Tilopâ |
PASSI SCELTI
PREMESSA
Tilopâ (928-1009) fu un mistico indiano buddhista noto soprattutto per essere stato colui che iniziò il dotto maestro Nâropâ (956-1040) al significato ultimo di un insegnamento conosciuto in sanscrito come Mahâmudrâ, ovvero «Grande Sigillo».
I due testi di Tilopâ qui tradotti sono tramandati dai maestri tibetani come l’essenza sia della via breve o subitanea, quella priva di qualsiasi forma di mediazione e supporto, sia delle istruzioni finali che concludono le vie graduali exoteriche ed esoteriche della spiritualità buddhista.
Il commento è la trascrizione delle spiegazioni orali che ricevetti da un maestro tibetano nell’ottobre del 1989, in Nepal. Lo incontrai a Swayambhunath, nei pressi di Kathmandu.
In quei giorni stavo traducendo i due testi di Tilopâ dalla versione tibetana, però non ne avevo richiesto l’autorizzazione e le istruzioni a un maestro di quell’insegnamento, come invece impone la tradizione.
Appena concluso il giro intorno allo stûpa vidi di fronte a me un monaco tibetano non più giovane che mi fissava immobile. Accennai un saluto e lui sorridendo cantò: “Rendo omaggio al maestro del Grande Sigillo”.
Rimasi sbalordito e confuso per qualche secondo, poi capii che quell’uomo aveva visto la mia presunzione. Evidentemente egli era un maestro di ciò che io cercavo faticosamente di comprendere con il mio intelletto. Immediatamente pensai di chiedere al Lama se fosse disposto a spiegarmi il significato del Grande Sigillo, ma lui, senza neanche darmi il tempo di parlare, disse queste parole: “Io sono Lhündrup Tenzin. Mi hai incontrato perché mi stavi cercando. Se vuoi la trasmissione e la spiegazione dei consigli di Tilopâ seguimi”. Così feci.
Il Lama entrò in un tempio, si sedette per terra e mi invitò a fare altrettanto, quindi iniziò la «trasmissione orale» dei testi tibetani cantandoli a memoria con una lenta e bella melodia. Subito dopo passò a commentarli mettendone in risalto gli aspetti più significativi ed essenziali con un linguaggio semplice, ma chiaro e preciso. Notai che le sue parole fluivano senza fretta, intervallate da lunghe pause, credo per darmi il tempo di trascriverle il più accuratamente possibile.
Alla fine dell’incontro il Lama mi concesse un breve colloquio che per me fu molto importante. Esso è stato riportato in appendice, giacché contiene delle indicazioni e chiarificazioni valide anche per altre persone.
I CONSIGLI SUL GRANDE SIGILLO
Omaggio alla Fata Adamantina.
Il Grande Sigillo non può essere insegnato, ma tu, benedetto, intelligente Nâropâ, che affrontando le difficili prove sei paziente nella sofferenza grazie alla devozione verso il maestro, accogli nel cuore queste [parole].
Lo spazio si appoggia forse su qualcosa?
Similmente, il Grande Sigillo non ha nulla su cui appoggiarsi.
Rimani rilassato nello stato naturale inalterato.
Se si rilasciano i legami senza dubbio si è liberi.
Quando si osserva il centro dello spazio si cessa di vedere [tutto il resto].
Similmente, se si osserva la coscienza con la coscienza, le forme di pensiero si dissolvono e si consegue il sommo risveglio.
I banchi di nebbia si dissolvono nello spazio senza andare altrove né rimanere da qualche parte.
Similmente, le forme di pensiero scaturiscono dalla coscienza, ma quando si ha la visione della propria coscienza l’onda delle immagini mentali si dissolve.
La vera natura dello spazio non ha né colore né forma e non è condizionata né dal bianco né dal nero.
Similmente, l’essenza della propria coscienza non ha né colore né forma e non è condizionata né dalla virtù né dal vizio.
Il cuore del sole chiaro e limpido non può essere oscurato dal buio delle ere cosmiche.
Similmente, la chiara luce che è l’essenza della propria coscienza non può essere oscurata dal ciclo delle ere cosmiche.
Si definisce «vuoto» lo spazio, ma lo spazio è indicibile.
Similmente, la propria coscienza è detta «chiara luce», tuttavia in essa non c’è nulla che possa essere definito dicendo «è così».
Dunque, la vera natura della coscienza è sin dal principio come lo spazio, e non c’è nulla che non confluisca lì.
Smetti di fare qualunque movimento fisico e rimani tranquillo nello stato naturale.
Non hai nulla da dire, i suoni sono vuoti come l’eco. Non hai nulla a cui pensare, contempla ciò che trascende la mente.
Il corpo vuoto come una canna di bambù, la coscienza al di là dei pensieri come il centro dello spazio: rilàsciati in questo stato senza perdere la consapevolezza né trattenere nulla in mente.
La coscienza senza punti di riferimento è il Grande Sigillo. Prendendo dimestichezza con questo stato si ottiene il sommo risveglio.
La visione del Grande Sigillo, che è chiara luce, non può essere conseguita attenendosi alle esposizioni dogmatiche e alle scritture proprie sia del sistema exoterico - ammaestramenti, regole etiche, studi filosofici e perfezioni - sia di quello esoterico. Infatti la visione della chiara luce è oscurata dal dogmatismo.
L’osservanza dogmatica dei precetti equivale a non mantenere il vero impegno.
Non avere fissazioni è libertà dal dogmatismo.
[Il pensiero] è come l’onda che si alza e ritorna naturalmente.
Se non si perde la consapevolezza del valore autentico, al di là di idee fisse e comportamenti rigidi, l’impegno [spirituale] è mantenuto come una lampada che elimina l’oscurità.
Quando si è liberi dal dogmatismo, perché non ci si fissa più su una conclusione, si consegue la visione [del vero significato] di tutti gli insegnamenti.
Se si penetra questa verità ci si libera dalla gabbia del divenire. Se si contempla questa verità si brucia tutto ciò che oscura e causa sofferenza. [Chi così realizza] è detto «lampada dell’insegnamento».
Gli sciocchi che non stimano questa verità finiscono per lasciarsi trascinare dalla corrente del divenire. Poveri sciocchi [che devono sopportare] questa insopportabile sofferenza!
Se essi desiderano porvi fine devono seguire una guida esperta e far discendere nel proprio cuore l’energia spirituale, così la loro coscienza sarà libera.
Oh, vivere condizionati dal divenire non ha senso e causa sofferenza. L’azione [mondana] è senza valore, perciò si consideri cos’ha valore e senso.
Il supremo modo di vedere è trascendere soggetto e oggetto.
La suprema meditazione è non essere distratti.
La suprema condotta è assenza di sforzo.
La realizzazione della meta è non avere né speranza né timore.
La vera natura della coscienza è chiarezza al di là delle immagini.
La meta della via degli esseri risvegliati è conseguita senza una via da percorrere.
Il sommo risveglio è realizzato senza qualcosa da praticare.
Oh, considera bene l’esistenza mondana. Essa è transitoria, come un’illusione e un sogno non è qualcosa di reale. Perciò pèntiti e lascia l’azione mondana. Taglia completamente i legami affettivi con il tuo seguito e il tuo paese. Medita da solo in un eremo di montagna o nella foresta.
Rimani nello stato in cui non c’è nulla da meditare. Quando otterrai ciò che non è da ottenere, allora otterrai il Grande Sigillo.
Dal tronco di un grande albero si sviluppano rami e foglie, però se lo si taglia di netto alla base tutti i rami seccano.
In modo simile, quando si recide la mente alla base seccano le foglie [e i rami] del divenire.
L’oscurità accumulata durante le ere cosmiche è cancellata da una lampada.
Similmente, l’unica chiara luce della propria coscienza dissipa gli oscuri ostacoli dell’ignoranza accumulati durante le ere cosmiche.
Oh, tramite l’intelletto non si ha la visione di ciò che lo trascende; tramite l’azione non si comprende ciò che la trascende.
Se desideri attingere ciò che trascende l’intelletto e l’azione, recidi la tua mente alla base e lascia la consapevolezza nuda.
Lascia che l’impura acqua dei pensieri si schiarisca. Lascia la realtà fenomenica così com’è, senza affermare né negare.
Quando non c’è più attaccamento né rifiuto [si comprende che] l’esistenza è il Grande Sigillo.
La base di tutto è non nata, perciò è libera dal condizionamento delle tracce psicologiche.
Rimani nell’essenza non nata, senza orgoglio e calcolo. Lascia che i fenomeni appaiano naturalmente e le immagini mentali si dissolvano.
Il supremo modo di vedere è la completa libertà dal dogmatismo.
La suprema meditazione è la vasta profondità senza confini.
La suprema condotta è la rottura dei limiti.
La suprema meta è lo stato naturale senza più aspettative.
[La mente del] principiante all’inizio è come una cascata, poi diventa come il fiume Gange che scorre tranquillo, infine è come il confluire dei fiumi [nell’oceano, quando] madre e figlio si incontrano.
Se si è dotati di capacità inferiori, non essendo in grado di rimanere nello stato naturale [grazie alle istruzioni precedenti], occorre mantenere la pura consapevolezza attraverso il controllo della respirazione. [Inoltre] tramite la fissazione dello sguardo si può concentrare la mente in vario modo finché non si riesce a rimanere in uno stato di [pura] consapevolezza.
Se ci si affida al «sigillo dell’azione» si può sperimentare il sentire [non duale] del piacere e del vuoto: quando la sacra energia del metodo e dell’intuizione è armonizzata, va fatta scendere lentamente, poi dev’essere trattenuta, tirata indietro, ricondotta alla fonte ed espansa in tutto il corpo. In questo momento, se non c’è più desiderio, sorge il sentire [non duale] del piacere e del vuoto.
[Chi pratica in questo modo] avrà vita lunga senza capelli bianchi e crescerà come la luna; avrà un aspetto luminoso e la forza del leone; otterrà velocemente i poteri ordinari e rimarrà assorbito nel sommo risveglio. Questa istruzione personale sull’essenza del Grande Sigillo possa rimanere nel cuore degli esseri destinati [a riceverla].
Questi consigli di Srî Tilopâ sulla realizzazione spontanea del Grande Sigillo furono trasmessi dal medesimo maestro sulla riva del Gange al dotto realizzato Nâropâ, Pandita del Kashmir, dopo che ebbe affrontato dodici difficili prove. Il traduttore tibetano Marpa Ciöchi Lodrö ricevette le ventotto strofe adamantine dal grande Nâropâ a Pulahari del Nord dove le tradusse definitivamente dopo averle riviste.
COMMENTO
Omaggio alla Fata Adamantina.
Sai che cos’è la «Fata Adamantina» (Vajra-dâkinî)? è l’espressione femminile della divinità suprema, di ciò che è incondizionato, inalterato e costituisce il modo d’essere autentico di tutta l’esistenza. Renderle omaggio è riconoscerne la vera natura.
Nâropâ, quando incontrò Tilopâ, aveva bisogno di conoscere maggiormente e più a fondo l’aspetto femminile della vita. Il maestro con l’omaggio iniziale volle indicargli anche questa necessità e il suo significato, sul quale ritorna in modo particolare alla fine del testo.
Il Grande Sigillo non può essere insegnato, ma tu, benedetto, intelligente Nâropâ, che affrontando le difficili prove sei paziente nella sofferenza grazie alla devozione verso il maestro, accogli nel cuore queste [parole].
La divinità suprema in questa tradizione è definita «Grande Sigillo» perché il segno della sua presenza è impresso in ogni aspetto dell’esistenza. Eppure, paradossalmente, nessuno la può mostrare o additare direttamente, proprio perché essa pervade e include tutta la realtà ma non è limitata da nulla e trascende immagini, parole e pensieri. Anche la visione della forma vacua della divinità femminile, con cui Nâropâ aspirava a unirsi, non rivela la vera natura indeterminabile del Grande Sigillo.
Se non sei scemo, quando punto l’indice verso la statua di Buddha tu non continui a fissare il mio dito, né vieni accanto a me per vedere la statua come la vedo io, piuttosto segui la direzione del dito e guardi la statua rimanendo lì dove sei, senza peraltro pensare che essa sia il vero stato di Buddha. È in questo modo che vanno considerati e utilizzati gli insegnamenti sulla realtà assoluta lasciati dai maestri.
Lo spazio si appoggia forse su qualcosa?
Similmente, il Grande Sigillo non ha nulla su cui appoggiarsi.
Rimani rilassato nello stato naturale inalterato.
Se si rilasciano i legami senza dubbio si è liberi.
Il simbolo più ricorrente per indicare la vera natura della divinità, ossia la realtà assoluta, è lo spazio celeste. La luna nel cielo può essere indicata e percepita, ma lo spazio vuoto non può essere determinato in alcun modo. Se vogliamo misurare lo spazio abbiamo bisogno di qualcosa in esso che serva da riferimento. Lo spazio vuoto, in cui tu non ci sei né c’è qualche altra cosa, non si appoggia su nulla, non ha punti di riferimento.
Se così è, allora come si può conoscere la vera divinità? Tilopâ dice: “Rimani rilassato nello stato naturale inalterato”. Non ti sforzare, non cercare di correggere il tuo corpo, la tua parola, la tua mente, o di cambiare il posto in cui ti trovi. Soltanto rilàssati lì dove sei, così come sei, naturale.
Ciò che impedisce di riconoscere il Grande Sigillo della vera divinità sono i propri legami, i condizionamenti, i limiti personali; se ci si rilassa essi cadono naturalmente. Non è strano questo consiglio? Tutte le religioni insegnano che è necessario lottare contro il male, sforzarsi di cambiare in meglio, reprimere le passioni, mortificare i sensi. Invece Tilopâ afferma che è sufficiente rilassarsi senza far nulla intenzionalmente per modificare la realtà. Se non ci si crede basta provarci.
Quando qualcosa provoca pensieri o emozioni nocive è il momento di mettersi alla prova rilassandosi. Rilassarsi implica dare spazio, a sé come agli altri. In quello spazio il problema si dissolve. Se si cessa di dare importanza al problema esso sparisce sicuramente. Se questo non accade è perché c’è ancora tensione.
Quando si osserva il centro dello spazio si cessa di vedere [tutto il resto].
Similmente, se si osserva la coscienza con la coscienza, le forme di pensiero si dissolvono e si consegue il sommo risveglio.
“Quando si osserva il centro dello spazio si cessa di vedere…” dice Tilopâ invitando il discepolo a fare un esperimento molto semplice. Infatti se si concentra l’attenzione su un punto dello spazio vuoto si smette di notare le cose circostanti. Basta provare per verificarlo.
Perché non lo fai ora?
Può essere sufficiente anche un minuto…
Questo è solo un esempio. Tilopâ non dice che bisogna esercitarsi a fissare un punto nello spazio il più a lungo possibile; c’è chi lo fa, ma non è questo il caso. Ciò che va fatto, se non si riesce a rilassarsi nel proprio stato naturale secondo quanto detto inizialmente, è volgere l’attenzione verso di sé, interiormente. Non occorre guardare da qualche parte. Si deve soltanto rimanere presenti a se stessi.
Proprio tu che stai pensando al significato di queste parole, sei nel contempo consapevole di te?
Se rivolgi l’attenzione interiormente puoi capire.
La maggior parte delle persone vive costantemente distratta, assorbita e condizionata da ciò che percepisce, perché è inconsapevole di sé, proprio come se stesse sognando e non se ne rendesse conto.
Quando si riacquista l’autocoscienza si sente di essere, di esistere, qui e ora, ma non si identifica questo puro sentire con ciò che si percepisce, finendo per dimenticarsi di sé. La consapevolezza di sé non è distratta o turbata da alcunché.
Dunque, se si osserva la coscienza con la coscienza nel modo anzidetto, le forme di pensiero, le fissazioni mentali, le immagini conturbanti della propria fantasia si dissolvono naturalmente perché non sono più sostenute dalla totalità dell’attenzione personale.
Provaci in questo momento!
Chiudi gli occhi e pensa a qualcosa di particolarmente piacevole…
Ora, renditi conto che mentre stai pensando a quella cosa tu ci sei, tu esisti. Non senti d’esserci?
Se quel pensiero è ancora presente lascialo libero senza dimenticarti di te in quanto sentire d’essere… In questo modo prima o poi tutti i pensieri si dissolvono da se stessi perché tale è la loro natura.
Prova a ripetere l’esperimento pensando a una cosa spiacevole…
Anche quell’immagine si dissolve naturalmente. Non è vero?
Ogniqualvolta questo accade si consegue il risveglio, la liberazione. È come rendersi conto di sognare e non essere più condizionati dalle irreali immagini oniriche. Quando ci si libera dall’illusione di tutti i propri sogni, del sonno e della veglia, si realizza l’illuminazione suprema.
I banchi di nebbia si dissolvono nello spazio senza andare altrove né rimanere da qualche parte.
Similmente, le forme di pensiero scaturiscono dalla coscienza, ma quando si ha la visione della propria coscienza l’onda delle immagini mentali si dissolve.
La nebbia sorge nello spazio, lì esiste e si dissolve naturalmente. Anche le immagini mentali che velano la visione della realtà autentica non hanno altra base che la propria coscienza, in cui si risolvono naturalmente.
Lottare con i pensieri per eliminarli è come cercare di calmare le acque agitandole; in questo modo si ottiene soltanto l’effetto contrario. Tilopâ dice che è sufficiente volgere l’attenzione verso di sé, ossia rimanere presenti a se stessi: quando si ha la visione della propria coscienza, come se si stesse osservando il centro dello spazio, l’onda delle immagini mentali si dissolve.
è molto importante verificare questi consigli personalmente. Per farlo occorre non distrarsi, essere consapevoli, presenti a se stessi. Solo così si può capire il senso effettivo e il valore pratico delle parole di Tilopâ.
La vera natura dello spazio non ha né colore né forma e non è condizionata né dal bianco né dal nero.
Similmente, l’essenza della propria coscienza non ha né colore né forma e non è condizionata né dalla virtù né dal vizio.
Ora osserva lo spazio: ha forse una forma e colori suoi propri? E le nubi chiare e scure modificano realmente la vera natura dello spazio in cui appaiono e scompaiono?
Tilopâ dice che quando si osserva la coscienza con la coscienza si scopre che essa non ha né colore né forma, e non è condizionata né dalla virtù né dal vizio, in modo analogo allo spazio.
La propria vera natura, il Sé autentico, non è il corpo, le sensazioni, le emozioni, le idee, i pensieri coi quali si identifica la personalità individuale. Quindi, se si percepisce qualcosa osservando la coscienza si sappia che ciò non è la propria pura essenza impersonale.
Occorre imparare a disidentificarsi da ciò che si percepisce rimanendo puri testimoni della realtà così com’è. Questo è possibile se si è presenti a se stessi.
Quando si rimane rilassati nella presenza a se stessi come se si fosse nello spazio, si comprende che la propria vera essenza non ha nulla a che fare con le nere nubi dei vizi né con quelle bianche delle virtù che caratterizzano la personalità. Esse sono solo immagini mentali sovrapposte alla realtà autentica che, di per sé, è libera da qualsiasi determinazione.
Allora, che bisogno c’è di lottare per migliorarsi? Tu credi di avere vizi e virtù. Tu cerchi di eliminare i vizi e acquisire le virtù.
Ma i vizi e le virtù sono soltanto aspetti della personalità che è mutevole e transitoria come le nuvole.
La tua essenza divina è impersonale e per natura libera dalla catena dei vizi e delle virtù come lo spazio che permane inalterato.
Il cuore del sole chiaro e limpido non può essere oscurato dal buio delle ere cosmiche.
Similmente, la chiara luce che è l’essenza della propria coscienza non può essere oscurata dal ciclo delle ere cosmiche.
Secondo l’antica cosmologia indiana la manifestazione dell’universo segue leggi cicliche. I buddhisti definiscono genericamente tutti i cicli, sia maggiori che minori, «ere» (kalpa). Il testo accenna al «buio delle ere cosmiche». Questa espressione può indicare sia i periodi in cui la vita non si manifesta, sia quelli in cui la vita si manifesta ma non appare un essere totalmente risvegliato, un Buddha. Durante queste fasi oscure il cuore del sole non subisce mutamenti: esso è sia il centro energetico da cui emana il sole visibile, sia l’essenza o la potenzialità del risveglio.
La propria vera natura è divina, pura sin dall’inizio di qualsiasi ciclo, sia esso quello del cosmo, del pianeta, delle molteplici esistenze di un essere o di una singola esistenza: la sua luce permane inalterata anche nella successione di tutti i periodi oscuri.
Il senso di questa allegoria è che non bisogna mai disperare, né lasciarsi andare alla tristezza o allo sconforto. I momenti bui della vita vanno affrontati coraggiosamente, confidando nella luce che brilla da sempre nel proprio cuore e in quello di qualsiasi essere.
La fede pura è la consapevolezza dell’essenza divina che pervade tutta l’esistenza. È solo questa luce che deve essere ricordata, venerata e contemplata. A essa soltanto bisogna fare appello con la gioia nel cuore e la certezza nella mente.
Si definisce «vuoto» lo spazio, ma lo spazio è indicibile.
Similmente, la propria coscienza è detta «chiara luce», tuttavia in essa non c’è nulla che possa essere definito dicendo «è così».
L’essenza della propria coscienza è divina, luminosa, pura come lo spazio vuoto, ma la parola «vuoto» non è la vera vacuità dello spazio. Analogamente anche per la propria natura autentica non c’è nulla che possa essere definito dicendo «è così».
La parola «Buddha» non è il Buddha. La parola «Cristo» non è il Cristo. Anche i concetti corrispondenti non sono ciò che essi rappresentano. L’idea di Dio non è la vera divinità.
Chi si aggrappa a sensazioni, pensieri, figure o parole è paragonabile a un imbecille che scambia il proprio riflesso in uno specchio per una persona concreta. Questo errore è molto frequente! Da qui nasce l’intolleranza nel nome della verità. Tuttavia fai attenzione che anche nel nome della tolleranza si può diventare intolleranti.
Che cosa si può fare per evitare questo errore o superarlo? Rimani come lo spazio, senza fissarti sull’idea del vuoto, né su quella della chiarezza dei fenomeni.
Dunque, la vera natura della coscienza è sin dal principio come lo spazio, e non c’è nulla che non confluisca lì.
Nella filosofia buddhista l’elemento materiale originario, da cui scaturiscono tutti i fenomeni, in cui esiste e si risolve ogni cosa concreta alla fine del ciclo, è chiamato «spazio». Questo elemento fondamentale costituisce il simbolo del Grande Sigillo, della realtà assoluta che è la propria essenza divina.
Se i consigli precedenti non sono sufficienti, se ci si chiede ancora in quale modo si possa rimanere nel proprio stato naturale come nello spazio, le parole che seguono potrebbero essere molto utili, almeno per chi è determinato ad applicarle:
Smetti di fare qualunque movimento fisico e rimani tranquillo nello stato naturale.
Non hai nulla da dire, i suoni sono vuoti come l’eco.
Non hai nulla a cui pensare, contempla ciò che trascende la mente.
Sappi che nello stato naturale non c’è nulla da ricercare in modo intenzionale, nessuna ombra di sforzo, e il corpo, la voce e la mente non sono da correggere. Perciò lascia che il tuo corpo si rilassi in una postura comoda: “Smetti di fare qualunque movimento fisico e rimani tranquillo”, dice Tilopâ.
Generalmente gli istruttori di meditazione consigliano almeno di sedersi con la schiena diritta, ma Tilopâ non dà neppure questa indicazione perché ogni individuo ha la propria sensibilità, che va rispettata per non generare alcuna tensione psicofisica. Se ascolti il tuo corpo sei in grado di capire da te stesso qual è la postura migliore da assumere nel momento specifico.
Per quanto concerne la voce, Tilopâ è ugualmente perentorio: “Non hai nulla da dire”, né preghiere, né mantra, né canti o altro ancora. Infatti i suoni sono vuoti come l’eco, perché la vera natura della realtà non è le parole che la indicano.
In modo analogo, anche riguardo alla mente vale il medesimo principio: “Non hai nulla a cui pensare,” afferma Tilopâ, né alla divinità, né al maestro, né a un simbolo, a un concetto o a una cosa. Infatti il Grande Sigillo trascende la mente.
Il corpo vuoto come una canna di bambù, la coscienza al di là dei pensieri come il centro dello spazio: rilàsciati in questo stato senza perdere la consapevolezza né trattenere nulla in mente.
Se lasci il tuo corpo tranquillo in una postura comoda, a un certo punto ti sembrerà leggero, inconsistente, vuoto come una canna di bambù.
Se smetti di creare pensieri intenzionalmente, ma lasci che essi appaiano e scompaiano naturalmente, il sentire della tua coscienza rimarrà fermo, indisturbato dai pensieri, come il centro dello spazio osservando il quale si cessa di vedere tutto il resto.
Rilassandoti in questo modo nel tuo stato naturale fai attenzione a non perdere la consapevolezza né trattenere nulla in mente. Lascia ogni cosa così com’è senza cadere in uno stato di torpore o lasciarti distrarre dai pensieri. Se ti distrai non preoccuparti perché la preoccupazione è un pensiero come gli altri e, comunque, nel momento in cui ti accorgi di esserti distratto sei già presente a te stesso.
Provaci proprio ora!
Se queste parole risuonano nelle tue orecchie e riecheggiano nella tua mente, se accrescono la tua conoscenza, se riempiono il tuo quaderno e la tua bocca, se esse non ti inducono a lasciare tutto questo, non sono parole sacre ma mondane.
Suvvia, chiudi il tuo quaderno e smetti di guardarmi!
Silenzio…
La coscienza senza punti di riferimento è il Grande Sigillo. Prendendo dimestichezza con questo stato si ottiene il sommo risveglio.
Il Grande Sigillo della vera divinità è come lo spazio sconfinato e vuoto: nella coscienza senza punti di riferimento esso si rivela in modo spontaneo.
Quand’è che si hanno punti di riferimento? Quando la mente si aggrappa a obiettivi prestabiliti e spera di realizzarli, a schemi determinati e si sforza di seguirli, a immagini di sé, degli altri, delle cose e continua ad alimentarle. Lo stato naturale della coscienza è libero dalle illusioni della mente.
Prendendo dimestichezza con questo stato naturale si impara a rilassarsi lasciando che i pensieri si dissolvano spontaneamente. In questo modo l’attaccamento alle proprie fissazioni si allenta, i legami si sciolgono e senza dubbio si è liberi.
Tuttavia fai attenzione: pure il concetto di ciò che dovrebbe essere il sommo risveglio è un punto di riferimento! Ricordi cosa dice Tilopâ proprio all’inizio? “Il Grande Sigillo non può essere insegnato”. Chi sostiene il contrario è blasfemo e, se ne è convinto, inganna anche se stesso oltre agli altri.
La visione del Grande Sigillo, che è chiara luce, non può essere conseguita attenendosi alle esposizioni dogmatiche e alle scritture proprie sia del sistema exoterico - ammaestramenti (sûtra), regole etiche (vinaya), studi filosofici (abhidharma) e perfezioni (pâramitâ) - sia di quello esoterico (tantra). Infatti la visione della chiara luce è oscurata dal dogmatismo.
La chiara luce del Grande Sigillo non può essere oscurata dal ciclo delle ere cosmiche, tuttavia la comprensione della sua natura è ostacolata dal dogmatismo.
Tilopâ sembra un iconoclasta, in realtà egli enuncia un principio sacrosanto: l’attaccamento a qualsiasi sistema exoterico o esoterico è un limite perché la verità trascende qualunque barriera, non è vincolata a una formulazione, a parole, concetti, immagini, comportamenti determinati, e neppure consiste in qualche esperienza mistica. Chi crede di conseguirla attenendosi alle esposizioni dogmatiche e alle scritture di qualsiasi religione, dottrina e disciplina, non la realizzerà mai.
Nella nostra dimensione tutto è transitorio e sottoposto alla legge del continuo fluire, perciò anche i vari sistemi lo sono. Tuttavia si afferma che la religione è come un traghetto e il maestro è paragonabile al traghettatore: entrambi sono necessari per passare all’altra sponda.
E se non ci fossero sponde?
Tilopâ non fa l’esempio delle sponde. Per lui la realtà ultima è come lo spazio sconfinato rispetto al quale i vari sistemi sono come nuvole, alcune più chiare, altre più scure. Egli dice anche che la consapevolezza della verità autentica è come il sole alto nel cielo, così abbagliante che l’uomo non può guardarlo direttamente senza rimetterci la vista fisica: per questo esistono le nuvole… o gli occhiali da sole.
Tilopâ invita a essere quella consapevolezza, a essere il sole radioso nello spazio onnipervadente e illimitato.
Finché consideri la coscienza come qualcosa di individuale, come una persona o un io da analizzare, soddisfare, purificare, punire, eliminare o divinizzare, non puoi essere la coscienza stessa in cui non c’è divisione tra soggetto e oggetto.
Lascia perdere le sponde, le nuvole o gli occhiali da sole, e sii come il sole nello spazio.
L’osservanza dogmatica dei precetti equivale a non mantenere il vero impegno.
Non avere fissazioni è libertà dal dogmatismo.
[Il pensiero] è come l’onda che si alza e ritorna naturalmente.
Se non si perde la consapevolezza del valore autentico, al di là di idee fisse e comportamenti rigidi, l’impegno [spirituale] è mantenuto come una lampada che elimina l’oscurità.
Quando ci si attiene a un sistema in modo dogmatico si hanno anche dei precetti da osservare. Seguire una regola è come vivere in una prigione. In alcuni casi, quando non si è in grado di vivere spontaneamente in modo educato e rispettoso, certe regole possono essere utili, tuttavia esse non conducono alla libertà.
Il vero impegno (samaya) di cui parla Tilopâ è essere liberi dal condizionamento delle proprie fissazioni, dei giudizi e delle passioni personali. Quando non ci si aggrappa più ad alcuna immagine di sé, degli altri e di qualunque cosa, si ha la visione della coscienza libera dal dogmatismo e si vola via dalla prigione dei rigidi precetti.
Non è necessario sforzarsi di eliminare le immagini condizionanti, infatti i pensieri si dissolvono naturalmente come le onde: se smetti di agitare l’acqua, ossia la tua energia psichica, con le preoccupazioni, le speranze, i timori, lo sforzo per conseguire la tua realizzazione, le onde si calmano in modo spontaneo.
La verità non sta nelle regole. Il «valore autentico» risiede solo nella coscienza, mai fuori di essa. Quando si ha questa consapevolezza si lasciano le idee fisse e i comportamenti rigidi ma non si abbandona il proprio impegno spirituale: esso risplende spontaneamente, senza sforzo o tensione alcuna, come una lampada che elimina all’istante ogni oscurità.
Quando si è liberi dal dogmatismo, perché non ci si fissa più su una conclusione, si consegue la visione [del vero significato] di tutti gli insegnamenti.
I vari insegnamenti hanno certamente un valore autentico, ma non lo si può scoprire finché si rimane legati alle loro parole, ai concetti, alle immagini, alle norme. Quel valore è la verità universale che trascende i dogmi delle differenti dottrine e le conclusioni dei ragionamenti umani.
Se si penetra questa verità ci si libera dalla gabbia del divenire. Se si contempla questa verità si brucia tutto ciò che oscura e causa sofferenza. [Chi così realizza] è detto «lampada dell’insegnamento».
La consapevolezza della verità universale è ciò che rende liberi dalla gabbia del divenire (sa&sâra), dalla prigione dei condizionamenti. Essa è la chiara luce che risplende nella coscienza di tutti gli esseri umani. Chi ne ha la visione non conosce più momenti bui perché rimane unito alla fonte di ogni luce. Un tale essere è la vera «lampada dell’insegnamento», dice Tilopâ.
Gli sciocchi che non stimano questa verità finiscono per lasciarsi trascinare dalla corrente del divenire. Poveri sciocchi [che devono sopportare] questa insopportabile sofferenza!
Se essi desiderano porvi fine devono seguire una guida esperta e far discendere nel proprio cuore l’energia spirituale, così la loro coscienza sarà libera.
Sono sciocchi coloro che non riconoscono la verità universale della libertà interiore e si lasciano trascinare dalla corrente del divenire nella ricerca continua del proprio benessere, materiale e spirituale.
La ruota della fortuna gira senza sosta: ricchezza e miseria, fama e discredito, felicità e afflizione, bellezza e bruttezza, virtù e vizio, nascita e morte, paradiso e inferno. Gli sciocchi che non conoscono la vera libertà non possono che soffrirne. Costoro, se desiderano por fine al processo doloroso dell’illusorio divenire, dovrebbero seguire una guida esperta e far discendere nel proprio cuore l’energia spirituale.
Che cosa intende dire Tilopâ con queste parole? Egli sta spiegando al suo discepolo Nâropâ che ci sono persone, sia laiche che religiose, le quali non riescono ad accettare i consigli precedenti come veri e validi perché sono convinti di dover diventare qualcos’altro da ciò che sono e di poterlo fare sforzandosi di modificare il presente in vista del conseguimento futuro.
Se si ha una tale mentalità mondana può essere utile seguire un maestro, riconoscendolo come la perfetta realizzazione del proprio ideale spirituale, e aprirsi all’energia della sua aura immaginando che la luce del suo puro influsso penetri nel proprio cuore fino a sentire di essere una cosa sola col maestro medesimo.
Così come un pezzo di metallo diventa incandescente se messo a contatto con i carboni ardenti, la mente, a contatto con la limpida coscienza del maestro, si purifica lasciando emergere lo stato di pura consapevolezza in cui soltanto si può comprendere la natura del Grande Sigillo.
Questa meditazione devozionale si chiama «identificazione col maestro» (guru-yoga), è collegata alla prima iniziazione esoterica e costituisce l’essenza del «sigillo dell’impegno» (samaya-mudrâ). Nâropâ la praticò intensamente e a lungo immaginando il maestro nella forma della coppia divina chiamata Cakrasa&vara in cui contemplava l’unione di tutti i maestri e delle molteplici manifestazioni divine.
Io ricevetti la prima iniziazione, ovvero il «potenziamento del vaso», all’età di sette anni dal mio maestro principale, l’abate del monastero in cui ero entrato l’anno prima.
Egli non conferiva le quattro iniziazioni dei Tantra Superiori (Anuttarayoga) tutte insieme, come invece fanno la maggior parte dei Lama secondo una consuetudine moderna, bensì dava soltanto le iniziazioni che riteneva necessarie e in tempi diversi secondo la regola antica seguita dal grande maestro Padmasambhava. A me il maestro le conferì tutte e quattro.
Dal momento in cui ricevetti il «potenziamento del vaso» dovetti impegnarmi a meditare quotidianamente sulla mia identificazione col maestro nella forma maschile del divino «Essere Adamantino» (Vajrasattva) immaginando nel contempo tutto il mondo come il suo paradiso e tutti gli esseri come le sue manifestazioni pacifiche e irate.
Anche dopo la meditazione era estremamente importante che io non mi distraessi dal principio dell’identificazione col maestro, ma continuassi a considerare ogni cosa come divina per natura, senza discriminare tra amici e nemici, piacevole e spiacevole, superiore e inferiore.
Questa pratica è insegnata in molte religioni, ma oggi sono poche le persone che ne vivono il significato effettivo quotidianamente. Chi crede di riuscirci è bene che osservi se stesso durante la giornata per vedere fino a che punto è libero dalla rete della discriminazione.
Oh, vivere condizionati dal divenire non ha senso e causa sofferenza. L’azione [mondana] è senza valore, perciò si consideri cos’ha valore e senso.
Finché si discrimina si rimane condizionati da desideri e paure, simpatie e antipatie, conoscenze ed esperienze personali, nella ricerca incessante dell’autoaffermazione. Tale vita non è altro che azione mondana, egocentrica, priva di qualsiasi valore spirituale. Allora cos’ha davvero senso? Quali sono i valori autentici?
Il supremo modo di vedere è trascendere soggetto e oggetto.
La suprema meditazione è non essere distratti.
La suprema condotta è assenza di sforzo.
La realizzazione della meta è non avere né speranza né timore.
Chi ha una visione spirituale probabilmente risponderà che i valori autentici sono quelli della religione. Ma in cosa consiste la religione?
Se si considera la religione nell’ottica del divenire si può credere in un Dio personale, in un’anima individuale, in un maestro realizzato, in una realtà perfetta astratta o ideale da contemplare o realizzare per il proprio beneficio. Queste concezioni sono tutte caratterizzate dalla separazione tra il soggetto e l’oggetto, l’io e gli altri, se stesso e ciò che si desidera raggiungere. “Il supremo modo di vedere è trascendere soggetto e oggetto”, dice Tilopâ.
Se si è distratti quando si prega, si recitano mantra, si visualizzano simboli e immagini sacre, si fanno rituali, si controlla il respiro o altro ancora, non si sta facendo la vera meditazione. Molti istruttori di meditazione insegnano a non distrarsi tramite la concentrazione mentale, nondimeno esiste una forma sottile di distrazione che consiste proprio nel fissare l’attenzione su un oggetto concreto o immaginario. “La suprema meditazione è non essere distratti”, dice Tilopâ.
Se ci si sforza di seguire i precetti non li si vive in modo spontaneo. Quando il proprio comportamento non è un’espressione naturale dell’essenza divina impersonale, bensì è condizionato da ambizioni e pregiudizi, implica sempre sforzo, tensione, contrasto, lotta, imposizione. “La suprema condotta è assenza di sforzo”, dice Tilopâ.
Se si nutrono aspettative e paure rispetto alla realizzazione spirituale occorre capire che la vera meta è già presente qui e ora perché non è altro che la propria natura originaria. Questa consapevolezza è la lampada della fede pura, la coscienza luminosa dell’eterno presente che dissipa all’istante l’oscura illusione del passato e del futuro. “La realizzazione della meta è non avere né speranza né timore”, dice Tilopâ.
Perché Tilopâ parla in questo modo subito dopo aver detto che si può conseguire la liberazione seguendo un maestro e facendo discendere nel proprio cuore la sua energia spirituale? Non è forse una contraddizione?
Nâropâ era molto intelligente e profondamente devoto verso il proprio maestro, ma era anche un gran testone. Per otto anni fu abate dell’importante monastero buddhista di Nâlandâ, in India. A quell’epoca conosceva molto bene le scritture, sia exoteriche che esoteriche, la logica, le filosofie delle differenti scuole, le tecniche di meditazione e i rituali della religione buddhista, inoltre aveva già composto le sue dotte opere. Nondimeno, un bel giorno, mentre meditava sui sacri testi, capì che, in verità, il loro significato reale non lo aveva ancora realizzato; così abbandonò tutti i libri, gli incarichi del monastero e si mise alla ricerca del vero maestro. Questo testo raccoglie i primi consigli sul Grande Sigillo che egli ricevette da Tilopâ sulle rive del Gange.
Nâropâ, essendo molto abile nella dialettica, strenuo difensore dell’ortodossia buddhista nelle controversie con gli induisti, era ostinato e caparbio nel sostenere le proprie convinzioni; il maestro lo sapeva molto bene e per questo, con pazienza e fermezza, iniziò l’opera di demolizione della torre del discepolo.
In questi ultimi consigli Tilopâ utilizza il paradosso e la contraddizione proprio per indicare a Nâropâ i limiti della sua mente: l’identificazione col maestro o, comunque, con un essere considerato divino implica la separazione tra soggetto e oggetto, altrimenti non ci sarebbe l’altro con cui identificarsi; implica la distrazione dalla propria vera natura, altrimenti non si sentirebbe il bisogno di identificazione; implica lo sforzo, altrimenti non si cercherebbe di praticare la meditazione; implica la speranza e il timore, altrimenti si rimarrebbe così come si è.
La vera natura della coscienza è chiarezza al di là delle immagini.
La meta della via degli esseri risvegliati è conseguita senza una via da percorrere.
Il sommo risveglio è realizzato senza qualcosa da praticare.
Tilopâ aveva capito che nello stato naturale della coscienza i sensi funzionano perfettamente ma la percezione dei fenomeni non è più filtrata dalle immagini mentali. Infatti le immagini della mente sono proiezioni soggettive e ingannevoli sulla realtà così com’è. Se questa è la vera natura delle cose, che bisogno c’è di immaginare il maestro o un suo simbolo?
Anche la via spirituale è un’immagine mentale e percorrerla implica sforzo. Solo quando si abbandona il concetto di via e lo sforzo per percorrerla si raggiunge la meta della vera via senza percorso. Allora, che bisogno c’è di cercare di identificarsi col maestro?
Infine, secondo Tilopâ, per realizzare il sommo risveglio non è necessario sviluppare qualche abilità particolare grazie a specifiche pratiche ascetiche, mistiche, magiche o di altro tipo. Allora, che bisogno c’è di allenarsi a meditare sull’energia spirituale del maestro identificandosi col suo stato di coscienza?
Nâropâ, gran testone, non capì, così Tilopâ gli lanciò un’altra esca:
Oh, considera bene l’esistenza mondana. Essa è transitoria, come un’illusione e un sogno non è qualcosa di reale. Perciò pèntiti e lascia l’azione mondana. Taglia completamente i legami affettivi con il tuo seguito e il tuo paese. Medita da solo in un eremo di montagna o nella foresta.
Nâropâ fu contento di sentire che il maestro, finalmente, gli stava dando indicazioni di metodo più precise, così pensò che durante il ritiro ne avrebbe messo in pratica i consigli meditando principalmente sulla propria identificazione con lo stato di coscienza del maestro. Ma Tilopâ proseguì così:
Rimani nello stato in cui non c’è nulla da meditare.
Quando otterrai ciò che non è da ottenere, allora otterrai il Grande Sigillo.
Purtroppo Nâropâ era così ben corazzato che queste parole non raggiunsero il suo cuore. Egli infatti le intese nel senso che, dopo la propria identificazione col maestro, avrebbe dovuto concentrare la mente sullo spazio vuoto, perché era in questo modo che aveva interpretato le indicazioni precedenti riguardanti lo spazio etereo.
Nâropâ considerava l’identificazione col maestro tramite la meditazione sulla sua immagine simbolica, umana o divina, come l’essenza del «processo dello sviluppo» (bskyed-rim) che costituisce la prima parte dei metodi di meditazione esoterici, e la concentrazione sullo spazio vuoto come la base del «processo del completamento» (rdzogs-rim) in cui consiste la seconda e ultima parte.
Egli riteneva che le istruzioni precedenti di Tilopâ riguardassero principalmente quella fase del secondo processo in cui si medita senza nulla da meditare, proprio perché ci si concentra sullo spazio etereo privo di nubi dove, prima o poi, si dovrebbe avere la visione della forma vacua della divinità che egli chiamava mahâmudrâ.
Dal tronco di un grande albero si sviluppano rami e foglie, però se lo si taglia di netto alla base tutti i rami seccano.
In modo simile, quando si recide la mente alla base seccano le foglie [e i rami] del divenire.
Siccome Nâropâ continuava a travisare condizionato dal sapere accumulato, Tilopâ cercò di fargli capire che tutte le esperienze e le convinzioni sono come i rami e le foglie dell’albero del divenire: la mente ne costituisce la base, che va recisa di netto con un taglio deciso.
Nâropâ era convinto che, per poter disperdere la propria oscurità, accumulata vita dopo vita durante interminabili ere cosmiche a causa dell’ignoranza della vera natura delle cose, fosse necessario accumulare buone azioni e saggezza nel corso di innumerevoli vite. Per questa ragione egli non colse il senso effettivo dell’esempio precedente. Così Tilopâ ribadì il medesimo principio ricorrendo all’esempio dell’unica lampada che elimina il buio delle ere.
L’oscurità accumulata durante le ere cosmiche è cancellata da una lampada.
Similmente, l’unica chiara luce della propria coscienza dissipa gli oscuri ostacoli dell’ignoranza accumulati durante le ere cosmiche.
In genere si ritiene che la lampada nel contesto delle ere sia un Buddha la cui venuta è portatrice di luce spirituale, e questa fu anche l’interpretazione immediata di Nâropâ. Tuttavia Tilopâ precisò che la vera lampada è soltanto la consapevolezza della propria essenza divina che, in un attimo, cancella l’oscurità dell’ignoranza e delle conseguenti azioni negative accumulate nel passato, anche durante le infinite esistenze precedenti.
Oh, tramite l’intelletto non si ha la visione di ciò che lo trascende; tramite l’azione non si comprende ciò che la trascende.
Pure tu, come il discepolo Nâropâ, ricerchi la verità tramite l’intelletto condizionato dalla conoscenza accumulata; pure tu ti sforzi di fare qualcosa per realizzare lo scopo della tua vita.
Se desideri attingere ciò che trascende l’intelletto e l’azione, recidi la tua mente alla base e lascia la consapevolezza nuda.
Lascia che l’impura acqua dei pensieri si schiarisca.
Lascia la realtà fenomenica così com’è, senza affermare né negare.
Se continui a chiederti come è possibile trascendere l’intelletto e l’azione, ascolta Tilopâ: “recidi la tua mente alla base e lascia la consapevolezza nuda”. Ecco l’essenza dei consigli sul Grande Sigillo.
Recidere la mente alla base vuol dire spezzare la catena dei condizionamenti, dare un taglio netto alle proprie abitudini disordinate, ai pensieri negativi, alle passioni nocive.
A questo non puoi arrivare sforzandoti di correggere il tuo comportamento, ma soltanto rimanendo consapevole in uno stato di pura osservazione, senza più reagire agli stimoli impulsivamente.
Ora facciamo un esperimento.
In questo bicchiere pieno d’acqua pura metto un po’ di terra. Come vedi l’acqua si intorbida, sebbene sia per natura limpida.
Se lasciamo il bicchiere fermo per un po’ l’acqua si schiarisce da sola…
Se agitiamo il bicchiere l’acqua diventa ancora una volta torbida…
Il bicchiere è come l’organismo psicofisico. L’energia psichica è come l’acqua. Le passioni, i pensieri negativi e le idee dogmatiche sono come la terra che intorbida l’acqua.
Non c’è modo che l’acqua si schiarisca rimescolandola o scuotendone il recipiente.
Per questo motivo il consiglio essenziale di Tilopâ è soltanto uno: “Lascia la realtà fenomenica così com’è, senza affermare né negare”.
Non aggrapparti a sensazioni e pensieri, non reprimerli neppure inibendoti. Sii semplicemente consapevole: renditi conto di ciò che si muove in te, osserva gli impulsi e il meccanismo delle reazioni senza modificare nulla né distrarti.
Quando non c’è più attaccamento né rifiuto [si comprende che] l’esistenza è il Grande Sigillo.
Se metti in pratica questo consiglio in modo radicale e subitaneo, senza rinunciare a fare le esperienze di cui senti il bisogno e senza rimanerne invischiato, puoi capire davvero che cosa intende Tilopâ quando afferma che l’esistenza è il Grande Sigillo.
Sappi che ogni aspetto del vivere, qualsiasi essere o cosa è una manifestazione della divinità suprema. Tutto è un segno del trascendente!
Non sono io il maestro del Grande Sigillo più di quanto non lo sia il lebbroso che hai incrociato sulla strada, il bambino povero che gioca in mezzo ai rifiuti, il mendicante al quale hai fatto l’elemosina, il cane rognoso che hai scacciato, la passione che ti scuote, i sogni che ti illudono, le paure che ti inseguono, le speranze che ti allettano, i piaceri che ti seducono e tutto il resto: se tu smettessi di discriminare e fossi attento ai segni capiresti.
La base di tutto è non nata, perciò è libera dal condizionamento delle tracce psicologiche.
Rimani nell’essenza non nata, senza orgoglio e calcolo.
Lascia che i fenomeni appaiano naturalmente e le immagini mentali si dissolvano.
Il Grande Sigillo della vera divinità è il fondamento universale, la base di tutto ciò che esiste, paragonabile allo spazio originario secondo la cosmologia buddhista.
La base suprema, essendo la realtà assoluta e primordiale, non ha una causa che la precede, quindi non è nata da qualcos’altro preesistente. Siccome non è soggetta al divenire, essa non è condizionata da nulla, neppure dalle tracce che le esperienze lasciano impresse nella mente determinando il proprio comportamento. Perciò non ricercare il Grande Sigillo tramite la mente e nelle esperienze, per quanto sublimi esse possano sembrarti, ma rimani nel tuo stato naturale, nello spazio sconfinato della tua essenza incausata.
Se ti accade di fare qualche esperienza straordinaria, mistica, potente, rivelatrice, luminosa, e pensi che con essa tu ti sia avvicinato alla realtà suprema, sappi che il tuo piccolo io si sta gonfiando di orgoglio anche se non te ne sei ancora accorto.
Se credi che la tua vicinanza al divino, al non nato, all’assoluto, sia misurabile in base alla quantità di buone azioni compiute e alla saggezza accumulata, e desideri sapere quale livello evolutivo hai raggiunto, sappi che la mente egocentrica sta per intrappolarti nella sua fitta rete.
Se vuoi salvarti dalla trappola diabolica della mente orgogliosa e calcolatrice ascolta Tilopâ: “Lascia che i fenomeni appaiano naturalmente e le immagini mentali si dissolvano”. Tu conosci già il significato di questo consiglio, ora sta a te attuarlo durante la vita quotidiana.
Se hai ancora dubbi su come vivere l’insegnamento del Grande Sigillo considera attentamente questi quattro aforismi:
Il supremo modo di vedere è la completa libertà dal dogmatismo.
La suprema meditazione è la vasta profondità senza confini.
La suprema condotta è la rottura dei limiti.
La suprema meta è lo stato naturale senza più aspettative.
1) Studia pure qualsiasi visione del mondo, se ne senti il bisogno, ma non assolutizzarne nessuna perché un sistema di pensiero rigido e fisso è sempre limitato.
La verità del Grande Sigillo sta nella libertà dalle catene delle convinzioni; però anche questa asserzione può diventare una catena, se è utilizzata come uno slogan o se è impugnata come una bandiera.
2) Prova pure varie tecniche di meditazione, se ciò serve alla tua crescita, ma non ti fermare alle loro esperienze limitate perché il Grande Sigillo non conosce supporto, mezzo e termine.
La meditazione finale è non fissarsi su nessuna esperienza meditativa; però se ti aggrappi anche alla non meditazione hai eretto una nuova barriera.
3) Adotta pure delle regole, se ti pare che possano esserti utili, ma non restarne intrappolato perché in ogni aspetto della vita è impresso il segno del Grande Sigillo.
La vera purezza è un atteggiamento interiore; però non trasgredire la legge, rispetta i costumi degli altri e adottali liberamente se le circostanze lo richiedono e ciò non danneggia nessuno.
4) Persegui pure i tuoi obiettivi, se ti sembrano nobili e giusti, ma ricordati che la tensione psichica è una malattia. Se hai successo non inorgoglirti, se non ce l’hai o lo perdi non abbatterti.
La vera meta è trascendere l’ambizione del proprio ego; però, se ti aspetti che gli altri vivano come te, non hai ancora capito che ognuno deve suonare la propria parte nella grande orchestra della vita impersonale.
[La mente del] principiante all’inizio è come una cascata, poi diventa come il fiume Gange che scorre tranquillo, infine è come il confluire dei fiumi [nell’oceano, quando] madre e figlio si incontrano.
Chiunque metta in pratica questi consigli di Tilopâ può scoprire che all’inizio la propria mente è come una cascata di pensieri e immagini; non è necessario cercare di fermarla bloccandone il flusso, perché in esso non c’è nulla di preoccupante. È come aver scoperchiato il pentolone della mente in ebollizione.
Se si abbassa la fiamma rilassandosi in modo sempre più profondo e completo, si può scoprire che pian piano la propria mente diventa come un grande fiume che scorre tranquillo. I pensieri, le fantasie, i ricordi, i sogni continuano a sorgere, ma senza impetuosità, cosicché si è in grado di navigare liberamente sull’acqua e anche di nuotarvici, rimanendo consapevoli sia nella tranquillità che nel frastuono esteriori, sia nella stasi che nel movimento interiori.
Queste esperienze sono abbastanza comuni, invece quelle successive sono proprie di alcuni contemplativi e mistici, mentre la maggior parte degli esseri umani le fa soltanto al momento della propria morte o in seguito.
Quando il fuoco sotto il pentolone diventa così piccolo che l’acqua non ribolle più, la consapevolezza di sé dimora liberamente in uno stato di vuoto mentale paragonabile allo spazio tra due pensieri. In questo stato di coscienza i pensieri possono sorgere quando sono necessari, ma quando non lo sono più si dissolvono spontaneamente nel vuoto. Durante l’intero processo la propria consapevolezza permane indisturbata.
Quando poi il fuoco sotto il pentolone viene spento e il suo contenuto ben cotto finisce nello stomaco di uno o più individui per nutrirli, è il momento in cui il soggetto e l’oggetto diventano una sola cosa. In questo caso si dice che il fiume confluisce nel mare. Le immagini della fantasia si dissolvono, la mente perde il senso di separazione rispetto a tutto il resto e la coscienza individuale ritorna alla coscienza universale come un bimbo che ritrova la propria madre.
Se si è dotati di capacità inferiori, non essendo in grado di rimanere nello stato naturale [grazie alle istruzioni precedenti], occorre mantenere la pura consapevolezza attraverso il controllo della respirazione. [Inoltre] tramite la fissazione dello sguardo si può concentrare la mente in vario modo, finché non si riesce a rimanere in uno stato di [pura] consapevolezza.
Secondo Tilopâ ci sono persone che sono in grado di mettere in pratica i consigli essenziali sul Grande Sigillo senza dover meditare sul maestro e sulla transitorietà e illusorietà dell’esistenza; esse non hanno neppure bisogno di tagliare i legami affettivi e ritirarsi in solitudine per riuscire a rilassarsi e riscoprire la propria essenza spirituale. Costoro sono dotati di capacità superiori rispetto agli altri.
Ci sono poi parecchie persone che, come afferma Tilopâ, non essendo in grado di rimanere nello stato naturale grazie alle istruzioni precedenti, non appartengono alla categoria superiore né a quella media, bensì a quella inferiore di chi necessita di altri metodi ancora.
Sia ben chiaro che questa suddivisione degli individui in categorie è puramente metodologica e pragmatica, in quanto riguarda soltanto le differenti modalità conoscitive e non implica alcun giudizio di valore sull’effettivo livello spirituale delle singole persone. È come dire che ci sono persone più intuitive, altre più razionali o emotive: quelle intuitive sono superiori solo perché possono comprendere prima delle altre il vero significato dell’essenza che trascende il pensiero razionale e le emozioni.
Chi appartiene alla terza categoria potrebbe esercitarsi a controllare gradualmente il respiro, regolandone le fasi e ampliandone l’apnea perché, come dice un’antica sentenza indiana, il respiro è paragonabile a un cavallo e la mente al suo cavaliere.
Un’altra pratica graduale consiste nel fissare lo sguardo verso il basso, diritto o in alto e, nel contempo, concentrare la mente su un oggetto concreto o visualizzato, oppure sullo spazio vuoto, all’esterno di sé o nel proprio corpo.
Lo scopo fondamentale di tali tecniche è riuscire a rimanere nello stato di pura consapevolezza, in cui la mente è vuota oppure i pensieri e le sensazioni sono presenti ma non distraggono. Alcuni di questi metodi vengono utilizzati anche nella tradizione esoterica in relazione alla seconda iniziazione e al «sigillo dell’insegnamento» (dharma-mudrâ).
Io ricevetti la seconda iniziazione, ovvero il «potenziamento segreto», all’età di dieci anni. Seguendo scrupolosamente le spiegazioni del maestro sulle tecniche di respirazione, le posture fisiche e le visualizzazioni, imparai prima di tutto a concentrare l’energia psichica nei gangli sottili (cakra) della testa, della gola, del cuore e dell’ombelico, e successivamente a elevarla dal ganglio sessuale fino a quello della testa.
è molto importante adottare metodi la cui validità sia provata. L’ideale è seguire le istruzioni di un maestro della disciplina per evitare di danneggiare la propria salute fisica e l’equilibrio mentale con esercizi di respirazione e concentrazione dannosi o mal eseguiti.
Se ci si affida al «sigillo dell’azione» si può sperimentare il sentire [non duale] del piacere e del vuoto: quando la sacra energia del metodo e dell’intuizione è armonizzata, va fatta scendere lentamente, poi dev’essere trattenuta, tirata indietro, ricondotta alla fonte ed espansa in tutto il corpo. In questo momento, se non c’è più desiderio, sorge il sentire [non duale] del piacere e del vuoto.
La terza iniziazione esoterica abilita alla pratica del «sigillo dell’azione» (karma-mudrâ), ovvero al rapporto d’amore eterosessuale, accettato dal buddhismo tantrico come un possibile mezzo salvifico, a differenza della tradizione exoterica fondata esclusivamente sull’istituzione monastica.
Nâropâ, quando ricevette questi ultimi consigli, conosceva già la via dell’unione sessuale consacrata secondo il rituale esoterico, tuttavia provava ancora attaccamento per la donna, inoltre era convinto che non fosse possibile conseguire il pieno risveglio spirituale senza l’esperienza del piacere sessuale opportunamente controllato e incanalato verso l’alto.
Nâropâ doveva ancora capire che nessuno ascende spiritualmente tramite il piacere sessuale, tuttavia il sesso può far superare grandi ostacoli se è espressione di vero amore. L’amore è elevato quando è un sentire che non contrappone soggetto e oggetto in un rapporto dualistico di dominio, sfruttamento e possessività ma, al contrario, li armonizza in una relazione non duale di uguaglianza, fusione e non separazione.
A questo fine nel buddhismo esoterico il coito viene considerato come l’unione degli aspetti complementari della divinità: il metodo maschile e l’intuizione femminile. Durante il rapporto d’amore l’uomo e la donna si visualizzano come esseri divini. L’immagine della Fata Adamantina è proprio una delle tante rappresentazioni femminili della divinità.
Inoltre secondo i Tantra è necessario imparare a non disperdere l’energia sessuale, ma trattenerla e poi ricondurla dall’organo sessuale alla testa.
Se nel gioco amoroso c’è sia libertà che comprensione della sua sacralità, a un certo punto il desiderio passionale si dissolve come una nuvola nello spazio celeste in cui, però, continua a vibrare la sensazione del piacere. Tilopâ dice che in quel momento sorge il sentire non duale del vuoto e del piacere, ovvero lo stato di pura consapevolezza.
[Chi pratica in questo modo] avrà vita lunga senza capelli bianchi e crescerà come la luna; avrà un aspetto luminoso e la forza del leone; otterrà velocemente i poteri ordinari e rimarrà assorbito nel sommo risveglio.
Tilopâ afferma che il rapporto sessuale vissuto tenendo conto delle indicazioni precedenti non può causare deperimento fisico né squilibrio psichico.
Quando ricevetti la terza iniziazione tantrica avevo dodici anni ed ero monaco ma, nonostante ciò, il mio maestro mi autorizzò sia a immaginare il rapporto sessuale, sia a sperimentarlo concretamente in accordo con i precetti dell’iniziazione. Secondo la mia tradizione non c’è alcuna contraddizione in questo, perché i voti del monaco sono exoterici e non vengono infranti dall’osservanza dell’impegno tantrico che è esoterico. La differenza fondamentale tra un monaco tantrico e un laico è che il primo non crea un nucleo familiare. Comunque, un vero praticante dei Tantra ortodossi non è un libertino. Egli rimane casto ma senza essere limitato dalle rigide regole dell’etica monastica.
La vera castità è il perfetto controllo della propria mente, della propria energia psichica. È da tempo che i monasteri sono pieni di dissoluti, mentre fuori da quelle anguste mura ci sono molti laici che vivono in modo casto, pur non avendo preso i voti.
Questa istruzione personale sull’essenza del Grande Sigillo possa rimanere nel cuore degli esseri destinati [a riceverla].
In seguito a questi consigli Nâropâ dedicò parecchi anni alla pratica delle meditazioni collegate alle iniziazioni esoteriche qui indicate.
Egli seguì la propria via graduale con determinazione e devozione finché, un bel giorno, non intuì il vero significato dei consigli fondamentali di Tilopâ sull’essenza della coscienza che trascende l’intelletto e l’azione. Fu a questo punto che Nâropâ ricevette gli ultimi consigli sulla quarta iniziazione e, finalmente, riuscì ad accedere alla via breve della comprensione subitanea.
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