Hari Prasad Shastri
La meditazione: teoria e pratica

 


 

INDICE

 

Prefazione

PARTE PRIMA
TEORIA DELLA MEDITAZIONE

IL FINE DELLA MEDITAZIONE
Che cos’è la meditazione
- Meditazione e vita - Bellezza e Verità - Ragione, intuizione, visione

I PRINCIPI DELLA MEDITAZIONE
Forza fisica, mentale e spirituale
- Caratteristiche e natura della mente - Vuotare la mente - Dominio dei sensi

PARTE SECONDA
PRATICA DELLA MEDITAZIONE

MEDITAZIONE ELEMENTARE
Esercizi preliminari - Come meditare - Temi di meditazione - Altri esercizi di meditazione

MEDITAZIONE AVANZATA
Ascesi (tapas) - Studio (svâdhyâya) - Abbandono di sé (Îshvara-pranidhâna) - Posizione del corpo (âsana) - Ritiro dei sensi (pratyâhâra) - Concentrazione (dhâranâ) - Dhyâna - Samâdhi - Meditazione sul processo del pensiero - Meditazione sul Sé - Samâdhi sopracosciente - Conclusione

APPENDICE 1 - LE POSTURE MEDITATIVE

APPENDICE 2 - SEZIONE ANTOLOGICA

 


 

PASSI SCELTI

  

IL FINE DELLA MEDITAZIONE

"Prendere coscienza di Dio è lo scopo e la meta della vita: la perfezione, una pace e una libertà senza limiti sono i suoi frutti. Una volta che si è pervenuti alla consapevolezza di Dio non vi è caduta da questo eccelso stato di coscienza. Non c'è guadagno più grande di questo."

Srî Mangalanâthajî

 

Che cos'è la meditazione

"Meditare" significa, negli stadi preliminari e più bassi, applicare la forza del pensiero in maniera cosciente, produrre armonia all'interno e all'esterno, ottenere il controllo della mente e delle emozioni, fare sbocciare la facoltà dell'intuizione o buddhi.

Le nostre menti individuali, condizionate dai nostri corpi, non sono che piccoli frammenti della Mente divina o cosmica, e hanno la capacità di ricevere dalla Mente cosmica tutto ciò di cui necessitano per la loro crescita armoniosa. La meditazione ha perciò uno scopo spirituale. L'obbiettivo reale è acquisire la conoscenza della verità e di quella illuminazione spirituale che non riconosce separazione, colma l'individuo di pace e lo ispira a trasmettere agli altri la medesima luce. La meditazione conduce infine al conseguimento della completa libertà dalle limitazioni e alla consapevolezza che Dio è il nostro stesso Sé o âtman. Questa consapevolezza è la condizione naturale del Sé. La condizione normale di ogni individuo o anima è la perfezione in Dio: è questa la meta di ogni evoluzione e progresso.

La meditazione, dunque, non crea la perfezione: essa consente alla perfezione di sbocciare, rimuovendo gli ostacoli che si frappongono alla sua realizzazione. Questo è un punto molto importante, che non deve mai essere dimenticato.

 

Meditazione e vita

Nell'introdurre il lettore alla scienza della meditazione - poiché essa è una scienza - occorre spiegare in primo luogo quali sono le fondamenta sopra le quali si regge. La meditazione non può essere isolata dal posto che occupa nell'àmbito dello Yoga spirituale, ed è necessario afferrare i principi fondamentali dello Yoga se si vuole applicarli con successo nella vita quotidiana. È quindi impossibile evitare qualche digressione nel campo della metafisica.

Crescita e attività sono le principali caratteristiche della vita, tanto sul piano fisico quanto su quello spirituale. La ricerca di nutrimento da parte dell'ameba è fondamentalmente lo stesso stimolo che spinge l'uomo a cercare la verità, sebbene rivolto ad un àmbito diverso, e operante ad un livello inferiore di consapevolezza. Quando la forza vitale è diretta all'esterno, essa assume la forma di attività fìsica: quando però la stessa facoltà si rivolge all'interno, verso la sua sorgente, allora la vita diviene un'attività emozionale, intellettuale e spirituale. Anche l'atto più sciocco ha in sé qualcosa di spirituale (il suo aspetto mentale, sottile), e un'azione spirituale può apparire sciocca, perché viviamo nel medesimo tempo su questi due piani di consapevolezza.

L'uomo è perciò un essere anfibio. Egli trae la propria ispirazione e i propri valori dall'aspetto contemplativo, introspettivo, della sua vita e dà loro forma nel mondo oggettivo. Per avere un corretto atteggiamento verso la vita ogni uomo dovrebbe essere soggettivo per parte del suo tempo. Scendendo sempre più in profondità dentro la propria anima, egli dovrebbe scoprire i valori reali della vita e, sulla base di questi valori, dovrebbe creare qualcosa di tangibile nel mondo oggettivo.

Nella meditazione noi cerchiamo di penetrare all'interno della Causa, perfino quella che è talvolta chiamata “Causa senza cause". Proprio come un fiume è più puro alla sorgente che a metà del suo corso o alla foce, così il processo della meditazione si fa sempre più puro a mano a mano che ritorniamo alla sorgente spirituale. La meditazione inizia quando la mente fa uno sforzo coraggioso e deciso per entrare in contatto con la luce di verità che è latente dentro di essa.

Neppure i materialisti possono disconoscere il potere che ha la mente di ricevere ispirazione, perché la prova citata a sostegno di ciò da William James e altri è schiacciante. Virgilio fu il poeta i cui versi ispirati guidarono l’imperatore Augusto nella diffusione dello spirito della pace in ogni parte del suo impero: eppure era stato un fanciullo di origini contadine e privo di istruzione.

La mente richiede un'ispirazione quotidiana. Il concetto che sta dietro la parola “ispirazione" è “qualcosa insufflato dall'alto", non dal cielo fisico, bensì infuso in maniera trascendente nella mente dell'uomo: qualcosa di buono, bello e vero, capace di guidare ogni individuo nel suo cammino di vita. “Ispirazione" non significa soltanto qualcosa che ci conferisce l'abilità di inventare un nuovo genere di automobile: questa è la forma più bassa di ispirazione, se pure la si può chiamare ispirazione. La vera ispirazione giunge come un pensiero di potenza che può rivoluzionare la società e ribaltare quelle istituzioni che non sono fondate sul bene universale.

Per conoscere la divina Verità è necessario praticare l'auto-dominio e l'abnegazione nella nostra vita quotidiana. Non possiamo ignorare l'aspetto etico della vita e praticare soltanto la riflessione e la meditazione. Se lo facciamo, non conquisteremo mai quella pace e quella serenità interiori che donano non necessariamente una vita di gioia, bensì la gioia nella vita: una gioia che ci rende capaci di dimostrare la verità, qualunque cosa ci accada. Se vale la pena di raggiungere questo ideale di pace spirituale (shânti) allora non dobbiamo trascurare i nostri doveri etici.

La concentrazione dovrebbe essere accompagnata da un sentimento di resa o di rinuncia. Perfino nell'amore fisico, quando un amante è davvero in sintonia con l'oggetto del suo amore, non solo acquista concentrazione, ma - se è fortunato - dà il meglio di sé, spiritualmente, all'oggetto del suo amore. Molto dipende dall'oggetto d'amore. Romeo amava Giulietta: era “concentrato" su di lei e desiderava rinunciare perfino alla propria vita per lei. Rimase però ciò che era, non diventò né un filosofo né un saggio, e neppure fece del bene ad altri. Forse, dopo la sua morte, acquisì una certa prossimità all'oggetto del suo amore, ma non la deificazione dell'anima, e neppure un lampo di illuminazione spirituale.

Un altro punto da ricordare è che nulla dovrebbe essere oggetto di desiderio nel regno della materia. Quando si è deciso di rinunciare a tutto in favore di Dio, è un'anomalia struggersi per alcunché di mondano. La meditazione non può riuscire fruttuosa se vi è desiderio o avversione, se nel vostro cuore è presente amore o odio per qualsiasi oggetto del mondo. La meditazione è una pratica continua, è l'unico risultato che ci si dovrebbe attendere da essa è l'amore del bene e della verità, e l'indifferenza per gli oggetti effimeri del mondo.

Gli stadi preliminari sulla via del successo nella meditazione sono i seguenti:

- Primo. Pentimento, cioè la consapevolezza delle proprie debolezze e il più serio sforzo per sollevarsi al di sopra di esse.

- Secondo. Astinenza, da ciò che si ritiene sbagliato e da ciò che ci degrada ai nostri stessi occhi.

- Terzo. Rinuncia, vale a dire l'abbandono di ogni sentimento di possesso, sia di cose materiali, sia di affetti.

- Quarto. Ascesi, cioè il rendere i propri bisogni materiali il più semplici possibile. L'ascesi non implica il bisogno. Nessuno dovrebbe avere bisogni: il bisogno è un tormento per l'anima.

- Quinto. Fede in Dio, cioè pazienza di fronte ai mali della vita. Prendete ogni cosa come proveniente da Dio ed essa diventerà vostra amica. Siate come la mistica Râbi'a, le cui preghiere guarirono molte persone: ella però non cercò mai di curare se stessa, dicendo: “Tutto viene da Lui, che è mio amico", vale a dire “Tutto viene da Dio".

 

Bellezza e Verità

Tutti amano. Il problema è: che cosa amiamo? Alcuni amano i loro bambini, alcuni amano un amico, alcuni sono filantropi e amano tutta l'umanità; altri amano un ideale, altri ancora amano le idee astratte. In realtà tutti noi amiamo una sola cosa, e questa è la Bellezza. Vi sono persone che amano la bellezza della natura, altri amano i bei quadri, altri ancora amano la bella poesia o la bella musica. Uno degli aspetti più alti della bellezza, uno che attrae tutti, è la bellezza del carattere.

La vera bellezza deve avere una certa vaghezza: ricorderete che Afrodite venne creata dalla schiuma del mare. Quando sappiamo tutto di una persona e non rimane nulla da scoprire, l'interesse si esaurisce e noi cessiamo di amare.

Dio è incomprensibile, nel senso che, sebbene possiamo arrivare a conoscerlo, non potremo mai scandagliare con il pensiero la sua profondità e altezza. Non è possibile comprendere tutto ciò che c'è da sapere su Dio, perché Egli trascende tutto. Il termine usato dai Sûfî per dire “Dio" è “Bellezza", non “bello": ma bellezza assoluta.

È un gravissimo errore donare il nostro amore a ciò che è bello, anziché alla Bellezza. Spesso si sente dire dai genitori che essi vorrebbero che i loro bimbi potessero rimanere sempre all'età di due o tre anni. Essi amano la bellezza dell'infanzia, ma la Bellezza sfugge loro. L'uomo che cerca di amare ciò che è bello è un mendicante che va elemosinando alla sua stessa porta, poiché è il Dio dentro di lui che gli appare come onde, come erba, come i grandi fiumi tropicali in cui si specchia il cielo, come fiori, come montagne, e ogni altra cosa bella.

Che cos'è allora il brutto? Chi può dirlo? Dove tu vedi il brutto io posso vedere il bello, e viceversa. Come avviene per il caldo e il freddo, è una questione di gradazione: non siamo i giudici definitivi di ciò che è brutto.

Scorgere la bellezza dei quadri o della musica richiede un certo allenamento, ma il mondo intero è inondato dalla bellezza di Dio, che è Bellezza assoluta. Di questa Sua bellezza tutti possono avere una visione e, quando essi la vedono, la amano. Tutti noi abbiamo la capacità di amare, ma il cuore dell'uomo non trova appagamento finché non va al di là delle belle idee e si volge a Dio.

Ci sono molti veli che occultano la Bellezza. In realtà fu detto che settantamila veli nascondono la Verità: “Verità" è un altro nome per dire “Bellezza" Potrete dire che è troppo difficile spingersi così in profondità, ma ogni anima ha un suo cammino da percorrere per scoprire la Bellezza assoluta, e inoltre l'amore per le cose difficili è degno di essere coltivato.

Secondo l'insegnamento dello Yoga, vi sono tre concezioni che lacerano questi veli, e ciascuna ne strappa una terza parte.

La prima concezione è: “C'è un solo Dio". Fu questo il grido lanciato dal pio Abramo più di cinquemila anni fa, riecheggiato poi da Maometto e altri: “Egli è l'unico Dio, l'unico Signore dell'universo. Non c'è altro Signore. Ekhnatòn, il faraone d'Egitto del quattordicesimo secolo prima di Cristo, proclamò anch'egli questa verità. Essi concepirono Dio come Uno, perché desideravano fondare la verità dell'Unità, mentre coloro che adoravano più divinità non riuscirono ad acquisire una tale consapevolezza.

Qual è il significato di questa dottrina? Essa significa che tutta la vita è una e che, essendo una, noi siamo coinvolti in modo vitale da tutto ciò che ha luogo in essa. Aver coscienza di questo strappa via una terza parte dei veli.

L'uomo che è giunto alla consapevolezza che tutto è Dio, conosce qualcosa di Dio, e allora incomincia a dire: “Non c'è altro Dio fuori di Te! Tu solo sei! Tu sei tutto!". Questo è il secondo stadio, e questa consapevolezza strappa via un altro terzo dei veli. Giungiamo a questa conoscenza dopo aver acquisito consapevolezza della prima delle tre parti del mistero, cioè che Dio è Uno, e che questo Uno è tutto. Quando abbiamo penetrato il secondo terzo dei veli, e abbiamo scoperto che Dio è “Tu" sopraggiunge una nuova ebbrezza. Con l'uso della parola “Tu" un rapporto nuovo ci si dischiude e una felicità profonda fluisce in noi, accompagnata da un grande amore per ogni cosa.

Chi scrive ricorda un episodio. Un sant'uomo stava meditando su Dio, ed era circondato da molte persone. Ad un tratto apparve un serpente, e alcuni fra la folla cercarono di ucciderlo: ma l'uomo che aveva meditato su Dio come “Tu solo sei!" disse loro di non farlo. Preso il serpente, se lo avvolse attorno al collo per donargli la protezione del suo amore. Quell'uomo aveva conosciuto Dio come “Tu".

L'ultimo terzo dei veli viene lacerato quando conosciamo Dio come “Io". Fu in questo modo che Gesù conobbe Dio: “Io e il padre mio siamo una cosa sola", “Colui che ha visto me ha visto il padre mio". Queste furono le Sue parole, e questa conoscenza fu in Lui così profonda che spesso Egli non ebbe bisogno di parlare di Dio, ma parlò soltanto di “Io". Egli disse: “Venite a Me, voi che soffrite e siete affaticati ed Io vi darò riposo". Vi sono molti Suoi detti simili a questi riportati nei Vangeli. Soltanto quando conosciamo Dio come “Io" si ha l'amore completo.

C'era una volta un sant'uomo indiano che ogni giorno era solito offrire dei fiori a Dio, ma venne il momento in cui egli mise i fiori sul suo stesso capo, offrendoli a sé medesimo, mentre andava ripetendo: Shivo 'ham Shivo 'ham: io sono Dio, io sono Dio!".

Come possiamo incominciare a lacerare questi veli? Prima di tutto dobbiamo amare. Tutti devono amare qualcosa. Amate qualcosa, qualunque cosa, anche se si tratta, per cominciare, soltanto di un ideale mondano: ma dovete amare. Se voi amate, allora questo amore mondano può condurvi a qualcosa di più alto.

 

Ragione, intuizione, visione

Vi sono tre facoltà, concesse da Dio all'uomo, per mezzo delle quali egli può acquisire la conoscenza della Verità. Esse sono: ragione, intuizione e visione spirituale. Ciascuna di esse rappresenta una diversa via di avvicinamento, ma in realtà si tratta di tre aspetti di una stessa cosa, tre facce di quel prisma che è l'uomo.

Avvalendosi della ragione discorsiva o intelletto, l'uomo può volgersi alla ricerca della Verità e scoprire la natura di una cosa in termini di relazione con altri oggetti. La ragione esplica la sua funzione nel mondo della dualità, e il suo scopo è realizzare una sintesi fra ciò che è diverso. La facoltà spirituale dell'intuizione, tuttavia, può trascendere la ragione: ogni scoperta, in ultimo, non viene effettuata attraverso la ragione, ma da quella facoltà dell'anima che è chiamata intuizione (buddhi). La ragione prepara assai spesso la strada, ma il grande salto nel buio è sempre intrapreso dall'intuizione, attraverso la meditazione. Colombo seppe che vi era una terra al di là dei mari non attraverso la ragione, bensì attraverso l'intuizione: egli aveva meditato a lungo su un'idea alla quale, in origine l'aveva condotto la ragione.

La ragione mette in moto la facoltà dell'intuizione (buddhi), ed è questo mistico senso che ci dona la capacità di avvicinarci alla Verità assoluta. Hume afferma che la verità è inaccessibile e inavvicinabile, ma non è così. Tanto i Sûfî quanto i mistici indiani ed ebrei, tutti dichiarano che la Verità è conoscibile, e insegnano questa via di avvicinamento. La facoltà che può cogliere la Verità non è prerogativa di pochi privilegiati: essa è latente in tutti, nel peccatore come nel santo.

Coltivando l'intuizione, possiamo meditare su Dio, ma, per fare questo, dobbiamo lasciare provvisoriamente in disparte la ragione discorsiva. Per conoscere Dio, neppure l'intuizione basta più: c'è ancora un'altra facoltà che può essere risvegliata, ed è quella della visione.

A meno di non vedere Dio, non ci è possibile conoscerlo, e lo spirito dell'uomo può vedere Dio. La parola “vedere" non è forse quella giusta, ma sembra la migliore che si possa usare. Noi vediamo, conosciamo diventiamo consapevoli: questa è conoscenza assoluta, esperienza diretta, attraverso la quale Dio diventa reale per noi e in noi.

Lo spirito dell'uomo è Dio in una forma condizionata. è solo questo elemento nell'uomo, il suo reale Sé (âtman) che può conoscere Dio.

Quando sopraggiunge questa conoscenza di Dio, o consapevolezza del Sé, ne consegue allora quella pace spirituale che è chiamata shânti in sanscrito e salem presso gli Ebrei. Quelli che hanno conseguito questa pace spirituale possono recare testimonianza alla Verità, calmi e intrepidi anche sotto una pioggia di proiettili. Se il loro amico più caro li tradisce, essi sono come una grande montagna, immobile in mezzo alla bufera, con la più alta vetta illuminata dalla luce radiosa del sole.

Noi siamo qui nel mondo per conquistare questa pace e questa libertà perfette: quando questa meta è raggiunta la vita diventa degna di apprezzamento. Allora il canto degli uccelli trova un'eco nei nostri cuori, e la bellezza della natura è soltanto un riflesso di quella che alberga nel nostro animo. La meditazione è uno dei mezzi con cui è possibile ottenere questa pace e questa gioia.

C'è una differenza fra conoscenza e meditazione. La conoscenza è spontanea: che desideriate o non desideriate vedere la luna piena alta nel cielo, certamente la vedrete. In un caso e nell'altro avrete la consapevolezza spontanea che la luna è là. Vi sono persone cui non piace sentir tuonare, ma talvolta sono costrette a fare questa esperienza, che lo vogliano o no.

Sta scritto: “Senza conoscenza non vi è salvezza". La meditazione, di per sé, è priva di valore. Essa è semplicemente il metodo attraverso il quale si consegue la consapevolezza di Dio, e in ciò consiste il suo vero valore.

La meditazione, in quanto tale, è una tecnica per purificare gli strumenti psicologici della conoscenza e per svilupparne la facoltà di intuizione spirituale.

 

I PRINCIPI DELLA MEDITAZIONE

La meditazione è basata su certe leggi fondamentali che bisogna conoscere prima di qualsiasi tentativo di praticare la meditazione stessa.

 

Forza fisica, mentale e spirituale

Il pensiero è una forza creativa. Le azioni sono pensieri materializzati, e la forza-pensiero, sebbene sia inferiore alla forza spirituale, è assai più potente della forza fisica. Rispetto alla forza fisica, la forza-pensiero è anche meno condizionata dal tempo e dallo spazio, ma in realtà né la forza fisica né la forza mentale possono prevalere sulla forza spirituale.

Un chiaro esempio di questo fatto si può vedere nella storia cinese. I Mongoli costituivano un grande pericolo per la Cina, che ne era terrorizzata. Venne costruita la Grande Muraglia, lunga millequattrocento miglia, per tenerli fuori del Paese, ma si dimostrò inutile. Alla fine fu la forza spirituale della Cina che trasformò i Mongoli, da una razza violenta e crudele, in un popolo pacifico. Ai confini con la Mongolia l'imperatore K'ang Hsi fondò dei monasteri buddhisti con biblioteche e monaci veramente istruiti e di santa condotta, centri di pace e devozione. Egli ospitò i principi mongoli, e donò loro il beneficio degli insegnamenti buddhisti. Il risultato fu che, in soli cinquant'anni, i Mongoli deposero le armi e non invasero mai più la Cina: in questo modo l'imperatore K'ang Hsi rese civili i Mongoli. La forza operante sul piano fisico, rappresentata dalla Grande Muraglia, non potè conseguire il risultato desiderato, mentre l'insegnamento spirituale lo raggiunse. Il potere spirituale si manifesterà spontaneamente, in modo naturale, se il cuore sarà puro: la meditazione è il mezzo attraverso il quale il cuore viene purificato.

 

Caratteristiche e natura della mente

Il carattere o “personalità" di un individuo è di solito il risultato dei suoi pensieri, e può essere modificato dal pensiero diretto in maniera cosciente. è questo un punto importante. Come ogni altra cosa in natura, la mente si trova costantemente in uno stato di vibrazione: queste vibrazioni sono chiamate “pensieri" o vrtti. Queste vrtti, passando attraverso i sensi, agiscono sulla materia, dal momento che la loro funzione principale consiste nel percepire, apprezzare, valutare, modificare e analizzare.

La mente è una grande forza creativa, e la sua creatività diviene operante in una condizione di perfetto silenzio. L'accumulo di energia conduce alla creazione. Quando sediamo in meditazione, sospendiamo il funzionamento dei nostri sensi e una grande quantità di energia mentale viene immagazzinata nella regione psichica. Forze invisibili entrano in gioco, scaturisce l'ispirazione, e l'immaginazione si perfeziona nelle sue funzioni. La mente, una volta placata, diviene creativa, ma per creare forme spirituali di imperitura bellezza, come il poema di Dante, la Shakuntalâ di Kâlidâsa, o la pace spirituale (shânti) dello Yoga, deve essere anche illuminata. La mente assorbe la qualità della sua esperienza: essa è, in un certo senso, come una tavoletta di cera sulla quale sono incise le impressioni passate. Essa riceve così impressioni, non solo attraverso i sensi, ma anche dal deposito dei pensieri e dei sentimenti trascorsi, che emergono sotto lo stimolo di associazioni affini. Questo deposito è la sede della memoria e dell'immaginazione, e viene riempito di continuo. In tal modo il nostro carattere attuale è influenzato moltissimo dai nostri pensieri trascorsi, ed è essenziale essere consci che ciò di cui ora ci interessiamo, e al cui riguardo proviamo attualmente un forte sentimento, affonda nella sostanza della mente e ritornerà a noi intensificato nel futuro. Dobbiamo perciò essere avveduti per quanto concerne i nostri pensieri.

Le idee che si offrono spontaneamente alla mente sono il prodotto di tali impressioni passate (samskâra). Queste idee, che si manifestano sotto forma di impulsi, attrazioni e repulsioni, sono cieche: accettarle e dar loro corso senza un esame critico non è conforme alla natura dell'uomo in quanto essere razionale. Le suggestioni mentali, una volta accolte in modo acritico, si mutano - col passare del tempo - in imperiosi comandi da parte della mente.

La mente è come un uccello in un campo, sempre intento a becchettare e a mangiucchiare qualcosa. L'importante è che scelga con saggezza. Tutto quello che i sensi ci comunicano è intessuto in qualcosa che tende a distruggere la mente oppure a edificarla, poiché la mente assimila ciò su cui si fìssa. Se essa rimugina su un'azione criminosa, allora finirà per immagazzinare pensieri di quel genere.

Lo Yoga non crede che si debba uccidere una qualsiasi parte del nostro strumento psicologico: il suo scopo è allenare tale strumento, trasformarlo, e usarlo nel modo giusto. è chiaro che non possiamo vivere la vita migliore se la nostra mente non viene posta in condizioni di quiete, poiché soltanto allora essa riceve la luce divina dalla sua sorgente originaria all'interno della personalità. Odio e fanatismo introducono elementi che offuscano la mente, deteriorando la salute mentale; i pensieri altruistici, invece, sono puri, poiché ricercano il benessere di tutti e uniscono la piccola mente individuale con la Mente cosmica, la mente di Dio, la quale dirige allo stesso modo gli astri nel loro corso, gli elettroni nelle loro orbite, e sovraintende alla comparsa delle infinitamente varie forme di vita.

Gli psicologi moderni, come Jung, concordano nell'affermare che le menti non sono in realtà individuali, che la Mente cosmica è una mente unica, cui è avvenuto di trovarsi rinchiusa in singole individualità. Le nostre menti individuali, condizionate dai nostri corpi, sono perciò soltanto particelle della Mente cosmica, con la quale esse devono mettersi in una cosciente relazione, se vogliono svilupparsi armoniosamente.

 

Vuotare la mente

Meditare significa, fra l’altro, calmare e purificare la mente. È necessario, a tal fine, preparare il terreno, espellendo dalla mente tutto ciò che è meschino e degradante, tutto ciò che non promuove il bene della società e dell'individuo. Tutti i pensieri di dualità e separazione, come pure tutti i desideri che impediscono il progresso spirituale, devono essere accuratamente eliminati e mai più accolti.

Un racconto Zen esemplifica bene la necessità di vuotare la mente dei suoi contenuti. C'era una volta in Giappone un monaco Zen dedito alla meditazione. Uomini di ogni ceto erano attratti dalla sua fama di maestro: fra questi vi era un noto professore dell'Università di Tokyo. Un giorno il professore si recò a far visita al monaco, il quale gli offrì il thè verde, secondo l'usanza. Dopo aver posto una tazza davanti al suo distinto visitatore, versò il thè in essa fino a riempirla, poi continuò a versare in modo da farla traboccare. Nel vedere il thè che si spandeva sul tavolo e sulle stuoie del pavimento, il professore, sbalordito, chiese una spiegazione. Il monaco Zen disse: “Io posso riempire ciò che è vuoto, ma non ciò che è già pieno. Tu sei venuto da me con la mente piena di idee di “mio" e di “tuo", di ambizioni e desideri. Se cerchi il mio insegnamento, vuota la tua mente, dimentica tutto quello che hai imparato e sbarazzati di ogni contenuto mentale dannoso o inutile: poi ritorna da me, ed io ti impartirò il mio insegnamento».

Ahimè! Di solito noi riempiamo la nostra mente di desideri, molti dei quali sono perniciosi e non portano altro che male, e di passioni: queste ci rendono ciechi alla grande bellezza spirituale che fu propria di uomini come Gesù, Shankarâcârya, Aristotele e Goethe. I piaceri dei sensi sono la componente più pericolosa della nostra vita, Il materialismo non è per noi un nemico altrettanto formidabile quanto la sensualità, che ha per suo principale obiettivo quello di estrarre il piacere dagli oggetti esterni: questo ci impedisce una corretta stima dei valori e fa sì che vediamo tenebra dove è luce, e viceversa.

 

Dominio dei sensi

Compiacersi degli oggetti dei sensi fa nascere l'attaccamento ad essi, e questo attaccamento, quando viene frustrato, genera collera, come insegna la Gîtâ. Esso infatti conduce a desiderare gli oggetti dei sensi per acquisizione personale e soddisfazione egoistica.

Facciamo un esempio. Una bambina vede una bambola nella vetrina di un negozio e dice a se stessa: “Come è bella! Che begli occhi ha! Come sarebbe bello se fosse mia e potessi mostrarla a Paolo e Dina! Oh, è proprio bella davvero!" Ogni volta che la bimba sofferma la sua attenzione con compiacimento sulla bambola essa fa sì che la sua immagine si incida in modo sempre più profondo nella propria mente. Tale immagine esercita una presa sempre maggiore su di lei e arriverà presto ad occupare un posto di rilievo nella sua vita: essa comincia ad allontanare dal suo cuore altri oggetti di bellezza, poi limita e indebolisce la sua consapevolezza. La bimba chiede alla mamma di comprarle la bambola, ma la mamma dice che non può permettersi la spesa: quando scopre che non otterrà la bambola, la bambina si intristisce e si adira con la madre. Essendo così presa dal pensiero della bambola, ella dimentica il rispetto dovuto ai genitori, l'importanza della verità, e così via. Ciò è chiamato, nella Gîtâ, “perdita della memoria" e significa non già una memoria debole, ma la dimenticanza della legge di giustizia (dharma).

La causa prima di tanta sventura è stato il fatto di accogliere pensieri piacevoli riguardanti la bambola, cioè un oggetto di piacere. Per questo, nella pratica dello Yoga, si sottolinea la necessità del distacco. È detto nella Gîtâ: “Negli oggetti dei sensi scorgi il dolore".

Ciò non significa che dobbiate adottare il pessimismo come regola di vita: dovreste però aver chiaro che ogni oggetto che vi attrae e prende il sopravvento sul vostro senso di discriminazione danneggia immensamente la vostra natura. Quanto più profonda è l'infatuazione, tanto maggiore è il danno che ne consegue. È un errore impazzire per una qualsiasi cosa al mondo o permettere a qualsiasi oggetto di impossessarsi di voi. Si produce allora la sofferenza. Eppure non è inevitabile che uno debba soffrire in questo mondo, poiché le sofferenze sono autoindotte. La mente non fu mai destinata ad essere la sede delle passioni mondane: desiderio, bramosia, collera e odio (che è la peggiore di tutte). Cedere alla collera o esprimere odio equivale a trafiggere con un pugnale il delicato, serico tessuto della superficie della mente: quella superficie che dovrebbe riflettere la luce della Mente divina.

La sofferenza è segno di mancanza di equilibrio interiore. La via che conduce alla pace passa attraverso l'armonia. Le nostre emozioni dovrebbero armonizzarsi con la nostra ragione, e la ragione dovrebbe armonizzarsi con i dettami della Mente divina. Quando nella personalità predomina una completa armonia, le forme si evolvono armoniosamente, mentre la mancanza di armonia si esprime come malattia nel mondo fisico e come ignoranza nel mondo mentale, con i suoi derivati: paura, ansietà, e così via.

Immaginate un ghiacciaio che si estende sui monti per miglia e miglia, dal quale scaturiscono migliaia di ruscelli che scorrono in ogni direzione. Il ghiacciaio è la Mente universale (o Mente divina, come io l'ho chiamata). C'è una sola Mente, e le nostre menti individuali sono come ruscelli che scaturiscono da essa: se il flusso d'acqua pura è ostacolato da uno sbarramento, la corrente ristagna. Allo stesso modo i piaceri dei sensi, il desiderio di potenza e di benessere, ci precludono la Sorgente suprema. È essenziale che vi sia un flusso senza impedimenti dal divino ghiacciaio dentro di noi alla nostra coscienza.

Il processo di rimozione di ciò che ostacola questo flusso è chiamato “preghiera" o “meditazione": la loro funzione è mantenere puro il canale attraverso il quale il Divino possa fluire nell'individuo. Per questo l'individualità in cui la nostra mente è imprigionata deve essere resa trasparente: ciò che impedisce questa operazione - e costituisce la grande barriera che rende l'individualità così miseramente angusta ed opaca - è il desiderio di piacere e di potenza.

Come si è detto, il tessuto della mente è reso grossolano ed opaco dalla ristrettezza mentale, dal pregiudizio e da ogni forma di egoismo e di accentuazione del senso dell'ego. La mente deve essere affinata in tutti i suoi strati, vale a dire attraverso il piano istintivo, emozionale, intuitivo e spirituale. Ciò si realizza permettendole di ospitare soltanto i desideri più puri e i più puri pensieri, e praticando la meditazione e la contemplazione, in modo che la mente acquietata non possa offrire impedimenti al flusso divino. Quando la mente è così controllata, essa diviene una grazia per noi stessi e per gli altri. 

  

 


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