Seneca
Saggezza Stoica
L'uomo, il mondo e Dio
a cura di Carlo Luigi Torchio

 


 

INDICE

 

La lezione di Seneca

1. Fraternità ed eguaglianza
La natura ci ha creati fratelli
L’uomo dovrebbe essere una cosa sacra per l’uomo
Liberi e schiavi
L’uomo faccia del bene agli uomini
È la natura a volere che io mi renda utile agli altri
L’ingratitudine non deve distoglierci dal fare il bene
Portare aiuto anche ai nostri nemici
La nostra patria è il mondo

2. Il bene, la virtù e la felicità
Se non è morale, nessuna cosa è buona
Il denaro non è un bene
Non perdere di vista il bene supremo
Solo bene è il bene morale
Sarai di guida a molti, se avrai come guida la ragione
Le cose vanno sempre peggio?
Una vita felice è il risultato di una perfetta saggezza
Basta la virtù per vivere felici
A farci soffrire è più spesso una supposizione che un fatto reale
La buona coscienza
Assecondare l’opera di Dio
C’è bisogno di qualcuno su cui regolare la nostra condotta
Dimostra coi fatti le tue parole
Ogni vita è una schiavitù
Le nostre ambizioni non vanno spinte lontano
Ogni condizione può cambiare
Chi vive sempre sotto una maschera
All’animo va consentito di rilassarsi

3. Il tempo, la vita e la morte
Solo il tempo è nostro
È molto il tempo che perdiamo
Imparare a vivere
Il tempo lo si dà via come se fosse una cosa da nulla
Siete avidi di tutto, come se foste destinati a non morire mai
La nostra vita dura meno di un attimo
Coloro che dimenticano il passato
Il presente è così breve da restare inafferrabile
Non c’è niente di sicuro per nessuno
Non siamo padroni neanche del domani
Aspettare senz’ansia il domani
Vivi subito
Dobbiamo prepararci alla morte
Il bene non consiste nel vivere, ma nel vivere bene
Per lasciare serenamente la vita
Non c’è viaggio che non abbia fine
Anche quando cresciamo noi, decresce la vita
La morte è il giorno della nascita all’eternità
Viviamo tra cose destinate a perire
Chi ha un animo grande, obbedisca a Dio

4. La vita interiore e la vita contemplativa
L’esame di coscienza
Tu parli in un modo e vivi in un altro
Non c’è nulla di straordinario tranne l’anima
Non è sterile la vita contemplativa
Da soli saremo migliori
Chi studia queste cose rende onore a Dio
La vita appartata
Viviamo sul modello degli altri

5. Dio e la provvidenza
Non cercherò di sapere chi ha creato le cose?
Dentro di noi abita uno spirito divino
Senza Dio non c’è fermezza nel bene
Chi prende a modello gli dei, li onora abbastanza
Parla con Dio, come se gli uomini ti potessero sentire
Perché càpitano tante disgrazie a chi è buono?
Dio ha l’animo di un padre
È un infelice chi non è mai stato infelice
Infelice chi vegeta per un eccesso di fortuna
Dio tempra le persone che stima
I buoni vengono perseguitati per diventare più forti
Insegnare la sofferenza agli altri

  


 

PASSI SCELTI

  

La lezione di Seneca

Quello di Seneca è un grande messaggio di fratellanza, un invito alla non violenza, un’esortazione all’impegno per gli altri, alla vita attiva (actio) conciliata con la vita contemplativa (otium, contemplatio) che consente i maggiori traguardi nella vita dello spirito all’uomo degno di questo nome, e cioè all’uomo d’animo buono (vir bonus).

La filosofia viene riportata al suo compito primitivo, alla sua vocazione di studium sapientiae, cioè di amore e ricerca della saggezza. Di qui la centralità della filosofia etica e l’esperienza morale partecipata agli altri. Ne nasce una grande esperienza spirituale, vissuta in comunanza di sentimenti e di propositi con altri, e specie con amici e discepoli (Sereno, Paolino, Lucilio…).

Non è una saggezza per iniziati, non ha la superbia di rivelare segreti accessibili a pochi. è una saggezza che parla a tutti con la lingua di tutti, che si misura quotidianamente con la vita in un rapporto che non è solo di ascesi (dal greco áskesis: «costante esercizio o allenamento»). Bensì anche di «ascesa» (dal latino ascendere: «salire»): tende cioè a levarsi in alto, conquistando la perfezione morale, tende a provarsi con l’esercizio quotidiano, lottando contro le avversità e la sofferenza, impegnandosi al distacco da tutto ciò che di caduco ci lega a questa terra.

È un invito entusiastico, pieno di fede nella possibilità che l’uomo possa attingere alla perfezione morale, alla virtù (e quindi anche alla felicità che ne costituisce il premio immediato). E, se non altro, costituisce un messaggio di speranza che non si alimenta in miti fumosi, ma si fonda sulla razionalità (solo la «perfetta ragione» può aprire la via alla virtù e alla felicità).

In lui la virtus romana (il «valore militare») si sposa all’areté greca (le virtù come qualità dell’animo), determinando una nuova visione dell’eroismo: un eroismo senza connotazioni violente (com’è quello di chi ha, o si cerca, un nemico da combattere), ma pacifico e però altrettanto - se non più - coraggioso di fronte al dolore, alle disgrazie, ai mali della vita, alla morte.

In un mondo come il nostro così incredulo, così limitato negli orizzonti e incapace di guardare oltre la sfera dell’interesse o del piacere, quello di Seneca costituisce dunque un atto di fede nella convivenza civile (fratellanza, non violenza, disprezzo della vita mondana e dei beni materiali; universalismo…), un atto di fede nelle qualità migliori dell’uomo e nella forza dell’interiorità coltivata, un richiamo ai doveri dell’uomo e una riaffermazione dei valori fondamentali della vita.

 

L’ingratitudine non deve distoglierci dal fare il bene

Ti lamenti perché ti sei imbattuto in una persona ingrata. Se è la prima volta che ti càpita, ringrazia la tua fortuna o la tua oculatezza.

Ma l’oculatezza in questo caso non può avere altro effetto che quello di rendere meschino il tuo animo. Infatti, se vorrai evitare il pericolo dell’ingratitudine, non farai dei piaceri a nessuno: così perché i favori non vadano sprecati in mano altrui, andranno sprecati nelle tue. Non vengano ricambiati i favori che fai, piuttosto che non si facciano. Occorre seminare, anche quando il raccolto è stato cattivo. Sovente tutto ciò che era andato perduto per l’ostinata sterilità di un terreno improduttivo, lo ripaga l’abbondanza d’una sola annata.

Vale la pena di fare l’esperienza anche delle persone ingrate, per trovarne una riconoscente. Nel beneficare nessuno ha la mano così sicura da non commettere frequenti sbagli: vadano pure persi questi favori, per attecchire una volta o l’altra.

Dopo un naufragio si ritenta il mare; per uno che fa bancarotta, chi dà in prestito il proprio denaro non abbandona gli affari. Se si devono abbandonare tutte le situazioni che disgustano, la vita sarà ben presto paralizzata da un ozio improduttivo.

Proprio questo fatto invece ti renda più generoso. Una cosa infatti, se l’esito è incerto, va tentata con frequenza, perché una volta o l’altra possa riuscire [...]

Dobbiamo far di tutto per essere il più possibile riconoscenti. La gratitudine infatti è un bene che appartiene a noi, allo stesso modo come la giustizia non è una cosa che riguardi gli altri (come comunemente si crede): in gran parte i suoi frutti ricadono su di noi. Ognuno, quando fa un favore, lo fa a se stesso. Non lo dico perché chi è stato aiutato vuol aiutare, chi è stato difeso vuole difendere: per il fatto che un buon esempio, come se compiesse un giro, ritorna a chi lo dà. E così i cattivi esempi ricadono su chi ne è la causa e nessuno prova compassione per chi subisce delle offese, se è stato lui che facendole ha insegnato che si possono fare. La ragione è che il compenso di ogni virtù sta nella virtù stessa. Le virtù infatti non si praticano in vista di un premio: il compenso di un’azione buona sta nell’averla compiuta.

(Ad Lucilium, ep., 81, 12-20)

 

Portare aiuto anche ai nostri nemici

Una cosa è certa, sono gli stoici, i vostri maestri, ad affermare: “Fino all’ultimo momento della nostra vita, saremo attivi, non smetteremo di lavorare per il bene comune, non smetteremo di aiutare le singole persone, di portare aiuto anche ai nostri nemici, di compiere ogni sforzo”.

Siamo noi a non consentire vacanze a nessuna età e, come dice quell’eroe eloquentissimo:

“calchiamo l’elmo sui capelli bianchi”.

Da noi non c’è possibilità di ozio prima della morte, a tal punto da non lasciare oziosa, se le circostanze lo consentono, neanche la morte stessa.

(De otio, I, 4)

 

Il denaro non è un bene

Quanto chiasso si fa attorno al denaro! è lui che affatica i tribunali, che semina discordia tra padri e figli, che propina i veleni, che arma la mano sia agli assassini che ai soldati delle legioni.

È impregnato di sangue nostro, il denaro. è per colpa sua se nella notte scoppiano litigi tra mogli e mariti, e se la folla si accalca davanti alle tribune dei magistrati; è per colpa sua se i sovrani diventano crudeli e rapaci, e mandano in rovina città costruite con il lungo lavoro di secoli per frugare tra le ceneri in cerca d’oro e d’argento.

Come si guardano con piacere le casseforti, che se ne stanno là in un angolo! è per colpa loro se gli occhi, a furia di gridare, ci escono dalle orbite; se le sedi giudiziarie risuonano per il baccano dei processi, se i giudici, fatti venire da remote regioni, fanno lunghe sedute per stabilire se sia più legittima l’avidità di una persona o l’avidità di un’altra.

E cosa dire quando un vecchio, destinato a morire senza eredi, crepa dalla rabbia per colpa non dico di una cassaforte, ma per un pugno di quattrini o per una moneta addebitata a lui da uno schiavo? Cosa dire se un usuraio, malandato di salute, con i piedi storpi e le mani che non sono più in grado di fare i conti, anche solo per l’interesse dell’uno per mille, urla e reclama i suoi quattrini, ricorrendo alle vie legali persino durante gli attacchi del suo male?

Se tu mi mettessi sotto gli occhi tutto il denaro ricavato da tutte le miniere (quelle che noi ora spingiamo sempre più giù); se tu mi mettessi a disposizione tutti i tesori nascosti (poiché l’avidità riporta di nuovo sotto terra i beni malamente portati in superficie), tutto questo gran mucchio non dovrebbe, a mio parere, far corrugare la fronte ad un uomo dall’animo buono.

Di cose che ci strappano le lacrime, come ci sarebbe da ridere!

(De ira, III, 33, 1-4)

 

Sarai di guida a molti, se avrai come guida la ragione

La stoltezza è qualcosa di meschino, di basso, di spregevole; è una cosa da schiavi, soggetta a tante e violentissime passioni. è la saggezza che allontana da te delle tiranne così fastidiose (che a volte comandano a turno e a volte tutte insieme) e rappresenta la sola libertà. La strada che porta a lei è una sola, e per di più è diritta: non potrai sbagliare. Procedi con passo sicuro: se vuoi che tutto sia sottomesso a te, vedi di sottomettere te alla ragione. Sarai di guida a molti, se avrai come guida la ragione; imparerai da lei a che cosa devi mettere mano e come mettervi mano: non ti verrai a trovare per caso nel bel mezzo di una situazione.

Non mi potrai citare uno che sappia come ha cominciato a voler ciò che vuole. A portarlo lì non è stata una scelta meditata, ma vi è andato a sbattere d’impulso. Spesso è la fortuna ad attaccare noi, ma non meno spesso siamo noi che le corriamo incontro. è vergognoso che uno si faccia trascinare, invece di procedere, e nel turbinare degli eventi lì per lì si chieda, pieno di stupore: “Come ho fatto ad arrivare qui?”.

(Ad Lucilium, ep., 37, 4-5)

 

Assecondare l’opera di Dio

Ognuno affronta le cose con maggior coraggio, se vi si è preparato da tempo, e resiste anche alle avversità, se prima le ha fatte oggetto di riflessione. Al contrario chi è preso alla sprovvista si spaventa anche davanti alle prove più insignificanti. Bisogna fare in modo che non ci siano per noi imprevisti di nessun genere. E, dal momento che la sorpresa rende tutto più difficile, grazie a questa assidua riflessione avrai la sicurezza di non comportarti come un novellino davanti a nessuna disgrazia. […]

Sono molte e varie le disgrazie che ci prendono di mira: alcune ci hanno già colpito, altre si sentono vibrare ed arrivano soprattutto allora, certe ci sfiorano ma sono destinate a qualcun altro.

Non bisogna sorprendersi davanti a dei mali a cui andiamo soggetti per natura, e nessuno dovrebbe lamentarsene perché sono uguali per tutti. Sì, ti dico, sono uguali perché anche il male a cui uno è scampato avrebbe ben potuto subirlo. D’altra parte non si può dir giusta la legge che ha avuto applicazione per tutti, ma quella che è stata promulgata per tutti.

Si imponga all’animo questo principio di equità e paghiamo senza lamentarci questo tributo alla nostra condizione di esseri destinati a morire.

L’inverno porta il freddo: è inevitabile che si geli. L’estate riporta il caldo: è inevitabile che si soffochi. L’inclemenza del tempo mette a dura prova la nostra salute: è fatale che uno si ammali. E da qualche parte potremo imbatterci in una bestia feroce o in un uomo, più pericoloso di tutte quante le bestie feroci! Qualcosa ci porterà via l’acqua, qualcosa il fuoco. La realtà è questa, e non è possibile cambiarla; quel che si può è acquistare la nobiltà d’animo degna di una persona buona per sopportare con coraggio le cose accidentali ed essere in armonia con la natura.

D’altra parte la natura governa questo regno che hai sotto gli occhi con i cambiamenti: dopo il nuvolo viene il sereno, dopo la bonaccia il mare ricomincia ad agitarsi; i venti soffiano ora in una direzione ora in un’altra; alla notte segue il giorno; una parte della volta celeste si alza, l’altra tramonta: è sugli opposti che le cose si fondano e durano in eterno.

Il nostro spirito deve adattarsi a questa legge; la deve seguire, le deve obbedire. E, qualunque cosa succeda, pensi che doveva succedere e non si metta ad imprecare contro la natura. La miglior cosa è sopportare ciò che non si può correggere e assecondare l’opera di Dio, che è all’origine di tutto quanto, senza brontolare. Chi segue il suo generale e si lamenta, è un cattivo soldato.

(Ad Lucilium, ep., 107, 4-9)

 

Imparare a vivere

Se uno è troppo preso dagli impegni, la cosa che è meno capace di fare è vivere: nessuna scienza è più difficile di questa. Nelle altre attività i maestri sono dovunque e numerosi, e veri e propri bambini sono sembrati in grado di impararle così bene da essere persino capaci di insegnarle. Per imparare a vivere ci vuole tutta la vita e - cosa che ti sorprenderà fors’anche di più - ci vuole tutta la vita per imparare a morire.

Tanti fra gli uomini più grandi si sono liberati da ogni impedimento, rinunciando alle ricchezze, alle cariche, ai piaceri, e si sono dedicati solo a questo scopo sino alla fine della loro esistenza: a saper vivere. Gran parte di loro però, al momento di abbandonare la vita, dovette ammettere di non saperlo ancora: tanto meno potrebbero saperlo costoro!

Credimi, è proprio di un grand’uomo, è proprio di uno che si pone al di sopra degli errori umani il non permettere che venga intaccato neppure un momento della propria vita, e perciò la sua esistenza è lunghissima perché, per tutta la sua durata, si è dedicato interamente a se stesso.

Di essa niente è rimasto inutilizzato o improduttivo, nulla è stato alla mercè degli altri; e infatti non ha trovato niente che valesse la pena di barattare col suo tempo, perché ne era un gelosissimo amministratore. E così gli è bastato. Per forza invece se lo sono trovato a mancare quelli a cui dalla gente è stata sottratta una gran parte della vita. […]

Al contrario chi consacra alle proprie necessità tutto il suo tempo, chi organizza ogni giornata come se si trattasse di una vita, non sospira il domani e non lo teme. Difatti che nuovo tipo di piacere può mai portargli un’ora in più? Tutto gli è noto, tutto ha provato fino alla nausea. Quanto al resto, la fortuna disponga come vorrà: la sua vita ormai è al sicuro. A lei si può aggiungere, a lei non si può togliere nulla - e aggiungere sarebbe come l’offrire del cibo ad uno che, per essere già sazio e pieno, lo prende anche se non ne ha voglia.

Non credere dunque che uno, perché ha i capelli bianchi e le rughe, abbia vissuto a lungo: costui non ha vissuto a lungo, ha vegetato a lungo. Ma come? Secondo te, ha navigato molto uno che, sorpreso da una spaventosa bufera appena fuori dal porto, è stato portato in qua e in là e costretto, cambiando i venti che infuriavano da direzioni opposte, a girare in cerchio lungo la stessa rotta? Non è che costui abbia navigato molto, ma è stato molto sballottato.

(De brevitate vitae, VII, 3-10)

 

Non c’è viaggio che non abbia fine

Spesso si dovrebbe morire e non si vuol morire, si sta morendo e non si vorrebbe morire.

Non c’è persona così sprovveduta da non sapere che presto o tardi si deve morire: quando però si avvicina alla fine, cerca di guadagnare tempo, trema, si lamenta. Non ti sembrerebbe estremamente sciocco uno che piangesse perché non è vissuto mille anni fa? Altrettanto sciocco è uno che piange perché non sarà più vivo tra mille anni! Le cose si equivalgono: non ci sarai più e non c’eri. Non ti appartiene né questo tempo né quello.

Sei stato proiettato in questo spazio brevissimo di tempo: e ammesso che tu possa prolungarlo, fino a quando lo prolungherai? Perché piangi? Cosa speri? è fatica sprecata.

Non sperar che si pieghi alle tue suppliche
il volere degli dei
.

Sono immutabili e definitivi i voleri degli dei, e a guidarli è una legge inesorabile, grande ed eterna. Tu andrai là dove va ogni cosa.

È una novità per te? Sei fatto per obbedire a questa legge: questo è successo a tuo padre, a tua madre, ai tuoi antenati, a tutti prima di te, a tutti dopo di te. è una catena di eventi che non si spezza e che nessuna forza può cambiare, quella che lega e trascina ogni cosa.

Quanta gente destinata a morire ti seguirà? Quanta ti farà compagnia? Avresti più coraggio, io credo, se insieme con te morissero migliaia e migliaia di persone. Eppure, proprio nell’istante in cui tu esiti a morire, migliaia e migliaia di uomini e di animali, sia pure in vario modo, esalano l’ultimo respiro! E tu non pensavi che presto o tardi saresti arrivato a quella meta verso cui eri incamminato da sempre? Non c’è viaggio che non abbia fine.

(Ad Lucilium, ep., 77, 10-13)

 

Non c’è nulla di straordinario tranne l’anima

Io mi sono appartato non solo dalla gente, ma dagli affari, e in particolare dai miei: curo gli interessi dei posteri. è per loro che metto sulla carta dei pensieri che possano servire: affido alla pagina scritta qualche salutare consiglio, quasi la ricetta di buone medicine, dopo averne sperimentato l’efficacia sulle mie piaghe che, anche se non sono guarite del tutto, hanno smesso di allargarsi.

Indico agli altri la via del bene, quella che io ho conosciuto tardi e quand’ero stanco di vagare senza meta. Vado gridando: “Evitate tutto ciò che piace alla gente, tutto ciò che ci viene concesso da circostanze occasionali. Davanti ad ogni bene legato alle vicende della fortuna, fermatevi come presi dal sospetto e dalla paura. Anche le bestie feroci, anche i pesci si lasciano ingannare, attirati dalla speranza di qualcosa. Secondo voi, sono doni della fortuna? Sono delle trappole. Chi di voi vuol vivere sicuro, stia il più lontano possibile dal vischio di questi favori. Poveri infelici! anche in ciò veniamo ingannati: crediamo di possederli, ne siamo prigionieri.

La strada che percorrete vi porta sui precipizi: il risultato di questa vita brillante è una brusca caduta. E in seguito non ci si può neppure fermare, quando il successo ha cominciato a metterci fuori strada; e non è possibile, almeno, colare a picco tutto in una volta: la fortuna non fa capovolgere, ma manda a sbattere e schiantare.

Seguite questa ragionevole e salutare regola di vita: concedete al corpo quello che gli basta per godere buona salute. Il corpo va trattato con un po’ di durezza perché non sia pigro nell’obbedire allo spirito: il cibo deve levare la fame, il bere deve togliere la sete, il vestito riparare dal freddo, la casa proteggere contro ciò che ci minaccia fisicamente. Non ha nessuna importanza se la casa è costruita con zolle di terra o con del marmo variegato di provenienza straniera: dovete sapere che l’uomo è protetto altrettanto bene da un tetto di paglia come da un tetto d’oro. Disprezzate tutto ciò che una fatica inutile vi presenta come ornamento e decoro; pensate che non c’è nulla di straordinario tranne l’anima e, se l’anima è grande, nulla è troppo grande per lei”.

Se di queste cose parlo con me, se ne parlo con i posteri, non ti sembra che io mi renda più utile di quando scendevo nel foro, invitato a comparire in giudizio come teste o a mettere il mio sigillo su un testamento o ad appoggiare un candidato in senato con la parola o con il voto? Credimi, colui che sembra inattivo svolge dei compiti ben più importanti: si occupa al tempo stesso di questioni che riguardano l’uomo e di questioni che riguardano Dio.

(Ad Lucilium, ep., 8, 2-6)

 

Non cercherò di sapere chi ha creato le cose?

Tu non vuoi che io indaghi sul mondo? Mi distogli dall’universale per ricondurmi al particolare? Non cercherò di conoscere i princìpi costitutivi dell’universo? chi ha creato le cose? chi ha separato gli elementi che erano tutti sommersi in una massa unica e circondati dalla materia inerte? Non cercherò di sapere chi è l’autore dell’universo? In che maniera una massa così imponente ha ricevuto legge e ordine? Chi ha raccolto gli elementi dispersi, chi ha separato gli elementi confusi, chi ha dato una forma a quelli che giacevano inerti in un ammasso unico ed informe? Qual è la sorgente di tanta luce? Si tratta di fuoco o di qualcosa che brilla ancor più del fuoco?

Non dovrei indagare su questi fenomeni? Non dovrei conoscere da dove vengo? Non dovrei sapere se queste cose mi tocca vederle una volta sola o se dobbiamo nascere parecchie volte? E, via di qui, dove andrò? Quale posto attende l’anima, una volta libera dalle leggi che rendono schiava l’umanità? Tu non vuoi che io entri in rapporto con il cielo, cioè pretendi che viva a testa bassa?

Sono troppo grande, e destinato dalla nascita a cose troppo grandi, per essere schiavo del mio corpo (e certo io non vedo in lui se non una catena, stretta intorno alla mia libertà). Perciò lo pongo come un ostacolo alla fortuna contro cui lei possa arrestarsi, e non lascio che i suoi colpi passino attraverso il corpo per arrivare sino a me. Ecco quale parte di me può subire offesa. In questa fragile dimora abita uno spirito libero.

Questa carne non mi costringerà mai ad avere paura, non mi costringerà mai ad una finzione indegna d’un essere buono. Non mentirò mai per rispetto di questo povero corpo. Quando crederò bene, romperò i legami con lui. Anche adesso però, finché restiamo uniti, non saremo come dei soci alla pari. Lo spirito reclami per sé ogni diritto: nel disprezzo del corpo sta una certezza di libertà.

(Ad Lucilium, ep., 65, 19-22)

 

Dentro di noi abita uno spirito divino

Ciò che stai facendo è un’ottima cosa e avrà benefici effetti su di te, se, come mi scrivi, insisti per conquistare la fermezza nel bene (ed è da sciocchi augurarsela, quando puoi ottenerla da te stesso). Non è necessario alzare le mani al cielo né supplicare il custode del tempio per poterci accostare all’orecchio di una statua, come se la divinità potesse sentirci meglio. è vicino a te Dio, è con te, è dentro di te!

È così, ti dico, caro Lucilio: dentro di noi abita uno spirito divino che osserva e controlla i mali e i beni che sono in noi. Anche lui ci tratta come lo abbiamo trattato noi. In verità senza Dio nessuno è buono (chi potrebbe mettersi al di sopra del destino, se non con il suo aiuto?). è lui che ispira grandi e nobili decisioni; in ogni uomo, se è buono,

abita un dio (non sappiamo quale).

Se vieni a trovarti in un bosco sacro, folto di antiche piante, straordinariamente alte tanto da impedire la vista del cielo con il protendersi dei rami che si coprono l’uno con l’altro, l’altezza di quegli alberi, la solitudine del luogo e lo stupore che provoca in noi un’ombra così spessa e continua, anche se all’aria libera, ti farà credere in una potenza divina. E se una caverna tiene la montagna come sospesa con le sue rocce corrose in profondità, e non è prodotta dalla mano dell’uomo, ma è stata scavata in tanta estensione da cause naturali, il tuo animo sarà folgorato dal sospetto di una presenza divina. Veneriamo le sorgenti dei grandi fiumi; si erigono altari nel punto dove sgorga all’improvviso dalle profondità una abbondante vena d’acqua; si venerano le fonti d’acqua termale, e certi laghi sono stati considerati sacri per il colore cupo o la insondabile profondità.

Se vedrai un uomo impavido davanti al pericolo, inattaccabile dalle passioni, felice tra le avversità, tranquillo nel bel mezzo della tempesta, che guarda gli uomini come dall’alto e gli dei come se fossero suoi pari, tu non sarai preso da venerazione per lui? Non dirai: “è un essere troppo grande e sublime perché lo si possa credere simile al misero corpo in cui si trova”?

Lì è scesa una forza divina: quello spirito superiore, padrone di sé, che disprezza tutto perché lo giudica di scarso valore, che sorride di tutte le nostre paure e di tutti i nostri desideri, è mosso da una potenza celeste. Un essere così grande non potrebbe sussistere senza il sostegno della divinità: perciò con la parte migliore di sé si trova nel luogo da cui è disceso. I raggi solari colpiscono sì la terra, ma restano là dove si trova la loro sorgente. Così un’anima grande e santa (e inviata giù per farci conoscere più da vicino qualcosa del mondo divino) ha sì dei rapporti con noi, ma resta legata alla sua origine. è di là che dipende, è là che guarda, è là che trova il suo sostegno. Prende parte alle nostre vicende, ma come uno che è migliore di noi.

(Ad Lucilium, ep., 41, 1-5)

 

 

   


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