ma questi tipi di esperienza sono più o meno delle distrazioni, modi di dare sostegno all’idea della persona. Perché nonostante la riduzione della frequenza del cervello continuiamo ad identificarci con l'ego. D'altra parte la tensione sorge ancora quando uno ha realizzato il Sé. Ma colui che vive coscientemente nel Sé è fuori dal processo del divenire, così il suo cervello e le funzioni del suo corpo sono molto diverse da quelle proprie della persona che non ha realizzato il Sé.

Allora i suoi sensi funzionano in modo diverso?

In genere tutti i nostri sensi funzionano attraverso il meccanismo dell’afferrare. La mente proietta qualcosa all'esterno da afferrare con i sensi. In realtà fuori non vi è altro che la nostra consapevolezza.

All’inizio, quando vediamo un uccello, vi è pura percezione Successivamente lo concettualizziamo. Nel momento in cui vi e la concettualizzazione la percezione non è più presente, giacché il concetto e il percetto non possono sussistere simultaneamente.

Se lei lascia cadere il concetto, che cosa resta? La sua identità con l'uccello. Ma questa identità non è un'immagine mentale di unità. è un'esperienza globale.

E nel momento dell'unità lei è una sola cosa con ogni cosa, non è così? O è uno soltanto con l'uccello e non con tutto il resto?

Lei è soltanto essere. Quando lascia la presa, lascia il nome e la forma dell’uomo che vede. Che cosa resta? Il vero uomo appare, e in esso il suo essere uno. Nell’istante in cui lascia cadere la forma, lascia andare il corpo. Quando lascia il nome, lascia cadere la mente. Così resta soltanto l'essere, e l'essere è indivisibile. Esso è la corrente della quale abbiamo parlato prima. Quando questa corrente è presente non vi è più fissazione né ripetizione, soltanto il flusso e lo scorrere della corrente.

  

 


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